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Il nostro Mulino Bianconero, di MASSIMO VENIER

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MiSsBlackWhitE
view post Posted on 13/3/2012, 15:14     +1   -1




UN TIFOSO SPECIALE RACCONTA LE SENSAZIONI PROVATE NEL NUOVO STADIO DELLA JUVENTUS

Il nostro Mulino Bianconero

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di MASSIMO VENIER (GUERIN SPORTIVO | APRILE 2012)
Milanese, classe 1967, regista e sceneggiatore per il cinema, autore per
la tv, juventino. Ha iniziato con la Gialappa's Band, con cui ha ideato e
scritto le prime sette edizioni di "Mai dire "Gol. Nel '96 incontra Aldo
Giovanni e Giacomo. Con loro esordisce al cinema, scrivendo e dirigendo
"Tre uomini e una gamba" e "Chiedimi se sono felice". Nel 2006 inizia la
"carriera solista". Scrive e dirige i film "Mi fido di te", "Generazione
mille euro" e "Il giorno in più". Per la tv è tra gli autori di "Mai dire
domenica", "Buona la prima" e "Quelli che il calcio".

Settore 113, fila 17, posto 21. Questa è, per me, la formula della felicità.
Una domenica sì e una domenica no, io sono lì. Quello è il mio posto e lo sarà
per sempre. Non è una cosa da poco. E in più è tutto mio, non si discute. Che
sulla mia seggiola ci appoggi il ċulo uno del Toro è una cosa che non
succederà mai più. Mai più, capite? Potete immaginare qualcosa di più bello? È
a questo che pensavo la prima volta che sono entrato in quella meraviglia che
è il nuovo stadio della Juventus e che sarebbe davvero ora di cominciare a
chiamare col suo vero nome, quello che noi tutti sappiamo essere l'unico nome
possibile. Stadio Gaetano Scirea.
Insomma, lo avrete capito, con lo stadio e con la Juve ho un rapporto sano ed
equilibrato, gli do il giusto peso, diciamo. Sarà forse per questo che il
Direttore mi ha chiamato e mi ha chiesto se avessi voglia di scriverci sopra
un breve articolo. «Più precisamente» aggiunge, «vorrei un pezzo in cui
spieghi perché grazie al nuovo stadio la Juve potrà vincere lo scudetto».
Appena nomina quella parola, passano sì e no dieci, quindici centesimi di
secondo, e mi tocco le palle. Più veloce non sono riuscito e chiedo scusa a
tutti per questo. E anche adesso, lo giuro, scrivo queste scarne righe al
computer con una mano sola.
«Allora, com'è il nuovo stadio?». È una domanda, questa, che mi hanno fatto
spesso.
Beh, si potrebbe cominciare col raccontare quello che si prova entrando,
quando all'improvviso ti ritrovi davanti un muro, un'immensa parete bianca e
nera. Sono i tifosi della tua squadra, compatti, potenti, verticali.
Impressionanti.
E poi il rumore. Un rombo possente, costante, che vibra fin sotto i piedi e si
capisce che non vede l'ora di esplodere.
Oppure si potrebbe parlare dei posti, così vicini al campo che io sono
praticamente sicuro che quando Boateng ha attaccato Pirlo alle spalle, e io ho
sussurrato «Andrea, occhio dietro!», lui mi ha sentito, ha evitato con una
finta l'avversario, e poi l'ha messa in mezzo per il gol dell'1-0 che, quindi,
per un buon 40%, è merito mio.
Ma la verità è che appena mi sono seduto al mio posto, in questo stadio che
trasuda futuro, quello che mi è venuto in mente, invece, è stato il passato.
Avete presente quel capolavoro di film che è Ratatouille? Quando il critico
gastronomico assaggia il primo boccone e d'un tratto, come per magia, rivive
istante per istante tutti i momenti più belli che lo hanno portato fino a lì?
Una scena bellissima, da brividi. Ecco, a me è successa più o meno la stessa
cosa. È il calcio che, chissà perché, mi fa sempre questo effetto: un
intreccio misterioso di passato presente e futuro che si mischiano in un modo
che non so spiegare e che, confusamente ma senza alcun dubbio, sento che ha a
che fare con l'infanzia e con il domani. Dev'essere per questo, credo, che mi
piace così tanto.
Ho iniziato ad andare allo stadio da bambino, con mio papà. Il Comunale me lo
ricordo in bianco e nero, come nei sogni. Da casa nostra ci si metteva una
vita; per trovare un posto decente dovevi entrare tre ore e mezzo prima; si
vedeva male; si stava sempre in piedi, tutti schiacciati. Ed era meraviglioso.
Zoff, Gentile, Cabrini. Non penso ci sia da aggiungere altro.
L'unica cosa più bella dell'essere lì, stritolato in mezzo a tutta quella
gente nel bel mezzo degli anni Settanta, era il giorno prima della partita,
quando mio padre mi diceva «domani andiamo a vedere la Juve, ti va?». E lì
iniziava l'attesa.
Poi è arrivato il Delle Alpi. Scomodo, gelido, costoso. Enorme. Vuoto. Se un
architetto un po' didascalico avesse voluto raccontare con uno stadio il
declino di una nazione e l'ottusità di un'epoca, il Delle Alpi sarebbe stato
il suo capolavoro.
Restano comunque, anche lì, istantanee da non dimenticare. In quasi tutte,
sullo sfondo, c'è Moratti che rosica.
Poi siamo andati in B. Ogni juventino sa che la cosa più dura, in quei giorni,
era riuscire a trovare una risposta a quell'ingiustizia. La mia è stata
correre a fare l'abbonamento.
Di nuovo al Comunale, si ricomincia da capo. Il Crotone, il Frosinone,
l'Arezzo. Poi la A: da comprimari, però. Ranieri, Del Neri, Felipe Melo.
Momenti non bellissimi, ecco.
Ricordo una sera, in particolare: nel palazzetto di fianco all'Olimpico c'era
un concerto di Gigi D'Alessio. Gigi D'Alessio, non i Rolling Stones. Beh,
c'era più gente lì che allo stadio. Noi le stavamo prendendo dall'Udinese, mi
pare. C'era talmente tanto silenzio che si sentivano i fans di "Giggi" che
tenevano il ritmo e cantavano in coro "Non dirgli mai di com'è stato bello
quella volta al mare". Per dire.
C'era di che abbattersi e mollare, e infatti in tanti se ne sono andati. Ma
qualcuno è rimasto.
E tra questi c'ero anch'io, seduto lì, tutte le domeniche, a prenderle dal
Parma, dal Catania, da chiunque. Il motivo per cui restavo lì, è perché avevo
fiducia. Avere fiducia, in quel momento, mi sembrava l'unica cosa che potessi
fare, il mio modo di contribuire. La fiducia che prima o poi saremmo tornati
quelli di prima; la fiducia che prima o poi avrei realizzato il sogno di
portare allo stadio mio figlio. La fiducia che tenere duro per cinque anni e
fare una lunga coda all'alba per poter scegliere i posti più belli del mondo
nello stadio più bello del mondo, valesse la pena e la fatica. Ne avevo così
tanta, di fiducia, che di abbonamenti, l'anno della B, ne avevo fatti due,
anche se un figlio non ce l'avevo ancora.
È tutto questo che, alla fine, mi ha portato qui, al mio posto numero 21.
E in tutta sincerità, caro direttore, io non lo so quando vinceremo il nostro
trentesimo scudetto. Non so se sarà quest'anno, o il prossimo, o quello dopo
ancora. Quello che so è che Alessandro, che nel frattempo è arrivato e adesso
ha due anni e già canta l'inno a squarciagola, lo festeggerà saltando come un
matto sulla sua seggiola nel settore 113, fila 17, posto 22. Che è il suo
posto e lo sarà per sempre.

: @@ :

Edited by MiSsBlackWhitE - 13/3/2012, 20:23
 
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*fLo_
view post Posted on 13/3/2012, 19:48     +1   -1




: @@ :
 
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MiSsBlackWhitE
view post Posted on 13/3/2012, 20:37     +1   -1




l'ho letto 2 volte e ho pinato 2 volte : @@ :
Mi sa che lo stampo e lo appendo in camera : @@ :
 
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frajuve10
view post Posted on 14/3/2012, 17:45     +1   -1




è meraiviglioso questo articolo. l'avrò letto 274672863 volte!
 
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MiSsBlackWhitE
view post Posted on 14/3/2012, 18:21     +1   -1




anche io e ogni volta piango : @@ :
 
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*fLo_
view post Posted on 14/3/2012, 20:26     +1   -1




E' stupenderrimo : @@ :
 
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romar
view post Posted on 2/11/2012, 19:33     +1   -1




molto bella la pagina iniziale
 
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6 replies since 13/3/2012, 15:14   703 views
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