| Fattane razzia nelle giovanili («Ne avrò persi due su venti»), Sebastian Giovinco s’affaccia stasera sul primo derby tra i grandi: da guastatore mancino o da arma tattica a giochi avviati è il dubbio che avrà accompagnato nella notte lui e Ranieri: «Spero di giocare, diciamo cinquanta e cinquanta».
Sebastian Giovinco, torinese dalla nascita, juventino da quando? «Da quando ho avuto una maglia bianconera addosso, a sette anni. Prima, simpatie milaniste, per ragioni di famiglia. Ma diciamo che ero tifoso del calcio».
Chi l’aveva stregata? «Van Basten, Savicevic».
Della Juve? «Baggio, poi Del Piero».
Nato attaccante? «No. Facevo il centrocampista centrale, poi mi spostarono a fare il trequartista».
Numero? «L’otto, ma nelle giovanili mica puoi chiederli, te li danno. Poi il dieci, il preferito».
Ora si porta dietro il venti. «Appunto, dieci più dieci».
Zolle dei primi calci? «San Giorgio Azzurri, a Torino. C’ero finito perché andavo a vedere un mio amico».
La Juve quando spunta? «L’anno dopo».
Mai rischiato di venire arruolato dal Toro? «Sì. Mi chiamarono, ma fui subito scartato».
Motivo? «Troppo piccolo, sai che novità. Neppure un provino: mi dissero che non andavo bene».
L’altezza la perseguita. «Sinceramente non me n’è mai fregato nulla, ci devo convivere».
Di piccoletti bravi ce ne sono. «Non lo dica a me, ma a quelli che non ci credono».
Com’è il derby? «Sempre una partita a sè, anche se io finora ho giocato solo quelli giovanili».
Più vinti o più persi? «Vinti, ne avrò persi un paio».
Ricordi? «Gli ultimi due con la Primavera, 1-0 e 2-1: un gol in ognuno».
Quelli vissuti da raccattapalle? «Ieri stavo rivedendo un vecchio derby, con quattro espulsi e un’autorete di Comotto (nel 2003, 2-0 per la Juve, ndr). Su una punizione ho intravisto un mio amico: probabilmente c’ero anch’io».
Gioca? «Lo spero. Cinquanta e cinquanta, ma dovreste chiederlo a Ranieri».
Del Toro chi le piace? «Rosina. E Abate».
L’ultimo sta crescendo. «Ci ho giocato insieme a Empoli e nell’under 21: ha delle potenzialità incredibili. Insieme ad Amoruso, Bianchi e Rosina è il più pericoloso».
Ha amici del Toro? «Sì, ma non si sono ancora fatti vedere».
L’anno scorso quando ha capito che era fatta per tornare a casa? «Alla fine, ogni partita era un’esame».
Mai avuto ripensamenti? «Qui ci sono campioni, e lo sai prima, ma solo così si cresce. Anche giocando poche partite, ma di Champions, per esempio: al di là delle presenze, le devi fare bene. Più che quanto giochi, conta come lo fai».
Quasi un milione di euro a stagione: ti cambia la vita? «A me i soldi non interessavano, volevo solo sapere se la società teneva a me, e l’ha dimostrato».
Bisogna stare coi piedi per terra. «Se sei un professionista lo devi fare, e devi essere umile: alla Juve di più. Penso di averlo nel carattere, grazie ai miei genitori, Giovanni ed Elvira, che hanno fatto tanti sacrifici per farmi arrivare fin qui».
Quanta pazienza ci vuole per aspettare in panchina? «Sei in una grande squadra, e non ti regala niente nessuno. Ma sono contento, anche se vorrei giocare sempre, come tutti i giocatori».
Mestiere preferito? «Quest’anno tre partite, tre ruoli diversi, ma mi trovo bene a sinistra».
Desiderio per il derby? «Un gol vittoria».
Chi è favorito? «Partita da tripla».
La chiamano Formica atomica. «Se piace ai tifosi, per me non c’è nessun problema, anche se i compagni mi sfottono un po’».
Un obiettivo da raggiungere? «Vincere qualcosa con la Juve, solo così puoi diventare un grande campione: e io, in futuro, vorrei esserlo».
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