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Vincent van Gogh

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MiSsBlackWhitE
view post Posted on 31/10/2011, 09:35     +1   -1




Vincent van Gogh

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Vincent Willem van Gogh (pronuncia olandese [ˈvɪntsɛnt faŋˈxɔx] ascolta[?·info]) (Zundert, 30 marzo 1853 – Auvers-sur-Oise, 29 luglio 1890) è stato un pittore olandese.

Autoritratto, olio su tela, 42 x 33,7 cm, 1887, Art Institute, Chicago.

Autore di ben 864 tele e di più di mille disegni, tanto geniale quanto incompreso in vita, si formò sull'esempio del realismo paesaggistico dei pittori di Barbizon e del messaggio etico e sociale di Jean-François Millet. Attraversata l'esperienza dell'Impressionismo, ribadì la propria adesione a una concezione romantica, nella quale l'immagine pittorica è l'oggettivazione della coscienza dell'artista: identificando arte ed esistenza, Van Gogh pose le basi dell'Espressionismo.


Biografia

Gli studi interrotti (1868)


Notizie dei Van Gogh si rintracciano a L'Aja fin dalla metà del XVII secolo e a partire dal Settecento quella famiglia trasmise di padre in figlio il mestiere di orefice. Nel primo Ottocento si ha, notizia di un Vincent van Gogh (1789-1874) pastore calvinista, padre di undici figli che praticavano diverse attività: tre di essi erano mercanti d'arte, mentre si sa che anche Theodorus van Gogh (1822-1885) dal 1º aprile 1849 era pastore a Groot-Zundert, un piccolo paese del Brabante di seimila anime. Sposatosi nel 1851 con Anna Cornelia Carbentus, figlia di un rilegatore della corte olandese, questa diede alla luce il 30 marzo 1852 un figlio morto, Vincent Willem. Esattamente l'anno dopo nacque un secondo figlio, il futuro artista, chiamato ancora Vincent Willem: ne seguiranno altri cinque, Anna Cornelia (1855-1930), Théo (1º maggio 1857 - 25 gennaio 1891), Elisabeth (1859-1936), Wilhelmina Jacoba (1862-1941) e Cornelis (1867-1900).

Dal 1861 al 1864 Vincent frequentò la scuola del paese e dal 1º ottobre un collegio della vicina Zevenbergen dove apprese il francese, l'inglese e il tedesco e l'arte del disegno. Dal 1866 frequentò la scuola tecnica Hannik di Tilburg ma il 19 marzo 1868, a causa dello scarso rendimento nonché di problemi economici del padre, ritornò a Zundert senza aver concluso gli studi.

Il lavoro nella casa d'arte Goupil (1869-1875)


La scarsità del suo profitto scolastico convinse la famiglia a trovargli un impiego: lo zio paterno Vincent detto Cent (1811-1889), già mercante d'antiquariato, nel luglio del 1869 lo raccomandò alla casa d'arte Goupil & Co. alla quale, per motivi di salute, aveva ceduto la sua attività a L'Aja; l'attività della casa Goupil consisteva nella vendita di riproduzioni di opere d'arte e il giovane Vincent sembrò molto interessato al suo lavoro, che lo obbligava a un approfondimento delle tematiche artistiche e lo stimolava a leggere e a frequentare musei e collezioni d'arte. Mantenne i contatti con la famiglia, che dal gennaio del 1871 si era trasferita a Helvoirt, dove il padre Theodorus svolgeva la sua attività pastorale. Vincent oltre ad incontrare frequentemente a L'Aja il fratello Théo, intesse con lui una corrispondenza che durerà tutta la vita.

Nel 1873 fu trasferito nella filiale Goupil di Bruxelles e a maggio in quella di Londra. Durante il trasferimento nella capitale inglese si fermò per alcuni giorni a Parigi, rimanendo affascinato dalla bellezza della città e dai fermenti culturali che la animavano: la visita del Louvre e delle esposizioni di quadri al Salon lo colpirono profondamente.

A Londra disegnò schizzi di scorci cittadini, che tuttavia non conservò (ne rimane solo uno, peraltro assai rovinato e scoperto nel 1977, raffigurante la casa dove visse). Nella pensione in cui alloggiava, si dichiarò un giorno a una figlia della proprietaria, Eugenia Loyer (e non Ursula come si era sempre creduto), che, già fidanzata, lo respinse: caduto in una crisi depressiva, chiese e ottenne di essere trasferito a L'Aja. Da questo momento iniziò a trascurare il lavoro: a poco servì il ritorno a Londra, nel luglio del 1874, insieme con la sorella Anna. I suoi interessi cominciarono a indirizzarsi verso le tematiche religiose, che si approfondirono anche dopo il suo trasferimento a Parigi, nel maggio 1875: qui tuttavia frequentò anche i musei, appassionandosi a Jean-Baptiste Camille Corot e alla pittura secentesca olandese. I dirigenti della Goupil erano sempre più scontenti di lui, anche perché nel Natale del 1875 lasciò senza preavviso il lavoro, andando a trovare la famiglia, che allora risiedeva a Etten, un piccolo paese presso Breda. Vincent comprese tuttavia di non potere più continuare la sua collaborazione in un'attività che ormai sentiva profondamente estranea e si dimise dall'impiego il 1º aprile 1876.

La missione sociale e religiosa (1876-1880)


Il 16 aprile 1876 partì per Ramsgate, il sobborgo londinese, dove lavorò come insegnante supplente presso la scuola del signor Stokes, ricevendo in cambio soltanto vitto e alloggio, e poi proseguì l'insegnamento a Isleworth, dove la scuola si era trasferita: qui collaborò anche con un pastore menoteista che teneva un'altra piccola scuola e il 4 novembre pronunciò il suo primo sermone, che si ispirò a un quadro di Boughton, il Pellegrino sulla via di Canterbury al tempo di Chaucer.[1] Tornato in famiglia per Natale, fu dissuaso dai genitori, che spaventati si accorsero delle sue precarie condizioni psico-fisiche, dal ripartire per l'Inghilterra.

Lo zio Vincent gli trovò così un altro lavoro come commesso in una libreria di Dordrecht. Viveva da solo, era un cristiano devoto ed era un membro della Chiesa riformata olandese, anche se aveva un forte amore per tutte le chiese cristiane.[2]. Amava tradurre passi della Bibbia; convinse il padre a lasciargli tentare gli esami di ammissione alla facoltà di teologia di Amsterdam, dove andò a vivere con lo zio paterno Johannes, frequentando anche uno zio materno, che gli fece impartire lezioni di latino e di greco. Non tralasciava tuttavia i suoi interessi artistici, visitando i musei, il ghetto ebraico e continuando a esercitarsi nel disegno.

Respinto agli esami di ammissione, dall'agosto del 1878 frequentò un corso trimestrale di evangelizzazione in una scuola di Laeken, presso Bruxelles, la quale tuttavia non lo riconobbe idoneo a svolgere l'attività di predicatore. Nonostante tutto, alla fine dell'anno si trasferì nella regione belga del Borinage, a Pâturage: qui, povero tra i poveri, si prese cura dei malati e predicò la Bibbia ai minatori. Autorizzato, nel gennaio del 1879, a predicare temporaneamente dalla Scuola di evangelizzazione di Bruxelles, si trasferì nel centro minerario di Wasmes, vivendo in una baracca: il suo zelo e la sua partecipazione, anche emotiva, all'estrema povertà dei minatori apparvero eccessivi alla Scuola, che decise di non rinnovargli l'incarico.

Vincent continuò tuttavia a svolgere quella che considerava una sua missione: si trasferì nel vicino paese di Cuesmes dove visse con un minatore del luogo e, pur indigente, cercò ancora di aiutare chi non stava in realtà peggio di lui, arrivando a cedere il suo letto ai malati o a curare di persona i feriti delle esplosioni usando come bende i suoi stessi vestiti. Leggeva i romanzi popolari che descrivevano la miseria delle popolazioni delle città industriali, interruppe per qualche tempo la corrispondenza con il fratello Théo, che ora lavorava nella casa Goupil e lo disapprovava apertamente, cercando di distoglierlo da un'attività che sembrava aggravare il suo delicato equilibrio psichico, e si spostò frequentemente per il Belgio percorrendo a piedi centinaia di chilometri. Nel giugno 1880 arrivò fino a Courrières, nel dipartimento del Passo di Calais, desiderando conoscere il pittore Jules Breton, che lì abitava ed era da lui molto ammirato, ma poi s'intimidì alla sola idea d'incontrarlo (nonché alla vista del "suo nuovo atelier...di un'inospitalità agghiacciante") e ritornò indietro, dormendo sulla paglia nei casolari abbandonati.

In luglio riprese la corrispondenza con Théo che gli mandò del denaro e lo incoraggiò a indirizzare le sue generose pulsioni sociali e religiose verso l'espressione artistica. Vincent accolse un suggerimento che non poteva lasciarlo indifferente e, nell'ottobre si stabilì a Bruxelles dove, comprendendo di aver bisogno di una scuola di tecnica pittorica, s'iscrisse all'Accademia di Belle Arti.

La svolta artistica (1881)


Si legò d'amicizia con il pittore olandese Anthon van Rappard e studiò prospettiva e anatomia, impegnandosi in disegni che ritraevano soprattutto umili lavoratori della terra e delle miniere: non a caso i suoi pittori di riferimento erano Millet e Daumier. Nell'aprile 1881 lasciò l'Accademia e fece ritorno presso la famiglia, a Etten, dove s'innamorò della cugina Kate Vos-Stricker, detta Kee, figlia di un pastore protestante, da poco vedova con un figlio, senza però esser corrisposto. Non si rassegnò e la seguì ad Amsterdam, dove lei si era trasferita in casa dei genitori: al suo rifiuto di riceverlo, di fronte ai genitori della donna, Van Gogh si ustionò volontariamente una mano alla fiamma di una lampada.

A L'Aja ottenne l'incoraggiamento e i consigli del pittore Anton Mauve, cognato della madre, continuò a disegnare sotto la sua guida e, per la prima volta, verso la fine del 1881, eseguì nature morte dipinte a olio e figure all'acquarello: le nature morte con il Cavolo e gli zoccoli del Van Gogh Museum di Amsterdam e il Boccale e pere di Wuppertal sono tra i suoi primi lavori. In rotta con i genitori per la sua insistente ostinazione verso la cugina e per l'aperto distacco mostrato nei confronti della religione, lasciò Etten, rifiutando ogni loro aiuto economico, trasferendosi a L'Aja, vicino allo studio di Mauve, il quale, insieme con il fratello Théo, lo soccorse economicamente. Dopo pochi mesi, tuttavia, contrasti con il pittore - che avrebbe voluto, secondo i suoi sistemi didattici, che si esercitasse copiando calchi in gesso, mentre Vincent preferiva ispirarsi direttamente alla realtà - portarono alla rottura tra i due.

Del resto, Van Gogh avrà sempre molta difficoltà a relazionarsi con gli altri pittori, pur stimati da lui: in questo periodo, l'unico pittore che mostrava considerazione per le sue possibilità era il connazionale Johan Hendrik Weissenbruch (1824-1903), artista già noto e apprezzato.

A Nuenen (1883 - 1885)


Nel gennaio del 1882 Vincent conobbe una trentenne prostituta alcolizzata, butterata dal vaiolo, Clasina Maria Hoornik detta Sien, madre di una bambina e in attesa di un altro figlio, che gli fece da modella: dopo il parto, vissero insieme ed egli pensò anche di sposarla, sperando di sottrarla alla sua triste condizione: scrisse al pittore van Rappard: «Quando la terra non viene messa alla prova, non se ne può ottenere nulla. Lei, è stata messa alla prova; di conseguenza trovo più in lei che in tutto un insieme di donne che non siano state messe alla prova dalla vita».

Tutto questo non gli impedì tuttavia, dapprima di ammalarsi di gonorrea (e fu per questo ricoverato in ospedale dove, secondo le lettere a Théo, eseguì un ritratto, andato perduto, del medico che lo ebbe in cura), e poi di lasciare Sien dopo un anno, anche per la pressione della famiglia (che, appresa la volontà di Vincent di voler sposare una prostituta, tentò addirittura di farlo internare) e, nel settembre del 1883, andò a vivere nel nord dell'Olanda, nella Drenthe, ricca di torbiere, spostandosi spesso e ritraendo gli operai e i contadini della regione. Si recò anche a Nieuw-Amsterdam e a Zweeloo, sperando invano di conoscere il pittore Max Liebermann, che aveva abitato in quei dintorni; in compenso, la gita a Zweloo venne da lui immortalata con vari disegni e una vivissima lettera a Theo.

Alla fine del 1883 tornò a vivere con i genitori, che si erano trasferiti a Nuenen, dove il padre era pastore. Questi era intenzionato ad aiutare Vincent, ponendo fine alla sua vita errabonda, consentendogli di allestire un suo studio nella lavanderia del presbiterio; ma Vincent preferì prepararne uno in casa del sagrestano della parrocchia di Neunen, dove aveva la disponibilità di un paio di stanze. Lavorò intensamente e prese anche lezioni di pianoforte convinto, sulla scorta delle teorie di Wagner e dei simbolisti, dell'esistenza di una relazione tra musica e colore.

Della scuola impressionista, al fratello che gliene scriveva, rispondeva di non saperne nulla e di considerare veri e originali artisti Delacroix, Millet e Corot, «intorno ai quali i pittori di contadini e di paesaggi devono girare come intorno a un asse».[3]

Non gli mancarono nuovi problemi: una vicina di casa, Margot Begemann, che accudì sua madre dopo una caduta e con la quale aveva avuto una relazione, tentò il suicidio, e il 26 marzo 1885 il padre morì improvvisamente d'infarto dopo un violento alterco con lui; inoltre fu accusato dal parroco cattolico di essere responsabile della gravidanza di una ragazza, Gordina De Groot, che aveva posato per lui. Nell'aprile del 1885 dipinse le due versioni de I mangiatori di patate, con il quale, scrisse a Théo,[4]

« ho voluto, lavorando, far capire che questa povera gente, che alla luce di una lampada mangia patate servendosi dal piatto con le mani, ha zappato essa stessa la terra dove quelle patate sono cresciute; il quadro, dunque, evoca il lavoro manuale e lascia intendere che quei contadini hanno onestamente meritato di mangiare ciò che mangiano. Ho voluto che facesse pensare a un modo di vivere completamente diverso dal nostro, di noi esseri civili. Non vorrei assolutamente che tutti si limitassero a trovarlo bello o pregevole »

È qui espressa la radice etica della sua vocazione di pittore: e aggiunse:[5]

« So benissimo che la tela ha dei difetti ma, rendendomi conto che le teste che dipingo adesso sono sempre più vigorose, oso affermare che I mangiatori di patate, insieme con le tele che dipingerò in avvenire, resteranno »


L'opera (della quale Vincent eseguì anche una litografia) non piacque all'amico van Rappard, che non glielo nascose: ma Van Gogh, pur consapevole dei difetti dell'opera, la difese apertamente:[6]

« Anche se seguito a produrre opere nelle quali si potranno ritrovare difetti, volendole considerare con occhio critico, esse avranno una vita propria e una ragione d'essere che supereranno i loro difetti, soprattutto per coloro che sapranno apprezzarne il carattere e lo spirito. Non mi lascerò incantare facilmente, come si crede, nonostante tutti i miei errori. So perfettamente quale scopo perseguo; e sono fermamente convinto di essere, nonostante tutto, sulla buona strada, quando voglio dipingere ciò che sento e sento ciò che dipingo, per preoccuparmi di quello che gli altri dicono di me. Tuttavia, a volte questo mi avvelena la vita, e credo che molto probabilmente più d'uno rimpiangerà un giorno quello che ha detto di me e di avermi ricoperto di ostilità e di indifferenza. Io paro i colpi isolandomi, al punto che non vedo letteralmente più nessuno »

Il reciproco risentimento portò alla fine della loro amicizia.

Anversa e Parigi (1886 - 1887)



Un breve viaggio ad Amsterdam e l'importante visita al Rijksmuseum appena aperto gli permisero di riscoprire Frans Hals e Rembrandt, che riconobbe come gli ideali anticipatori della sua ricerca formale; poi, comprendendo di non poter rimanere in un paesino come Nuenen (il curato cattolico, a causa dell'episodio di Gordina de Groot, aveva proibito ai parrocchiani di posare per Vincent, che da allora era stato costretto a dipingere solo nature morte), nel novembre del 1885 si trasferì a pensione ad Anversa, frequentando assiduamente le chiese ed i musei della città dove scoprì le stampe giapponesi e ammirò il colorismo di Rubens:[7]

« Rubens è superficiale, vuoto, ampolloso, e in conclusione, ampolloso come Giulio Romano o, peggio ancora, come i pittori della decadenza. Nonostante questo, mi entusiasma, proprio perché è il pittore che cerca di esprimere l'allegrezza, la serenità, il dolore, e rappresenta questi sentimenti in modo veritiero grazie alle sue combinazioni di colori »

Un rigattiere di Nuenen acquistò da sua madre una serie di dipinti rimasti nello studio, vendendoli a 10 centesimi l'uno e bruciando quelli che non gli sembravano commerciabili.

Nel gennaio 1886, dopo aver frequentato un corso di disegno, si iscrisse ai corsi di pittura e disegno dell'École des Beaux-Arts ma senza alcun successo: il 31 marzo venne respinto il suo lavoro presentato per accedere ai corsi d'insegnamento superiore, ma Van Gogh si era già trasferito a Parigi per seguire i corsi di pittura di Fernand Cormon, pittore accademico mediocre ma di successo, allo scopo di migliorare la sua tecnica e poter ritrarre dei modelli; in questo studio conobbe Émile Bernard, Louis Anquetin e Toulouse-Lautrec.

La capitale francese è il centro della cultura mondiale: «non c'è che Parigi: per quanto difficile possa essere qui la vita, e anche se divenisse peggiore e più dura, l'aria francese libera il cervello e fa bene, un mondo di bene».[8] Il fratello Théo vi era trasferito da sette anni per dirigere, a Montmartre, una piccola galleria d'arte per conto di Boussod e Valadon, i successori dell'impresa Goupil. Egli lo ospitò nella sua casa, dove Vincent allestì lo studio e dipinse vedute della capitale, e gli presentò i maggiori pittori impressionisti. Inizialmente, la loro pittura lo interessò molto poco:[9]

« Ad Anversa non sapevo nemmeno che cosa fossero gli impressionisti: adesso li ho veduti e pur non facendo ancora parte del loro clan ho molto ammirato alcuni dei loro quadri: un nudo di Degas, un paesaggio di Claude Monet [...] da quando ho veduto gli impressionisti, Le assicuro che né il Suo colore né il mio sono esattamente uguali alle loro teorie »

e ribadirà ancora la sua lontananza da quella pittura due anni dopo alla sorella:[10]

« quando si vedono per la prima volta si rimane delusi: le loro opere sono brutte, disordinate, mal dipinte e mal disegnate, sono povere di colore e addirittura spregevoli. Questa è la mia prima impressione quando sono venuto a Parigi »

Per Vincent, l'arte moderna era rappresentata dalla scuola di Barbizon: oltre all'ormai classico Delacroix, egli ammirava Corot, Daumier, Troyon, Daubigny, Bastien Lepage e soprattutto Millet, che rappresentava per lui il vertice della pittura. L'importanza, che il suo iniziale dilettantismo e la sua inclinazione essenzialmente romantica, attribuiva al soggetto del dipinto e alla correttezza tecnica dell'esecuzione, gli faceva apprezzare perfino un Meissonier, lodatissimo a quel tempo e che pure era molto lontano dal suo spirito. Sapeva tuttavia che l'abilità tecnica non doveva essere il fine dell'arte ma solo il mezzo per poter esprimere quello che sentiva: «quando non posso farlo in modo soddisfacente, mi sforzo di correggermi. Ma se il mio linguaggio non piace, ciò mi lascia completamente indifferente».[11]

L'osservazione più puntuale delle opere degli impressionisti gli fece comprendere l'originalità e i valori racchiusi in quella nuova concezione della visione: anche se non aderì mai a quella scuola, perché egli intese sempre esprimere solo quello che aveva «dentro la mente e il cuore»,[12] guardò con favore a Guillaumin e a Pissarro, e la sua tavolozza, fino a quel momento scura e terrosa, si schiarì proprio grazie all'influsso della pittura impressionista e alleggerì i propri soggetti, tralasciando i temi sociali per i paesaggi e le nature morte; sperimentò anche l'accostamento dei colori complementari cimentandosi, nell' Interno di ristorante, con la tecnica puntinista inventata da Seurat.

Con Bernard, suo grande amico all'epoca, andò spesso a dipingere ad Asnières, il sobborgo che sorgeva sulle rive della Senna; espose suoi dipinti nella bottega di colori di père Tanguy e, insieme con il gruppo del Petit boulevard di Anquetin, Bernard, Gauguin e Toulouse-Lautrec, nel café Tambourin, gestito dall'ex-modella di Degas, l'italiana Agostina Segatori, con la quale, per qualche mese, ebbe una relazione.

I rapporti con il fratello Théo non erano sempre facili: pur volendosi molto bene, entrambi soffrivano di disturbi nervosi. Il carattere, generoso ma imprevedibile e collerico di Vincent, non gli rendeva agevole mantenere durevoli rapporti di amicizia; egli stesso si rendeva conto di non riuscire a non esprimere direttamente i propri sentimenti e a non manifestare con violenza le proprie opinioni: «non riesco a starmene tranquillo, le mie idee fanno talmente parte di me stesso che, talora, mi sembra che mi prendano alla gola».[13]

Il desiderio di conoscere il Mezzogiorno francese, «dove c'è più colore, più sole»,[14] con la sua luce e i suoi colori mediterranei così lontani dal cromatismo nordico, fu una buona occasione per porre fine a una convivenza divenuta difficile.

Arles (1888)


Trasferitosi ad Arles il 20 febbraio 1888, andò ad alloggiare prima in albergo e poi, in maggio, affittò un appartamento di quattro stanze di una casa dalle mura gialle che si affacciava sulla piazza Lamartine,[15] ritratta in un quadro famoso.

Produsse una tela dopo l'altra, come temesse che la sua ispirazione, esaltata dalla novità del nuovo modello del mondo provenzale, potesse abbandonarlo. Si sentiva trascinato dall'emozione, che egli identificava con la sincerità dei suoi sentimenti verso la natura: le emozioni che provava di fronte alla natura provenzale potevano essere così forti da costringerlo a lavorare senza sosta, allo stesso modo per il quale non si possono fermare i pensieri, quando questi si sviluppano in una coerente sequenza nella propria mente.[16] D'altra parte, affermava di mettere sulla tela non impressioni momentanee, ma immagini studiate a lungo e assimilate nel suo spirito attraverso una lunga e precedente osservazione del modello.

Del modello naturale confessava di non poter fare a meno: non si sentiva in grado di inventare un soggetto anzi, per quanto riguarda le forme, aveva «il terrore di allontanarsi dal verosimile»[17] ma non aveva problemi a combinare diversamente i colori, accentuandone alcuni e semplificando altri. Scrisse alla sorella Wilhelmina:[18]

« La natura di questo paesaggio meridionale non può essere resa con precisione con la tavolozza di un Mauve, per esempio, che appartiene al Nord e che è un maestro e rimane un maestro del grigio. La tavolozza di oggi è assolutamente colorata: celeste, arancione rosa, vermiglio, giallo vivissimo, verde chiaro, il rosso trasparente del vino, violetto. Ma, pur giocando con tutti questi colori, si finisce con il creare la calma, l'armonia »

Al fratello confidò[19] di aver abbandonato le tecniche utilizzate a Parigi, che risentivano dell'esperienza impressionista, per ribadire la visione romantica di Delacroix, non ritraendo fedelmente quello che gli sta di fronte ma ricercando il vigore dell'espressione attraverso il libero uso del colore. E all'amico pittore Bernard:[20]

« Non seguo alcun sistema di pennellatura: picchio sulla tela a colpi irregolari che lascio tali e quali. Impasti, pezzi di tela lasciati qua e là, angoli totalmente incompiuti, ripensamenti, brutalità: insomma, il risultato è, sono portato a crederlo, piuttosto inquietante e irritante, per non fare la felicità delle persone con idee preconcette in fatto di tecnica [...] gli spazi, limitati da contorni espressi o no, ma in ogni caso sentiti, li riempio di toni ugualmente semplificati, nel senso che tutto ciò che sarà suolo parteciperà di un unico tono violaceo, tutto il cielo avrà una tonalità azzurra, le verzure saranno o dei verdi blu o dei verdi gialli, esagerando di proposito, in questo caso, le qualità gialle o blu »



Sperimentava tecniche diverse, ora mettendo in risalto le forme circondandole di contorni scuri e pennellando lo sfondo a strati, per creare una struttura a traliccio, ora ondulando i contorni per accentuare la struttura delle forme, ora punteggiando con brevi pennellate e ora invece spremendo il colore dal tubetto direttamente sulla tela. Altre volte si convinceva «di non disegnare più il quadro con il carboncino. Non serve a niente; se si vuole un buon disegno, si deve eseguire direttamente con il colore».[21]

Andando incontro a un desiderio di Vincent, nell'estate del 1888 Théo van Gogh contattò Gauguin, offrendo di pagargli il soggiorno ad Arles con il fratello e garantendogli l'acquisto di dodici suoi quadri ogni anno per 150 franchi. Gauguin, dopo qualche esitazione, accettò, pensando di mettere da parte quanto gli era necessario per realizzare il suo desiderio di trasferirsi, di lì a un anno, in Martinica.

Il dramma di Arles


Nell'attesa dell'arrivo di Gauguin, Van Gogh si preoccupò di arredare con qualche altro mobile l'appartamento e ornò con propri quadri la camera da letto. Gli scrisse:[22]

« ho fatto, sempre come decorazione, un quadro della mia camera da letto, con i mobili in legno bianco, come sapete. Ebbene, mi ha molto divertito fare questo interno senza niente, di una semplicità alla Seurat; a tinte piatte, ma date grossolanamente senza sciogliere il colore; i muri lilla pallido; il pavimento di un rosso qua e là rotto e sfumato; le sedie e il letto giallo cromo; i guanciali e le lenzuola verde limone molto pallido; la coperta rosso sangue, il tavolo da toilette arancione; la catinella blu; la finestra verde. Avrei voluto esprimere il riposo assoluto attraverso tutti questi toni così diversi e tra i quali non vi è che una piccola nota di bianco nello specchio incorniciato di nero, per mettere anche là dentro la quarta coppia di complementari »

Eppure, vi è chi ha visto[23] nel dipinto di questa camera da letto il desiderio mancato di rappresentare il sonno e il riposo: «La tragedia della sua mente si avvicinava con segni di squilibrio e non gli permetteva né riposo né sonno. Nella camera abbandonata regna la calma, ma è una calma senza speranza e senza pietà. È una camera vuota, ma non per caso. Essa è abbandonata per sempre causa la partenza o la morte. I colori sono brillanti e puri, senza ombre, ma non suggeriscono gioia, anzi soltanto tristezza. È un riposo nato dalla disperazione. Così i colori rivelano l'animo dell'artista a sua insaputa. Non si rende conto di quel che sente, né nella sua lettera, né nella sua pittura, e perciò il suo sentimento, la sua accorata umiltà, è espresso spontaneamente».

Gauguin giunse ad Arles il 29 ottobre 1888. All'opposto di Van Gogh, rimase subito deluso di Arles, «il luogo più sporco del Mezzogiorno», e della Provenza: «Trovo tutto piccolo, meschino, i paesaggi e le persone»;[24] il sogno di Van Gogh di fondare un'associazione di pittori che perseguissero un'arte nuova lo lasciava scettico; quanto a sé, egli contava soltanto di trasferirsi, non appena ne avesse avuto la possibilità, ai tropici; lo irritavano anche le abitudini disordinate di Vincent e la sua scarsa oculatezza nell'amministrare il denaro che avevano messo in comune.

Invece Van Gogh manifestava un'aperta ammirazione per Gauguin, che considerava un artista superiore: riteneva che le proprie teorie artistiche fossero molto banali se confrontate con le sue e la propria resa pittorica sempre inferiore, persino grossolana, rispetto al modello naturale. Nelle sue memorie,[25] Gauguin volle attribuirsi, generalmente a torto, il merito di aver corretto la tavolozza di Van Gogh:

« Vincent, quando sono arrivato ad Arles, militava nella scuola neoimpressionista, anzi vi sguazzava, cosa che lo faceva soffrire, non perché questa scuola, come tutte le scuole, sia cattiva, ma perché non corrispondeva alla sua natura così impaziente e così indipendente. Con tutti questi gialli sui violetti, tutto questo lavoro sui complementari - lavoro disordinato, d'altra parte - non riusciva a raggiungere che delle dolci armonie, incomplete e monotone; ci mancava lo squillo di tromba. Mi assunsi il compito di chiarirglielo, e mi fu facile, perché trovavo un terreno ricco e fecondo »

Anche nella valutazione degli altri pittori, le loro opinioni divergevano: Van Gogh ammirava Daumier, Daubigny, Félix Ziem, Théodore Rousseau, «tutte persone che non posso vedere», e non apprezzava, contrariamente a Gauguin, Raffaello, Ingres, Degas: di Vincent, «cervello disordinato», Gauguin non riusciva a spiegarsi né i principi critici né quelle che considerava contraddizioni fra i principi e la pittura realizzata, trovando anche in queste divergenze la radice del prossimo, drammatico conflitto.

Nei primi giorni del dicembre 1888 Gauguin fece il ritratto di Van Gogh, rappresentandolo nell'atto di dipingere girasoli. Vincent commentò: «Sono certamente io, ma io divenuto pazzo». Nelle sue memorie Gauguin scrive che quella sera stessa, al caffè, i due pittori bevvero molto e improvvisamente Vincent scagliò il suo bicchiere contro la sua testa, che Gauguin riuscì appena a evitare: da quel momento Gauguin prese la decisione di partire da Arles. Seguirono giorni di tensione: anche una visita al museo di Montpellier per osservare le opere di Delacroix e di Courbet degenerò in litigio.

L'episodio più grave accadde il pomeriggio del 23 dicembre: Van Gogh - la ricostruzione del fatto è tuttavia controversa - avrebbe rincorso per strada Gauguin con un rasoio, rinunciando ad aggredirlo quando Gauguin si voltò, affrontandolo. Tornato a casa, mentre Gauguin andò ad alloggiare in albergo, preparandosi a lasciare Arles, Van Gogh, in preda ad allucinazioni, si tagliò metà dell'orecchio sinistro, lo incartò, lo consegnò a Rachele, una prostituta del bordello che i due pittori erano soliti frequentare, e tornò a dormire a casa sua. La mattina seguente venne fatto ricoverare dalla polizia in ospedale: ne uscì il 7 gennaio 1889. Tuttavia, due storici di Amburgo, Hans Kaufmann e Rita Wildegans sostengono nel libro "L'orecchio di Van Gogh, Paul Gauguin e il patto del silenzio" che fu Gauguin a mutilare l'amico dopo la lite, mentre l'esperto francese Pascal Bonafoux sostiene che questa teoria è clamorosamente errata.[26]

Suoi buoni amici, in questi frangenti, furono il dottor Rey, il pastore Salles e il postino Roulin, del quale aveva fatto qualche mese prima un ritratto rimasto celebre: in questa occasione dipinse cinque versioni del ritratto della moglie Augustine, spedendone una a Gauguin, e dipinse anche sé stesso, con l'orecchio bendato. Alternava periodi di serenità, nei quali era in grado di valutare lucidamente e ironicamente tutto quello che gli era successo, a momenti di ricadute nella malattia: il 9 febbraio, dopo una crisi nella quale credette che qualcuno volesse avvelenarlo, fu nuovamente ricoverato in ospedale. Uscito, vi fu ricondotto in marzo dalla polizia a seguito di una petizione firmata il 26 febbraio da ottanta cittadini di Arles.

In ospedale, ricevette la visita di Signac, che ottenne il permesso di accompagnarlo nella sua casa gialla: «Per tutto il giorno mi parlò di pittura, di letteratura, di socialismo. La sera era un po' stanco. Tirava un maestrale spaventoso che forse lo aveva innervosito. Volle bere un litro di essenza di trementina che si trovava sul tavolo in camera. Era ora di rientrare all'ospedale».[27]

Il 17 aprile il fratello Théo si sposò. Vincent scrisse alla sorella, come rassegnato di dover ormai convivere per sempre con la sua malattia:[28]

« Leggo poco per aver tempo di riflettere. È molto probabile che abbia ancora tanto da soffrire. E questo non mi va affatto, a dire il vero, perché in nessun modo desidero il ruolo di martire [...] Prendo tutti i giorni il rimedio che l'incomparabile Dickens prescriveva contro il suicidio. Consiste in un bicchiere di vino, un boccone di pane e di formaggio e una pipa di tabacco »

Al fratello espresse la volontà di essere internato in una casa di cura:[29]

« Mi sento decisamente incapace di ricominciare a riprendere un nuovo studio e di restarci solo, qui ad Arles [...] a te, a Salles, a Rey io chiedo di fare in modo che alla fine del mese o all'inizio di maggio io possa andare come pensionato internato [...] se l'alcool è stato certamente una delle più grandi cause della mia follia, allora è venuta molto lentamente e se ne andrà molto lentamente, se se ne andrà [...] Infine, bisogna prendere una posizione di fronte alle malattie del nostro tempo [...] io non avrei precisamente scelto la follia, se c'era da scegliere, ma una volta che le cose stanno così, non vi si può sfuggire. Tuttavia esisterà forse ancora la possibilità di lavorare con la pittura »

L'8 maggio 1889 Van Gogh, accompagnato dal pastore Salles, entrò volontariamente nella Maison de santé di Saint-Paul-de-Mausole, un vecchio convento adibito a ospedale psichiatrico, a Saint-Rémy-de-Provence a venti chilometri da Arles.

A Saint-Rémy-de-Provence (1889)


La diagnosi del direttore della clinica, il dottor Peyron, fu di epilessia. Oggi si ritiene che Van Gogh soffrisse di psicosi epilettica o "latente epilessia mentale": preceduti dallo "stadio crepuscolare", egli subiva attacchi di panico e allucinazioni ai quali reagiva con atti di violenza e tentativi di suicidio, seguendo alla fine uno stato di torpore. Nei lunghi intervalli della malattia era in grado di comportarsi in modo del tutto normale.

della cosa e a poco a poco posso arrivare a considerare la pazzia una malattia come un'altra».[30]

La finestra munita di sbarre guardava un giardino della clinica e, al di là di quello, i campi e, più lontano, le montagne delle Alpilles, l'ultima catena delle Alpi francesi. Aveva a disposizione per lavorare un'altra camera vuota, poteva anche andare a dipingere fuori dal manicomio, accompagnato da un sorvegliante, e si manteneva in contatto epistolare con il fratello che gli spediva libri e giornali.

« Osservo negli altri che anch'essi durante le crisi percepiscono suoni e voci strane come me e vedono le cose trasformate. E questo mitiga l'orrore che conservavo delle crisi che ho avuto [...] oso credere che una volta che si sa quello che si è, una volta che si ha coscienza del proprio stato e di poter essere soggetti a delle crisi, allora si può fare qualcosa per non essere sorpresi dall'angoscia e dal terrore [...] Quelli che sono in questo luogo da molti anni, a mio parere soffrono di un completo afflosciamento. Il mio lavoro mi preserverà in qualche misura da un tale pericolo »
(Lettera a Théo van Gogh, 25 maggio 1889)

A giugno cominciò a dipingere cipressi: «il cipresso è bello come legno e come proporzioni, è come un obelisco egiziano. E il verde è di una qualità così particolare. È una macchia nera in un paesaggio assolato, ma è una delle note più interessanti, la più difficile a essere dipinta che io conosca»[31] e spedì al fratello un gruppo di tele, che gli vennero lodate.

Ad agosto subì un grave attacco, con allucinazioni e un tentativo di suicidio, dal quale si rimise a fatica a settembre, quando ricevette la notizia che due suoi dipinti, la Notte stellata e le Piante di iris, erano state esposte al Salon des Artistes Indépendants di Parigi.

Nella Notte stellata Van Gogh sembra allontanarsi decisamente dalla diretta osservazione della natura, per esprimere uno stato d'animo attraverso la libera fantasia, per liberare le proprie emozioni piuttosto che ricercare un aspetto nascosto del paesaggio. Ma in quella visione della luna, delle stelle e di fantasiose comete è «come se il cielo, passando attraverso i suoi gialli e i suoi azzurri, diventasse un irradiarsi di luci in moto per incutere un timor panico agli umani che sentono il mistero della natura».[32] E l'intento perseguito nel Oliveto con nuvola bianca, viene spiegato da Vincent al fratello come risultato di ricerca stilistica:[33]

« Gli ulivi con la nuvola bianca e lo sfondo di montagne, così come il sorgere della luna e l'effetto notturno, costituiscono un'esagerazione dal punto di vista dell'esecuzione; le linee sono incisive come quelle degli antichi legni. Là dove queste linee sono serrate e volute comincia il quadro, anche se può sembrare esagerato. È un po' quello che sentono Bernard e Gauguin. Non ricercano la forma esatta di un albero, ma vogliono assolutamente che sia definito se essa è tonda o quadrata, e io do loro ragione, perché sono esasperato dalla perfezione fotografica e banale di certuni [...] io mi sento spinto a ricercare, se vuoi, uno stile, ma intendendo con questo un disegno più maturo e più intenzionale [...] gli studi disegnati con grandi linee nodose come nell'ultimo invio non erano quello che dovevano essere, ma voglio convincerti che nei paesaggi si continuerà ad ammassare le cose mediante un disegno che cerca di esprimere il groviglio delle masse »



A novembre ricevette l'invito a esporre sue tele all'associazione «Les XX», a Bruxelles: accettò, inviando sei quadri, due Girasoli, L'edera, Frutteto in fiore, Campo di grano all'alba e La vigna rossa.

Fu il pittore Bernard a invitare il critico d'arte Albert Aurier, redattore de «Le Moderniste» e ammiratore della letteratura simbolista, a interessarsi di Van Gogh: questi pubblicò allora sul «Mercure de France» del gennaio 1890 l'articolo Les Isolés: Vincent van Gogh in cui analizzò ed esaltò entusiasticamente la sua pittura. Definì inizialmente la sua personalità:

« La scelta dei soggetti, il rapporto costante delle annotazioni più ardite, lo studio coscienzioso dei caratteri, la continua ricerca del segno essenziale per ogni cosa, mille significativi particolari testimoniano irrefutabilmente la sua profonda e quasi infantile sincerità, il suo grande amore per la natura e per la verità, per la sua verità. Ciò che caratterizza tutta la sua opera è l'eccesso, l'eccesso della forza, l'eccesso della nervosità, la violenza dell'espressione. nella sua categorica affermazione della caratteristica delle cose, nella sua sovente temeraria semplificazione delle forme, nella sua insolenza nel guardare il sole in faccia, nella foga del suo disegno e del suo colore, fino ai più piccoli particolari della sua tecnica, si rivela una personalità potente, maschia, audace, molto brutale ma a volte ingenuamente delicata. Questo, inoltre, si intuisce anche dalle esagerazioni quasi orgiastiche presenti in tutta la sua pittura: è un esaltato, nemico della sobrietà borghese e delle minuzie, una specie di gigante ebbro [...] un genio folle e terribile, spesso sublime, qualche volta grottesco, quasi sempre svelante qualcosa di patologico »

In seguito, Aurier rintracciò la sostanza della sua pittura nella poetica del simbolismo: Van Gogh percepirebbe

« le segrete caratteristiche delle linee e delle forme, ma più ancora dei colori, le sfumature invisibili alle menti sane, le magiche irradiazioni delle ombre [...] egli è quasi sempre un simbolista [...] perché sente la continua necessità di rivestire le sue idee di forme precise, consistenti, tangibili, di involucri materiali e carnali. In tutti i suoi quadri, sotto questo involucro fisico, sotto questa carne trasparente, sotto questa materia così materia, è nascosta, per gli spiriti che la sanno cogliere, un'Idea [...] »

Per quanto riguarda la sua tecnica,

« l'esecuzione è vigorosa, esaltata, brutale, intensa. Il suo disegno rabbioso, potente, spesso maldestro e un po' grossolano, esagera il carattere, lo semplifica, elimina abilmente i dettagli, attinge una sintesi magistrale, qualche volta il grande stile [...] è il solo pittore che concepisca il cromatismo degli oggetti con questa intensità, con questa qualità da metallo prezioso »

Non credeva che Van Gogh potesse mai godere del successo che pure avrebbe meritato:

« quando anche la moda farà sì che i suoi quadri vengano comprati - cosa poco probabile - ai prezzi delle infamie di Meissonier, non penso che tanta sincerità possa suscitare la tardiva ammirazione del grosso pubblico. Vincent van Gogh è al contempo troppo semplice e troppo raffinato per lo spirito borghese contemporaneo. Sarà completamente compreso soltanto dai suoi fratelli, gli artisti »

Per quanto Van Gogh potesse essere lusingato dalle lodi, giudicò l'articolo più un interessante pezzo di letteratura, piuttosto che un'analisi corretta della sua pittura. Al critico rispose direttamente[34] che le valutazioni sul suo cromatismo gli sembravano più pertinenti se riferite a un pittore come Adolphe Monticelli e difese anche la pittura di Meissonier, per il quale espresse «un'ammirazione senza limiti».

Riguardo al suo presunto simbolismo, si espresse con il fratello[35] respingendo ogni sua adesione a quella corrente: «mi è così cara la verità, mi è così caro cercare di fare il vero che credo di preferire rimanere un calzolaio piuttosto che un musicista con i colori».

In ogni caso, l'articolo suscitò interesse nell'ambiente artistico e durante la mostra dei XX a Bruxelles uno dei quadri inviati da Van Gogh, La vigne rouge, dipinto l'anno prima ad Arles, fu acquistato il 14 febbraio per 400 franchi dalla pittrice belga Anna Boch[36], sorella del pittore Eugène, conosciuto da Vincent e fondatore del gruppo dei XX: il primo e unico dipinto venduto in vita da Van Gogh.

Qualche giorno dopo si recò da solo ad Arles: al ritorno in clinica ebbe una grave e lunghissima crisi, dalla quale sembrava non potersi rimettere mai, tanto che fu lasciato a se stesso, libero di fare quel che voleva finché, ingeriti i colori, gli fu impedito di dipingere. Solo alla fine di aprile fu in grado di riprendersi e manifestò allora[37] il suo desiderio di lasciare la clinica, vista la mancanza di benefici per la sua salute.

Si era intanto aperta a Parigi, il 19 marzo, una mostra dei pittori indipendenti, inaugurata dal Presidente della Repubblica - dimostrazione di quanto la moderna pittura impressionista, neo-impressionista e post-impressionista fosse ormai divenuta «rispettabile» - e Van Gogh vi partecipava con dieci tele. erano esposti dipinti di Seurat, Signac, Toulouse-Lautrec, il doganiere Rousseau, Guillaumin, Dubois-Pillet, Théo van Rysselberghe, Anquetin, Lucien Pissarro, Henry van de Velde. Monet sostenne che le opere di Van Gogh erano le cose migliori della mostra e anche Gauguin gli scrisse, congratulandosi: «con soggetti ispirati alla natura, là siete il solo che pensa»

Decisa ormai la partenza - «qui l'ambiente comincia a pesarmi più di quanto possa esprimere: ho pazientato più di un anno, ho bisogno d'aria, mi sento oppresso dalla noia e dal dolore»[38] - i soggetti degli ultimi dipinti di Vincent a Saint-Rémy si alleggeriscono: sono rose e iris su un fondo uniforme, ora con un «effetto dolce e armonioso per la combinazione dei verdi, rosa, violetti», ora con «un effetto di complementari terribilmente disparati che si esaltano per la loro opposizione».[39]

Il 16 maggio 1890 Vincent lasciò definitivamente Saint-Rémy per raggiungere il fratello a Parigi. Il direttore della clinica aveva rilasciato regolare autorizzazione e stilato l'ultima scheda. Rilevate le molte crisi avute dall'artista durante la sua permanenza, della durata ciascuna di alcune settimane - ma l'ultima di quasi due mesi - e i suoi tentativi di avvelenarsi con i colori e il petrolio, il dottor Peyron concludeva le sue osservazioni scrivendo: «Guarito».

Ad Auvers-sur-Oise (1890)


Vincent arrivò a Parigi il 17 maggio e conobbe per la prima volta il nipotino e la signora Van Gogh, la quale trovò il cognato un uomo «forte, largo di spalle, con un colorito sano, un'espressione allegra e un'aria decisa». Passò tre giorni in casa del fratello, riesaminando i tanti suoi quadri che nel tempo gli aveva mandato, visitò il Salon, dove rimase colpito da un Puvis de Chavannes, e una mostra d'arte giapponese. Poi, come convenuto, il 21 maggio partì per stabilirsi a Auvers-sur-Oise, un villaggio a 30 chilometri da Parigi, dove risiedeva un medico amico di Théo, il dottor Paul-Ferdinand Gachet (1828-1909), che si sarebbe preso cura di lui.

Van Gogh prese alloggio nel caffè-locanda gestito dai coniugi Ravoux, nella piazza del Municipio. Appariva abbastanza soddisfatto della nuova sistemazione: «Auvers è di una bellezza severa, e la campagna è caratteristica e pittoresca».[40]

Il sessantaduenne dottor Gachet, omeopata, darwinista, favorevole alla cremazione dei defunti - un'opinione scandalosa a quei tempi - repubblicano, socialista e libero pensatore, era un personaggio molto noto a Auvers dove abitava in un villino che dominava il paese. Laureatosi a Montpellier in medicina generale e con un particolare interesse per la psichiatria, aveva a lungo esercitato a Parigi, dove aveva conosciuto molti artisti, da Victor Hugo a Gustave Courbet, da Manet a Renoir e a Cézanne, e la sua casa conservava parecchie tele di impressionisti, oltre a una notevole quantità di soprammobili e oggetti vari che Van Gogh chiamava «nere anticaglie».

Era anche disegnatore, pittore - partecipò a esposizioni firmandosi con lo pseudonimo di van Ryssel - e incisore dilettante: nella macchina della sua casa Cézanne, Pissarro e Guillaumin avevano eseguito alcune incisioni e fu su suo consiglio che Van Gogh eseguì la sua unica acquaforte, rappresentante lo stesso dottor Gachet. La sua competenza nelle cose artistiche, certe comuni preferenze e anche il suo garbo e la sua natura fondamentalmente malinconica fecero presa sul pittore, che frequentò spesso la sua casa, ritraendo due volte la figlia Marguerite e non mancando di fargli il ritratto, che replicò in una seconda versione:[41]

« lavoro al suo ritratto; la testa, con un berretto bianco, molto bionda, molto chiara; anche la carnagione delle mani molto bianca, un frac blu e uno sfondo blu cobalto; appoggiato a una tavola rossa, sopra la quale c'è un libro giallo e una pianta di digitale dai fiori purpurei [...] Gachet è assolutamente fanatico di questo ritratto »

In quegli stessi giorni Van Gogh confidò[42] che il suo maggior interesse, nella pittura, era il ritratto, «il ritratto moderno»:

« Vorrei fare dei ritratti che tra un secolo, alla gente di quel tempo, sembrassero delle apparizioni. Non cerco di raggiungere questo risultato attraverso la somiglianza fotografica, ma attraverso un'espressione appassionata, impiegando come mezzo di espressione e di esaltazione del carattere la nostra conoscenza e il nostro gusto moderno del colore »

n giugno Théo e la famiglia gli fecero visita e progettarono la possibilità di affittare a Auvers una casa dove Vincent avrebbe potuto vivere insieme a qualche altro artista. La visita fu ricambiata da Vincent il 6 luglio a Parigi, dove incontrò Toulouse-Lautrec e, per la prima volta, il critico d'arte Albert Aurier. In quei giorni Théo, oltre ad avere il figlio seriamente malato, era afflitto da problemi di lavoro: così, Vincent preferì ritornare presto a Auvers, non sopportando il clima di tensione che percepiva nella famiglia del fratello.

Cominciava a temere una nuova crisi, e l'eventualità lo rendeva particolarmente nervoso: ebbe una violenta lite con Gachet per motivi banali - gli rimproverava di non aver fatto incorniciare una tela di Guillaumin che il dottore teneva in casa - e scrisse al fratello:[43]

« Credo che non bisogna contare in alcun modo sul dottor Gachet. Mi sembra che sia più malato di me, o almeno quanto me. Ora, quando un cieco guida un altro cieco, non andranno a finire tutti e due nel fosso? Non so che dire. Certamente la mia ultima crisi, che fu terribile, fu in gran parte dovuta all'influenza di altri malati; e poi la prigione mi opprimeva e il dottor Peyron non ci faceva caso, lasciandomi vegetare in quell'ambiente profondamente corrotto »

Dipinse il Paesaggio con cielo tempestoso, il Campo di grano con volo di corvi e Il giardino di Daubigny e scrisse:[44]

« Mi sono rimesso al lavoro, anche se il pennello mi casca quasi di mano e, sapendo perfettamente ciò che volevo, ho ancora dipinto tre grandi tele. Sono immense distese di grano sotto cieli tormentati, e non ho avuto difficoltà per cercare di esprimere la mia tristezza, l'estrema solitudine »

È certo che egli non faceva nulla per alleviare la sua solitudine nonostante ne fosse oppresso: non frequentò mai i non pochi pittori che soggiornavano a Auvers - uno di essi, l'olandese Anton Hirschig, alloggiava nel suo stesso albergo - anche se forse loro stessi, spaventati, lo evitavano, a causa della sua malattia. Per lo stesso Hirschig, egli «aveva un'espressione assolutamente folle, con gli occhi infuocati, che non osavo guardare»

Il suicidio


La sera del 27 luglio 1890, una domenica, dopo essere uscito per dipingere i suoi quadri come al solito nelle campagne che circondavano il paese, rientrò sofferente nella locanda e si rifugiò subito nella sua camera: al Ravoux che, non vedendolo presentarsi per il pranzo, salì per accertarsi della sua salute e lo trovò sdraiato sul letto, confessò di essersi sparato un colpo di rivoltella al petto in un campo vicino.

Le tombe di Vincent e Théo van Gogh ad Auvers-sur-Oise

Al dottor Gachet che, non potendo estrargli il proiettile, si limitò a fasciarlo ma gli esprimeva, per rincuorarlo, la sua speranza di salvarlo, rispose che egli aveva tentato coscientemente il suicidio e che, se fosse sopravvissuto, avrebbe dovuto «riprovarci» - «volevo uccidermi, ma ho fatto cilecca» - esclamò; rifiutò di dare spiegazioni del suo gesto ai gendarmi e, con il fratello Théo che, avvertito, era accorso la mattina dopo, Vincent passò tutto il 28 luglio, fumando la pipa e chiacchierando seduto sul letto: gli confidò ancora che la sua «tristezza non avrà mai fine». Sembra che le sue ultime parole fossero: «ora vorrei ritornare».[45] Poco dopo ebbe un accesso di soffocamento, poi perse conoscenza e morì quella notte stessa, verso l'1,30 del 29 luglio.

In tasca gli trovarono una lettera non spedita a Théo, dove aveva scritto, tra l'altro: «Vorrei scriverti molte cose ma ne sento l'inutilità ... per il mio lavoro io rischio la vita e ho compromesso a metà la mia ragione ... ».

In quanto suicida, il parroco di Auvers si rifiutò di benedire la salma e il carro funebre fu fornito da un municipio vicino. Il 30 luglio la bara, rivestita da un drappo bianco e ricoperta di fiori gialli, fu calata in una fossa accanto al muro del piccolo cimitero di Auvers: assistevano Théo, che non smetteva di piangere, il dottor Gachet e i pochi amici giunti da Parigi: Lucien Pissarro, figlio di Camille, Emile Bernard, père Tanguy.

Pochi mesi dopo anche Théo van Gogh venne ricoverato in una clinica parigina per malattie mentali. Dopo un apparente miglioramento, si trasferì a Utrecht, dove morì il 25 gennaio 1891, a sei mesi di distanza dal fratello. Nel 1914 le sue spoglie, per volontà della vedova, furono trasferite ad Auvers e tumulate accanto a quelle di Vincent.


L'arte di Van Gogh


Non si può sostenere che la pittura sia stata una vocazione per Van Gogh, che infatti cominciò a dipingere dopo aver compiuto ventotto anni. A giudicare dagli anni della sua piena giovinezza, se egli ebbe una vocazione, fu quella di essere vicino ai miseri della terra, i braccianti, i contadini poveri e gli operai per i quali il lavoro rappresentava la maggiore sofferenza, quelli delle miniere. Figlio di un pastore protestante, cercò di unire la solidarietà sociale al messaggio evangelico, ma la Chiesa ufficiale sembrò sospettosa e forse spaventata dell'unione di quel duplice messaggio e gli negò il suo appoggio.

Un'altra contingenza familiare - l'attività del fratello Théo nell'ambito del commercio d'arte - lo indirizzò alla pittura, dove raccolse e fece proprio il messaggio, che non era soltanto artistico, ma ancora sociale ed etico, di Daumier, Courbet e Millet. La maggiore realizzazione di questo periodo fu I mangiatori di patate, nei quali, oltre a voler esprimere la propria simpatia verso gli umili, immedesimando in loro se stesso, volle soprattutto rappresentare - come scrisse - coloro che esprimono la dignità della propria umanità, vivendo pur miseramente ma del prodotto del loro lavoro, seppure, come è stato detto,[46] egli qui non fu «ben servito né dal suo disegno pesante e materiale, né dal suo colore assai scuro e sporco, senza energia né vitalità». E tuttavia, ancora alla fine del 1887, da Parigi confidava che «le scene di contadini che mangiano patate»[47] erano ancora le cose migliori che avesse mai fatto.

A Parigi Van Gogh comprese la necessità di concentrarsi non tanto su un soggetto determinato, ma su come dipingere: assimilò il modo impressionista ma senza accettarlo, perché egli aveva necessità di porsi direttamente di fronte alle cose, eliminando la mediazione degli effetti atmosferici e delle vibrazioni di luce. Il paesaggio meridionale della Provenza, con la certezza della sua visione immobile e assolata, serviva al meglio al suo scopo.

Così, nella Pianura della Crau, dipinta nel giugno del 1888 ad Arles, i colori si distendono in zone compatte, susseguendosi in profondità,[48]

« risultano a un tempo più intensi e preziosi e più calmi, di quella calma che è propria della certezza alfine raggiunta. Se in primo piano vi sono ancora i tocchi impressionistici, più lontano le zone danno al motivo una consistenza e una chiarezza assoluta. I toni di giallo, dal limone all'arancio, appaiono interrotti da una zona di verde, si spingono all'orizzonte che è alto ma lontano, così da apparire infinito, contro il cielo di un verde azzurro tendente al grigio. L'arte di Van Gogh, che era estremamente soggettiva, si è fatta oggettiva, l'anima dell'artista si è distaccata dal suo prodotto, si è annullata nell'oggetto, l'ha reso stupendo per sé, un'immagine da adorare »

Ci si chiede perché egli abbia abbandonato la polemica sociale, pur mantenendo costante il suo impegno morale: o forse, se egli abbia realmente abbandonato quella polemica e non l'abbia invece trasformata in una ancora più generale e radicale.

Da Arles, nell'agosto 1888, scriveva[49] di essere tornato alle idee sostenute prima di trasferirsi a Parigi, ossia alla necessità di rendere con maggior forza la realtà attraverso un uso «arbitrario» del colore: così, il ritratto di un artista dovrà essere sì il più fedele possibile quanto ai lineamenti, ma per esprimere che quell'artista «sogna sogni grandiosi» e «lavora come l'usignolo canta, perché così è la sua natura», dovrà esagerare il biondo dei capelli, arrivando fino «al limone pallido», e come sfondo, anziché la banale parete di un appartamento, dipingere «l'infinito», il «turchino più intenso e più violento», in modo che «la testa bionda illuminata sullo sfondo turchino cupo» ottenga un effetto misterioso, «come una stella nel profondo azzurro».

In generale, egli si pone il problema di[50]

« dipingere degli uomini e delle donne con un non so che di eterno [...] mediante la vibrazione dei notri colori [...] il ritratto con dentro il pensiero, l'anima del modello [...] esprimere l'amore di due innamorati con il matrimonio di due colori complementari, la loro mescolanza e i loro contrasti, le vibrazioni misteriose dei loro contrasti [...] esprimere la speranza con qualche stella. L'ardore di un essere con un'irradiazione di sole calante [...] non è forse una cosa che esiste realmente? »

Detto altrimenti, si potrebbe sostenere che van Gogh,[51]

« ha capito che l'arte non deve essere uno strumento, ma un agente della trasformazione della società e, più a monte, dell'esperienza che l'uomo fa del mondo. Nel generale attivismo, l'arte deve inserirsi come una forza attiva, ma di segno contrario: lampante scoperta della verità contro la crescente tendenza all'alienazione e alla mistificazione. Anche la tecnica della pittura deve mutare, opporsi alla tecnica meccanica dell'industria come un fare suscitato dalle forze profonde dell'essere: il fare etico dell'uomo contro il fare razionale della macchina. Non si tratta più di rappresentare il mondo in modo superficiale o profondo: ogni segno di Van Gogh è un gesto con cui affronta la realtà per cogliere e far proprio il suo contenuto essenziale, la vita »

La vita che esprime nel modo più immediato è certamente quella data da un modello vivente, quale che sia, come il signor Joseph Roulin, il postino di Arles. La realtà del suo modello è indubitabile: è un uomo biondo, dagli occhi azzurri e veste una divisa blu. Ma è nella possibilità del pittore costruire mediante il colore quell'esistenza che, da oggetto indipendente, viene rifatto, rivivendo così un'esistenza che è propria solo in quanto è stata ricreata dall'artista. Poiché i colori dominanti del dipinto sono il blu e il giallo, il tavolo diviene verde in quanto è la fusione dei due colori fondamentali, e il fondo bianco della parete, nel riflesso del blu della divisa, diviene celeste: «la materia pittorica acquista un'esistenza autonoma, esasperata, quasi insopportabile: il quadro non rappresenta, è».

Il ritratto di Joseph Roulin non ha nulla di «tragico» in sé: la tragedia sta nel vedere e vedersi[52]

« con così lucida, perentoria evidenza. È tragico riconoscere il nostro limite nel limite delle cose e non potersene liberare. È tragico, di fronte alla realtà, non poterla contemplare, ma dover fare e fare con passione e con furia: lottare per impedire che la sua esistenza sopraffaccia e distrugga la nostra. L'arte diventa allora (avrebbe detto Pavese) il mestiere di vivere: ed è questo mestiere della vita che Van Gogh disperatamente contrappone al lavoro meccanico dell'industria, che non è vita. La polemica iniziale non è stata dunque abbandonata, ma portata a un livello più profondo, dove non è in gioco soltanto il contenuto, il soggetto, la tesi, ma la sostanza, l'esistenza dell'arte »

Opere


1882
• Ragazza in un bosco, Museo Kröller-Müller di Otterlo
• Donne che portano sacchi di carbone, Museo Kröller-Müller di Otterlo
1884
• Tessitore al telaio, Museo Kröller-Müller di Otterlo
1885
• I mangiatori di patate, Van Gogh Museum di Amsterdam
• Paesaggio al tramonto, Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid
• Natura morta con Bibbia, Van Gogh Museum di Amsterdam
1886
• Vaso di altee, Kunsthaus Zurich di Zurigo
1887
• Restaurant de la Sirène ad Asnières, Museo d'Orsay, Parigi
• Un paio di scarpe, Van Gogh Museum di Amsterdam
• Due girasoli, Metropolitan Museum of Art di New York
• Giapponeseria: Oiran, Van Gogh Museum di Amsterdam
• L'Italiana, Musée d'Orsay di Parigi
• Fritillaria imperiale in un vaso di rame, Museo d'Orsay, Parigi
• Ritratto di père Tanguy, Musée Rodin di Parigi
1888
• Il ponte di Langlois, Museo Kröller-Müller di Otterlo
• La Mousmé seduta, National Gallery di Washington
• Seminatore al tramonto, Museo Kröller-Müller di Otterlo
• Vaso di girasoli, Van Gogh Museum di Amsterdam
• Salici al tramonto, Museo Kröller-Müller di Otterlo
• Il postino Joseph Roulin, Museum of Fine Arts di Boston
• Ritratto di Eugène Boch, Museo d'Orsay, Parigi
• Notte stellata sul Rodano, Museo d'Orsay, Parigi
• Ritratto di Milliet, Museo Kröller-Müller di Otterlo
• Terrazza del caffè la sera, Place du Forum, Arles, Museo Kröller-Müller di Otterlo
• Il caffè di notte interno, Art Gallery dell'Università di Yale
• Il caffè di notte esterno, Museo d'Orsay
• Les Alyscamps, Museo Kröller-Müller di Otterlo
• La casa gialla, Van Gogh Museum di Amsterdam
• La camera di Vincent ad Arles, Van Gogh Museum di Amsterdam
• La sedia di Vincent, National Gallery di Londra
• La sedia di Gauguin, Van Gogh Museum di Amsterdam
• L'Arlesiana, Metropolitan Museum of Art di New York
• Spettatori nell'arena, Museo dell'Ermitage di San Pietroburgo
• Autoritratto con l'orecchio bendato, Courtauld Gallery, Londra
• Ramo di mandorlo in fiore in un bicchiere, Van Gogh Museum di Amsterdam
1889
• La Berceuse, Museo Kröller-Müller di Otterlo
• Ritratto del dottor Rey, Museo Puškin di Mosca
• Davanti al manicomio di Saint-Rémy, Museo d'Orsay, Parigi
• Il giardino di Saint-Paul, Collezione privata
• Lillà, Museo dell'Ermitage di San Pietroburgo
• Iris, Paul Getty Museum, Los Angeles
• Vaso con iris, Metropolitan Museum of Art di New York
• Natura morta con tavolo da disegno, pipa, cipolle e cera, Museo Kröller-Müller di Otterlo
• Notte stellata, The Museum of Modern Art di New York
• Autoritratto, Museo d'Orsay, Parigi
• Corsia dell'ospedale di Arles, Collezione privata
• Campo di grano con cipressi, National Gallery di Londra
• Luna che sorge[53]
• Campo di grano, Národní Galerie, Praga
1890
• La ronda dei carcerati, Museo Puškin di Mosca
• L'Arlesiana, Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma
• Ramo di mandorlo fiorito, Van Gogh Museum di Amsterdam
• Casolari con il tetto di paglia a Cardeville, Museo d'Orsay, Parigi
• Ritratto del dottor Gachet, Collezione privata
• Marguerite Gachet nel giardino, Museo d'Orsay, Parigi
• Marguerite Gachet al piano, Kunstmuseum di Basilea
• La chiesa di Auvers, Museo d'Orsay, Parigi
• Campo di grano con volo di corvi, Van Gogh Museum di Amsterdam
• Il buon samaritano
• Casa bianca di notte[53]
• Strada con cipressi e cielo stellato[53]
• I primi passi (secondo Millet)

Filmografia


Sono una trentina i film e i telefilm dedicati al grande artista olandese. Il più noto è forse Brama di vivere, del 1956, di Vincente Minnelli con Kirk Douglas nel ruolo di Van Gogh e Anthony Quinn in quello di Paul Gauguin. Nel film Vincent & Theo, del 1990, di Robert Altman, il personaggio del pittore è interpretato da Tim Roth.

Alain Resnais realizzò nel 1946 il documentario Van Gogh e Van Gogh è anche un film di Maurice Pialat, uscito nel 1991 e interpretato da Jacques Dutronc.

Van Gogh è rappresentato anche in uno degli otto episodi del film Sogni di Akira Kurosawa, intitolato Corvi e interpretato dal regista Martin Scorsese.

Nella quinta stagione della serie fantascientifica inglese Doctor Who, Van Gogh (interpretato dall'attore Tony Curran) è il coprotagonista del decimo episodio, Vincent and the Doctor, in cui lo stesso pittore è in grado di vedere un mostro che risulta invece invisibile a tutti gli altri.

Musica


In omaggio al grande pittore, un gruppo spagnolo pop si chiama La Oreja de Van Gogh (L'orecchio di Van Gogh); un altro gruppo rock serbo si chiama Van Gogh. Di seguito, alcuni brani musicali dedicati all'artista:
• Don McLean, Vincent, canzone rifatta fra gli altri anche da Roberto Vecchioni (1971)
• Grigorij Samuilovič Frid, Lettere di van Gogh, opera in 2 parti per baritono, clarinetto, percussioni, piano e archi op. 69 (1975)
• Bertold Hummel, 8 frammenti di lettere di van Gogh per baritono e quartetto d'archi op. 84 (1985)
• Einojuhani Rautavaara, Vincent, opera in 3 atti (1986-1987)
• Einojuhani Rautavaara, Vincentiana, sinfonia n° 6 (1992)
• Henri Dutilleux, Corrispondenze, per soprano e orchestra (2002-2004)

Curiosità


- Il famoso pittore, inoltre, veniva canzonato con il nome di lunatico; per la sua particolare tecnica di disegno, e soprattutto per l'opera:"Notte stellata".
- Sulla mutilazione di Van Gogh, ancora adesso le fonti sono discordanti. Il dottor Rey che lo curò ed il poliziotto che fu chiamato in soccorso dalle prostitute la notte fatale del 23 dicembre affermavano che l'orecchio era completamente mutilato (questa è la versione anche di Gauguin, sebbene lui abbia rivisto l'amico solo quando esanime e già fasciato); ma il figlio del dottor Gachet, così come la moglie di Theo e Signac affermavano che si fosse tagliato soltanto il lobo. Secondo il dr.Rey, l'orecchio mutilato fu portato in ospedale con ritardo, troppo tardi per tentare una sutura. Il dottor Peyron di Saint-Remy, nel referto di ammissione di Vincent nel manicomio, scrisse che il paziente s'era mutilato "recidendosi l'orecchio".
- La prostituta Sien, dopo essersi separata da Vincent, tornò sulla strada. Ad inizio del XX secolo contrasse un matrimonio di convenienza con un uomo altolocato "per dare ai suoi figli un nome"; poi, in preda all'alcool e alla depressione, si suicidò annegandosi.
- Ad Auvers sur-Oise è ancor oggi vivo il ricordo del soggiorno di Van Gogh. A tal proposito, gli è stato dedicato un piccolo parco con una statua in bronzo scolpita da Ossip Zadkine. Inoltre, è possibile ancor oggi identificare i luoghi dipinti dall'artista grazie a delle riproduzioni dei quadri stessi in loco.
- Nonostante sia stata da lui ritratta più volte, la moglie del postino Roulin confiderà anni dopo alla figlia Marcelle di aver sempre provato un certo timore in presenza dell'artista.
- Il celeberrimo Ritratto del dottor Gachet fu venduto da Christie's a New York nel maggio 1991 per la cifra di 82,5 milioni di dollari, e detenne per quasi un decennio il primato per il prezzo più alto mai pagato per un quadro.
- Contrariamente a quanto si pensa, quando morì Van Gogh aveva la barba rasata. Un disegno fattogli dal dottor Gachet sul letto di morte (replicato poi in numerose acqueforti) ed oggi conservato al Museo d'Orsay lo conferma.
- La grandezza di Van Gogh venne riconosciuta all'unanimità solo negli anni dieci del XX secolo, e per giunta non nella natìa Olanda, bensì in Germania. A prova di ciò, sta il fatto che la casa natale dell'artista a Zundert venne abbattuta nel 1903.
- Spesso a corto di denaro, Van Gogh era solito dipingere nuovi quadri su tele già utilizzate in precedenza e delle quali non era soddisfatto. Varie sue opere, esaminate con i raggi X, lo confermano.
- Alcune opere dell'artista sono andate purtroppo distrutte in guerra (Il pittore sulla via di Tarascona, una versione dei Girasoli). Altre hanno subito numerose vicissitudini, quali furti (I mangiatori di patate, ritrovato, Spiaggia a Scheveningen), danneggiamenti, falsificazioni. Il Ritratto del Dottor Rey fu talmente disprezzato dalla madre del medico, da essere usato per tappare un buco nella rete di un pollaio.
- Recentemente (2010), un Ritratto d'uomo attribuito da sempre a Van Gogh ed esposto a Melbourne s'è rivelato un falso, realizzato probabilmente da qualche contemporaneo del pittore. Negli stessi giorni, una prima versione di Burrone a Saint-Remy è stata ritrovata sotto l'originale, conservato ad Otterlo.
Il 21 agosto 2010 è stato rubato in un museo de Il Cairo il quadro "I Papaveri" (valutato più di 39.000.000 di Euro).
 
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MiSsBlackWhitE
view post Posted on 31/10/2011, 09:45     +1   -1




Ragazza in un bosco

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Ragazza in un bosco (in olandese Meisje in het bos) è un dipinto a olio su tela di Vincent van Gogh, di 39 x 59 cm, eseguito nell’agosto 1882 a L'Aja, e conservato al museo Kröller-Müller di Otterlo. Il dipinto non è firmato.

Con la fine del 1881, ma soprattutto col 1882 Van Gogh passa dal semplice disegno al dipinto, convinto che
« il cielo, la terra, il mare richiedono l’uso del pennello nel senso che, se si vuole rappresentarli attraverso il solo disegno, è indispensabile saper usare il pennello con la sensibilità che questo mezzo richiede. »
(Lettera 223 al fratello Théo van Gogh)


Per esercitarsi trova una ricca fonte di soggetti nei paesaggi attorno a L'Aja, in particolare nei boschi, “già molto autunnali” [1]. Uno dei paesaggi di questo periodo è questa scena del bosco: una ragazza vestita di bianco appoggiata ad un grosso tronco di albero, un tappeto di foglie che coprono il terreno. Per essere vendibile, il pittore lo carica di luminosità, per essere certo che “si può respirare in esso, e camminarvi e sentire l’odore del bosco” [2]. Nella stessa lettera al fratello Théo, Vincent traccia uno schizzo del dipinto.


Donne che portano sacchi di carbone

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"Donne che portano sacchi di carbone" è un dipinto ad acquarello di cm 32 x 50 realizzato nel 1882 dal pittore Vincent Van Gogh. È conservato al Museo Kröller-Müller di Otterlo.

Il dipinto si riferisce al periodo trascorso dell'artista nelle miniere del Borinage, anche se è stato eseguito ad alcuni anni di distanza, durante le lezioni di disegno del cugino Anton Mauve.
 
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MiSsBlackWhitE
view post Posted on 31/10/2011, 09:49     +1   -1




Tessitore al telaio

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"Tessitore al telaio" è un dipinto ad olio su tela di cm 64 x 80 realizzato nel 1884 dal pittore Vincent Van Gogh.

È conservato al Rijksmuseum Kröller-Müller di Otterlo.
 
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MiSsBlackWhitE
view post Posted on 31/10/2011, 09:57     +1   -1




I mangiatori di patate

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''I mangiatori di patate'' (olandese: De Aardappeleters) è un dipinto ad olio su tela di cm 82 x 114 realizzato nell'aprile dell'1885 dal pittore olandese Vincent Van Gogh. È conservato al Museo Van Gogh di Amsterdam.

Si tratta del dipinto più importante del periodo olandese di Van Gogh, prima del suo trasferimento a Parigi. Lavorò su questa tela dal 13 aprile fino all'inizio di maggio, periodo in cui il pittore aveva quasi ultimato l'opera eccetto per alcuni cambiamenti apportati più tardi ma sempre nello stesso anno con un piccolo pennello.

La personalità di Van Gogh comincia ad emergere con le "opere nere" del periodo olandese, quando inizia ad impegnarsi su decine di studi su alcuni temi particolari, come i mangiatori di patate, il suo primo capolavoro.

Questo dipinto mostra, all'interno di una povera stanza, alcuni contadini che consumano il pasto serale servendosi da un unico piatto di patate, mentre una di loro sta versando il caffè. Van Gogh è molto legato a questo soggetto in quanto si sente come "uno di loro", anche i contadini come lui soffrono ed egli trova ingiusto il fatto che nonostante tutti i loro sforzi ed i loro sacrifici debbano vivere in modo così misero; viene sottolineata la continua fatica fisica di chi ha consumato, giorno dopo giorno, la propria vita nel lavoro dei campi. Per questo motivo l'artista è come se volesse esaltare il cibo dei poveri. Van Gogh stesso esprime un suo pensiero riguardo a questo quadro da lui così sentito: “ho voluto, lavorando, far capire che questa povera gente, che alla luce di una lampada mangia patate servendosi dal piatto con le mani, ha zappato essa stessa la terra dove quelle patate sono cresciute; il quadro, dunque, evoca il lavoro manuale e lascia intendere che quei contadini hanno onestamente meritato di mangiare ciò che mangiano. Non vorrei assolutamente che tutti si limitassero a trovarlo bello o pregevole”. Alla resa oggettiva della realtà si sostituisce un'interpretazione di essa. La luce, provenendo dall'alto e colpendo perciò soltanto alcune parti, provoca contrasti chiaroscurali e accentua la caratterizzazione dei volti, delle mani, degli abiti. Singolare è la rappresentazione del volto e delle mani dipinti in modo caricaturale: con questo il pittore vuole esagerare e intensificare la realtà (la caricatura e la deformazione sono, infatti, un'esagerazione della realtà stessa, al fine di renderla più intensa). Il colore, che richiama le tecniche fiamminghe, è monocromatico; ciò fa sì che l'occhio non sia appagato ma percepisca la realtà attraverso l'interiorità di Van Gogh.


Paesaggio al tramonto

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Paesaggio al tramonto è una tela applicata su cartone di cm 35 x 43 realizzata nel 1885 dal pittore Vincent Van Gogh.

È conservata al Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid.

Il paesaggio rappresentato da Van Gogh è quello di Neunen, residenza dei suoi genitori tra il 1883 ed il 1885. Il soggetto sembra casuale, dal momento che non è presente alcun edificio di rilievo.


Natura morta con Bibbia

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Natura morta con Bibbia è un dipinto ad olio su tela di cm 65 x 78 realizzato nel 1885 dal pittore Vincent Van Gogh. È conservato al Van Gogh Museum di Amsterdam.

Il quadro è stato dipinto a Neunen, il paese dove vivevano i genitori di Van Gogh, presso i quali l'artista stesso visse tra il 1883 ed il 1885.

Dipinse questa tela sette mesi dopo l'improvvisa morte del padre Theodorus, avvenuta il 26 marzo del 1885. Nella tela compaiono un romanzo moderno, una Bibbia aperta che occupa il centro del quadro e una candela spenta, elementi che si ricollegano alla tradizione del Seicento olandese e in particolare alla tradizione iconografica della vanitas. Pur ponendosi all'interno della tradizione storico-artistica, ne infrange gli schemi: vi è un ricorso al simbolismo personale che mira ad una ricostruzione della sua identità. Lasciandosi trasportare dal suo nuovo interesse per il colore e da una tecnica pittorica perfezionata nei suoi quattro anni di studio indipendente, Van Gogh istituì una serie di opposizioni tra grande e piccolo, aperto e chiuso, monocromo e colorato.

La Bibbia è aperta al capitolo 53 del Libro di Isaia, ed è il carme più frequentemente citato tra quelli detti del "Servo di Dio". La candela spenta sta ad indicare la metafora comune della caducità dell'esistenza, ma anche l'assoluta sfiducia nei confronti di quella religione, nella quale Van Gogh s'era rifugiato negli anni precedenti.

In primo piano è raffigurato "La joie de vivre" di Émile Zola, uno degli autori preferiti di Vincent. L'opera rappresenta la conferma della modernità del suo autore: l'occhio dell'osservatore viene attirato dalla copertina gialla del romanzo moderno, come per sottolineare la tensione ideologica e religiosa presente tra Vincent e suo padre (che detestava Zola ed i naturalisti francesi, ritenendoli "immorali").
 
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MiSsBlackWhitE
view post Posted on 31/10/2011, 09:59     +1   -1




Vaso di altee

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Vaso di altee è un dipinto ad olio su tela di cm 91 x 50,5 realizzato nel 1886 dal pittore Vincent Van Gogh. È conservato al Kunsthaus di Zurigo.

Da quando nel 1886 Vincent si trasferì a Parigi presso il fratello Theo, iniziò a dipingere un gran numero di composizioni floreali.
 
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MiSsBlackWhitE
view post Posted on 31/10/2011, 16:03     +1   -1




Restaurant de la Sirène ad Asnières

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Restaurant de la Sirène ad Asnières è un dipinto a olio su tela di cm 54 x 65 realizzato nel 1887 dal pittore Vincent Van Gogh. È conservato al Musée d'Orsay di Parigi.

Il ristorante raffigurato è solo un pretesto utilizzato da Van Gogh per mostrare uno scorcio suburbano e per sperimentare le nuove tecniche apprese durante il soggiorno parigino.

Un paio di scarpe

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Un paio di scarpe è un dipinto a olio su tela di cm 37,5 x 45,5 realizzato nel 1886 dal pittore Vincent van Gogh. È conservato nel Van Gogh Museum di Amsterdam.

Picasso, prendendo spunto da questa e da altre opere di analogo soggetto, dirà che «van Gogh è immenso perché capace di nobilitare col suo pennello anche un paio di vecchie scarpe».


L'analisi di Heidegger


Questo dipinto è stato preso come esempio da Martin Heidegger nel suo saggio L'origine dell'opera d'arte; in seguito, in relazione al senso con cui Heidegger intese il soggetto dipinto da van Gogh, sorse una vivace polemica con lo storico dell'arte ed esperto dell'opera di van Gogh, Meyer Schapiro. Successivamente, anche il filosofo francese Jacques Derrida prese posizione contro le tesi elaborate da Heidegger.

Il saggio di Heidegger, pubblicato nel 1950, è l'elaborazione di una conferenza tenuta a Friburgo nel 1935. La premessa generale formulata dal filosofo tedesco è che nell'origine di una qualsiasi opera d'arte consiste la sua essenza, essendo l'essenza «ciò da cui e per cui una cosa è ciò che è ed è come è». Secondo Heidegger, ne deriva che è l'artista stesso l'origine dell'opera, ma nello stesso tempo anche «l'opera è origine dell'artista», nella misura in cui il pittore, dando origine a un'opera d'arte, diviene egli stesso un artista.

A questo punto, sembra che la comune origine, sia dell'artista che dell'opera d'arte, sia l'«arte». Il problema è definire l'arte, individuare la sua essenza. Ricavare deduttivamente il concetto di arte significherebbe ammettere che esso esiste indipendentemente e precedentemente le opere d'arte stesse e, al contrario, ricavare induttivamente dall'analisi di concrete opere d'arte il concetto di arte, significherebbe ammettere che determinate opere sono «artistiche», riconoscendo perciò di possedere già quel concetto di arte che pure si cerca di definire. È allora necessario partire dall'analisi di una precisa opera, per verificare la presenza in essa dell'elemento «arte».

Qualunque opera è innanzi tutto una «cosa». La cosa, nella tradizione filosofica occidentale, è una sostanza - hypostasis o substantia - specificata da una serie di accidenti, che viene percepita come aistheton, oggetto sensibile, ed eidos, unione di materia, hyle, e forma, morphé. Se è vero che qualunque cosa ha una materia e una forma non necessariamente modellata dalla mano dell'uomo, vi sono però anche cose che esistono nella forma che l'attività umana le ha dato: sono le cose prodotte dall'uomo per un suo particolare scopo, che perciò Heidegger chiama le «cose-mezzo». Esattamente come ogni cosa ha un suo «esser-cosa», ciascun «mezzo» ha un suo «esser-mezzo» e ciascuna opera un «esser-opera»: riuscendo a definire il «mezzo» si potrebbe riuscire a risalire alla corretta definizione di «opera» e di qui a quella di «opera d'arte».

A questo scopo, Heidegger prende ad esempio un particolare mezzo:

« Consideriamo, ad esempio, un mezzo assai comune: un paio di scarpe da contadina. Per descriverle, non occorre averne un particolare paio sotto gli occhi. Tutti sanno cosa sono. Ma poiché si tratta di una descrizione immediata, può essere utile facilitare la visione sensibile. A tal fine può bastare una rappresentazione figurativa. Scegliamo ad esempio un quadro di van Gogh, che ha ripetutamente dipinto questo mezzo. Che cosa c'è da vedere in esso? [...] La contadina calza le scarpe nel campo. Solo qui esse sono ciò che sono. Ed esse sono tanto più ciò che sono quanto meno la contadina, lavorando, pensa alle scarpe o le vede o le sente. Essa è in piedi e cammina in esse. Ecco come le scarpe servono realmente. È nel corso di questo uso concreto del mezzo che è effettivamente possibile incontrarne il carattere di mezzo. Fin che noi ci limitiamo a rappresentarci un paio di scarpe in generale o osserviamo in un quadro le scarpe vuotamente presenti nel loro non-impiego, non saremo mai in grado di cogliere ciò che, in verità, è l'esser-mezzo del mezzo. Nel quadro di van Gogh non potremmo mai stabilire dove si trovino quelle scarpe. Intorno a quel paio di scarpe da contadino non c'è nulla di cui potrebbero far parte, c'è solo uno spazio indeterminato. Grumi di terra dei solchi o dei viottoli non vi sono appiccicati, denunciandone almeno l'impiego. Un paio di scarpe da contadino e null'altro. Tuttavia ... nell'orifizio oscuro dell'interno logoro si palesa la fatica del cammino percorso lavorando. Nel massiccio pesantore della calzatura è concentrata la durezza del lento procedere lungo i distesi e uniformi solchi del campo, battuti dal vento ostile. Il cuoio è impregnato dell'umidore e dal turgore del terreno. Sotto le suole trascorre la solitudine del sentiero campestre nella sera che cala. Per le scarpe passa il silenzioso richiamo della terra, il suo tacito dono di messe mature e il suo oscuro rifiuto nell'abbandono invernale. Dalle scarpe promana il silenzioso timore per la sicurezza del pane, la tacita gioia della sopravvivenza al bisogno, il tremore dell'annuncio della nascita, l'angoscia della prossimità alla morte. Questo mezzo appartiene alla terra e il mondo della contadina lo custodisce. Da questo appartenere custodito, il mezzo si immedesima nel suo riposare in se stesso [...] »

L'«esser-mezzo» di questo «mezzo», l'essenza delle scarpe, secondo Heidegger, non consiste tanto nel suo valore d'uso, nella possibilità che esse offrono di far camminare meglio e di proteggere i piedi del suo proprietario dalle asperità della terra, ma più precisamente nella «fidatezza» (Verlässigkeit), nella fiducia che il suo proprietario ripone nella loro funzione di mezzo:

« Il quadro ci ha parlato. Stando davanti all'opera, ci siamo improvvisamente trovati in una dimensione diversa da quella in cui siamo comunemente. L'opera d'arte ci ha fatto conoscere che cosa veramente sono le scarpe [...] il quadro di van Gogh è l'aprimento di ciò che il mezzo, il paio di scarpe, è in verità. Questo ente si presenta nel non-nascondimento del suo essere. Il non-esser-nascosto dell'ente è ciò che i Greci chiamano ὰλήθεια [1] [...] Nell'opera d'arte la verità dell'ente si è posta in opera [...] Nel quadro di Van Gogh si storicizza la verità. Ciò non significa che qualcosa di semplicemente presente venga riprodotto, ma che nel palesarsi dell'esser-mezzo delle scarpe pervengono al non esser-nascosto l'ente nel suo insieme, il Mondo e la Terra nel loro gioco reciproco »

Qui Heidegger intende come la Terra, nel suo perenne movimento, scandisca il tempo nel quale nuovi mondi sorgono e altri tramontano: le opere d'arte, in quanto ci sono state conservate nel tempo, mostrano il mondo nel quale esse sono state prodotte e mostrano se stesse «come «essenti-state». È come essenti-state che ci stanno innanzi nella prospettiva della tradizione e della conservazione. In questa loro significazione, gli autori delle opere d'arte perdono ogni rilievo:

« Non si tratta di rendere pubblico l' NN fecit: ciò che nell'opera deve essere tenuto nell'aperto è il semplice factum est, cioè questo: che qui si è storicizzato il non-esser-nascosto dell'ente e che si storicizza ancora, proprio perché si è storicizzato »
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Le repliche di Meyer Schapiro e di Jacques Derrida
Venuto a conoscenza dello scritto di Heidegger, ed esaminate le otto paia di scarpe dipinte in carriera da van Gogh - e in particolare il dipinto del Museo Van Gogh segnalatogli [2] dallo stesso filosofo tedesco - lo storico dell'arte americano Schapiro replicò nel 1968 osservando che quelle non erano scarpe da contadino, bensì le «scarpe dell'artista, tipiche di un uomo che allora viveva in città». Ma anche se Van Gogh avesse voluto rappresentare effettivamente delle scarpe da contadino, egli avrebbe finito per trasformare quelle scarpe in una sorta di parziale autoritratto:

« Si può vedere nel dipinto delle scarpe di van Gogh la rappresentazione di un oggetto vissuto dall'artista come una parte importante di se stesso, un oggetto nel quale il pittore si osserva come in uno specchio »

La posizione di Schapiro è opposta a quella di Heidegger: nell'opera d'arte si realizza in pieno la soggettività dell'artista e il soggetto del dipinto finisce con essere la manifestazione della personalità dell'artista.

Nel 1978 fu pubblicato lo scritto di Jacques Derrida La verità in pittura, nel quale il filosofo francese valutava le posizioni di Heidegger e Schapiro. In fondo, osserva ironicamente, ciascuno dei contendenti, attribuendo le scarpe a una contadina l'uno e a van Gogh l'altro, intende appropriarsene per se stesso: Schapiro, rivendicando la propria competenenza dei fatti pittorici e Heidegger, sottointendendo la propria capacità di interpretare - in virtù della propria cultura filosofica - fatti che hanno origine in un mondo prossimo a quello, arcaico, della sua Svevia, nel quale egli si sentiva profondamente radicato. Naturalmente, il testo di Heidegger non intendeva essere un saggio di critica artistica, ma il difetto - lo «sproloquio», secondo l'espressione di Derrida - dell'analisi di Heidegger, si rivela proprio quando, volendo negare, per la reale comprensione dell'essere dell'opera, ogni riferimento al creatore del dipinto, egli è costretto ad attribuire comunque un proprietario - in questo caso, una contadina - a quelle scarpe, reintroducendo un soggetto che compromette la comprensione oggettiva di quell'«esser-mezzo»:

« Io mi accontenterei di poter dire alla fine: molto semplicemente, queste scarpe non appartengono a nessuno, non sono né presenti né assenti, ci sono delle scarpe, punto e basta »

Altre versioni del dipinto


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Due girasoli

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Due girasoli è un dipinto ad olio su tela di cm 43,2 x 61 realizzato nel 1887 dal pittore Vincent Van Gogh. È conservato al Metropolitan Museum of Art di New York.

Giapponeseria: Oiran

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Giapponeseria: Oiran è un dipinto ad olio su tela di cm 105,5 x 60,5 realizzato nel 1887 dal pittore Vincent Van Gogh. È conservato al Van Gogh Museum di Amsterdam.

L'esotismo, compreso quello giapponese, era molto in voga alla fine dell'800; tra gli artisti che lo presero a spunto per le loro opere possiamo ricordare ad esempio Edgar Degas e Claude Monet.

L'Italiana

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L'Italiana è un dipinto ad olio su tela di cm 81 x 60 realizzato nella primavera - estate del 1887 dal pittore Vincent Van Gogh. È conservato al Musée d'Orsay di Parigi.

Soggetto


Il soggetto rappresentato è una donna seduta, presumibilmente Agostina Segatori, ex modella di Degas e proprietaria di un caffè francese denominato Le Tambourin, con la quale Van Gogh ebbe una relazione: l'intimità fra i due avrebbe permesso al pittore di esporre delle stampe giapponesi in mostra presso il locale della donna, il rapporto intimo fra i due venne in seguito interrotto burrascosamente.

Su sfondo giallo si staglia la donna ritratta frontalmente, vestita in abiti folcloristici e con un fazzoletto rosso in testa che ne copre i capelli neri. La sedia sulla quale è seduta, blu, si percepisce appena dallo schienale che spunta dietro di lei.

Tecnica pittorica


Una soppressione di riferimenti prospettici fa acquisire alla tela una certa bidimensionalità, la quale manca però nella testa della figura, arricchita di toni chiaroscurali che ne fanno intuire la profondità e la consistenza. Sul lato destro e su quello superiore della tela è stata dipinta una cornice i cui colori richiamano quelli della gonna della modella. Nel dipinto Van Gogh sperimenta appieno quella tecnica impressionista appresa appena arrivato nella grande città. In particolare, è evidente l'influenza delle stampe giapponesi, che avranno su Van Gogh un'influenza determinante.

Esposizioni


Grazie al legame con la Segatori, Van Gogh potrà esporre nella hall del Cafè Le Tambourin assieme ai colleghi Toulouse Lautrec, Emile Bernard e Paul Gauguin, formando il cosiddetto gruppo degli Impressionistes di Petit Boulevard, in contrapposizione agli Impressionistes du Grand Boulevard (Monet, Seurat, ecc.) che esponevano nella galleria del fratello Theo.

Altri dipinti correlati


La Segatori posò per Van Gogh per un'altra tela (Donna al Cafè Le Tambourin) e quasi sicuramente per dei nudi. Quando il legame con la Segatori si ruppe, Van Gogh dovette introdursi nottetempo e furtivamente nel Cafè per recuperarvi le tele custodite.

Fritillaria imperiale in un vaso di rame

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La Fritillaria imperiale in un vaso di rame è un dipinto realizzato da Vincent Van Gogh nel 1887 e attualmente conservato presso il Musée d'Orsay di Parigi. Le dimensioni del dipinto sono 73,5 × 60,5 cm. I fiori ritratti da Van Gogh appartengono alla specie Fritillaria imperialis.

Ritratto di père Tanguy

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Il Ritratto di père Tanguy è un dipinto ad olio su tela di cm 92 x 75 realizzato tra il 1887 ed il 1888 dal pittore Vincent Van Gogh. È conservato al Musée Rodin di Parigi.

Julienne François Tanguy era proprietario di un colorificio parigino. Van Gogh, ma come lui molti altri artisti dell'Impressionismo e del Post-impressionismo, si riforniva presso di lui.

Père significa padre, in francese ed era il soprannome di Tanguy, dovuto alla sua gentilezza e al suo spirito caritatevole, che lo spingeva ad acquistare i quadri degli artisti che altrimenti non potevano permettersi i materiali per dipingere.

Lo sfondo del quadro è composto da soggetti di ispirazione nipponica.
 
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MiSsBlackWhitE
view post Posted on 31/10/2011, 21:55     +1   -1




Il ponte di Langlois

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Il ponte di Langlois è il nome di una serie di quadri dipinti tra il 1888 e il 1889 da Vincent Van Gogh. Le differenti versioni sono conservato presso il Rijksmuseum Kröller-Müller di Otterlo (F 397), il Museo Wallraf-Richartz di Colonia (F 570) e il Museo Van-Gogh di Amsterdam (F 400). Una quarta versione (F 571) ad olio ed un acquerello (F 1480) sono conservati presso collezioni private.

I dipinti


Tutte le versioni oggi note furono dipinte da Van Gogh durante il soggiorno ad Arles, in Provenza, dove il pittore s'era recato "alla ricerca del sole e di sè stesso", ispirato anche dalla pittura giapponese.

Ed è appunto allo stile delle stampe orientali (in particolare di Hiroshige) che si deve la composizione e la gamma di colori di queste tele, che raffigurano il ponte levatoio sul canale di Arles con o senza lavandaie, e sotto diversi punti di vista.

La prima versione del dipinto è quella conservata ad Otterlo: raffigura il ponte con delle lavandaie al lavoro in primo piano, mentre un piccolo calesse attraversa il ponte. Un piccolo filare di pioppi sullo sfondo a destra accentua notevolmente la profondità, ed i colori brillanti danno la sensazione di un bel mattino di primavera-estate.

Oltre ai dipinti ad olio, Van Gogh realizzò anche innumerevoli schizzi e disegni sullo stesso soggetto, presenti anche nelle lettere. Il ponte prendeva il nome da un vecchio guardiano, tuttavia nelle lettere Van Gogh lo chiama "Pont de l'Anglois".

Differenti versioni del dipinto ad olio


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La Mousmé seduta

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La Mousmé seduta è un dipinto ad olio su tela di cm 74 x 60 realizzato nel 1888 dal pittore Vincent Van Gogh. È conservato al National Gallery di Washington.

La ragazza ritratta si staglia, nel suo vestito rosso, sullo sfondo monocromo chiaro. Tiene in mano un fiore di oleandro, che l'artista considerava[1] simbolo dell'amore.

Il titolo si riferisce alla protagonista del racconto Madame Crysanthème di Pierre Loti.

Seminatore al tramonto

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Seminatore al tramonto è un dipinto ad olio su tela di cm 64 x 80,5 realizzato nel 1888 dal pittore Vincent Van Gogh. È conservato al Museo Kröller-Müller di Otterlo.

Le raffigurazioni di soggetti campestri fu uno degli interessi di tutta la vita di Van Gogh, ispiratosi Jean-François Millet. Questo quadro fu dipinto in Provenza.

Girasoli

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I girasoli sono una serie di dipinti ad olio su tela realizzati tra il 1888 e il 1889 ad Arles dal pittore Vincent Van Gogh.

Storia


I girasoli sono uno dei soggetti più celebri di Van Gogh, nonché uno dei suoi preferiti.

Tra i vari dipinti, ci sono tre versioni simili con quindici girasoli in un vaso, e due con dodici fiori in un vaso. Van Gogh dipinse il primo Vaso con dodici girasoli, che ora si trova alla e Neue Pinakothek di Monaco, in Germania, il primo Vaso con quindici girasoli, che ora è alla National Gallery di Londra, nell'agosto del 1888, durante la sua permanenza ad Arles, nel sud della Francia. Gli altri dipinti furono realizzati nel gennaio dell'anno successivo. Le tele misurano tutte di 93 × 72 cm. Una prima serie di quattro "Girasoli" era stata dipinta anche a Parigi, nel 1887.

Van Gogh iniziò a dipingere questi quadri a fine estate del 1888 e continuò durante l'anno successivo. Uno di essi andò a rallegrare la stanza dell'amico Paul Gauguin. I dipinti mostrano i girasoli in ciascuna fase della fioritura, dal bocciolo all'appassimento. Furono innovativi per l'uso dell'intero spettro giallo, anche grazie all'invenzione di un nuovo pigmento.

Uno dei girasoli è stato venduto all'asta per 53,9 milioni di dollari l'11 novembre 1987, diventando il dipinto più altamente quotato.

I Girasoli dipinti a Parigi

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I Girasoli dipinti ad Arles

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Salici al tramonto

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Salici al tramonto è un dipinto ad olio su tela applicata su cartone di cm 31,5 x 34,5 realizzato nel 1888 dal pittore Vincent Van Gogh. È conservato al Museo Kröller-Müller di Otterlo.

Questo quadro è stato realizzato in Provenza.

Il postino Joseph Roulin

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"Il postino Joseph Roulin" è un dipinto ad olio su tela di cm 81,3 × 65,4 realizzato nel 1888 dal pittore Vincent Van Gogh.

È conservato al Museum of Fine Arts di Boston che ne è in possesso, in seguito a donazione, dal 1935.

L'uomo in uniforme che fissa l'osservatore del quadro è Joseph Roulin, postino di Arles e buon amico di Van Gogh nel suo soggiorno in quella località. Verrà ritratto più volte nel corso degli anni, solo o in compagnia dei familiari, con i quali Van Gogh era in buoni rapporti. La moglie di Roulin, Augustine, sarà ritratta nella tela La Berceuse.

Roulin indossa la tipica divisa da postino, con giacca decorata e pantaloni blu, un copricapo con l'effigie delle poste francesi. Il volto, sereno e rubizzo, è incorniciato da una folta barba. In una lettera al fratello Theo, Vincent paragonò il postino a Socrate.

Ritratto di Eugène Boch

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Ritratto di Eugène Boch è un dipinto ad olio su tela di cm 60 x 45 realizzato nel 1888 dal pittore Vincent van Gogh. È conservato al Musée d'Orsay di Parigi.

L'opera doveva essere uno studio per "Il poeta contro un cielo stellato". Le stelle sullo sfondo hanno una funzione evocativa, richiamando ad un'atmosfera trascendentale. Eugène Bloch era stato presentato a Vincent da Dodge MacKnight.

Notte stellata sul Rodano

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Notte stellata sul Rodano è un dipinto di Vincent Van Gogh del 1888[1].

Ritratto di Milliet

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Il Ritratto di Millet è un dipinto a olio su tela di cm 60 x 49 realizzato nel 1888 dal pittore Vincent Van Gogh. È conservato al Museo Kröller-Müller di Otterlo.

Raffigura il sottotenente degli zuavi Paul-Eugène Milliet amico di Van Gogh ad Arles.

Terrazza del caffè la sera, Place du Forum, Arles

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Terrazza del caffè la sera, Place du Forum, Arles è un dipinto ad olio su tela di cm 81 x 65,5 realizzato nel 1888 dal pittore Vincent Van Gogh. È conservato al Museo Kröller-Müller di Otterlo.

Van Gogh dedicò diversi quadri a questo soggetto.

In una lettera Van Gogh descrisse le circostanze in cui aveva realizzato l'opera:
« [...] Finora non mi hai detto se hai letto Bel-Ami di Guy de Maupassant oppure no e cosa ne pensi del suo talento. Te lo dico perché l'inizio di Bel Ami contiene una descrizione di una notte illuminata di stelle a Parigi con i caffè vivacemente illuminati sul boulevard ed è pressappoco lo stesso soggetto che ho appena dipinto. [...] »
(Lettera 543)

Les Alyscamps

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Les Alyscamps è un dipinto ad olio su tela di cm 73 x 92 realizzato nel 1888 da Vincent Van Gogh.

È conservato al Rijksmuseum Kröller-Müller di Otterlo.

Gli Alyscamps sono una necropoli di Arles, città del dipartimento delle Bocche del Rodano dove Vincent Van Gogh si recò spesso a dipingere nell'autunno del 1888, in compagnia dell'amico Paul Gauguin che qui lo aveva raggiunto con il proposito di creare un circolo di artisti.

Descrizione


Il quadro è parte di una serie di dipinti del pittore sullo stesso soggetto: il viale, in questa, viene ripreso da un'inquadratura angolare che mette in risalto lo spazio prospettico che converge verso il punto in alto a destra della tela. Il viale alberato e la collina sulla sinistra, oltre al contrasto cromatico tra il viale ed il circostante giardino, accentuano la sensazione dimensionale che permea lo spazio pittorico dipinto da Van Gogh.

La casa gialla

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La casa gialla è un dipinto ad olio su tela di cm 76 x 94 realizzato nel 1888 da Vincent van Gogh. È conservato al Van Gogh Museum di Amsterdam.

Il soggetto del dipinto è uno scorcio di Arles, città nel dipartimento delle Bocche del Rodano, dove Van Gogh prese in affitto la casa ritratta al centro della tela in attesa dell'amico Paul Gauguin, con il quale avrebbe dovuto creare un circolo di artisti.

L'interno della casa è stato ritratto dal Van Gogh nella celebre La camera di Vincent ad Arles, mentre all'estrema sinistra della tela si intravede la piazza Lamartine, sede del caffè più volte da lui ritratto.
 
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MiSsBlackWhitE
view post Posted on 31/10/2011, 22:28     +1   -1




La camera di Vincent ad Arles

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La camera di Vincent ad Arles è un dipinto ad olio su tela di cm 72 x 90 realizzato nell'ottobre del 1888 da Vincent van Gogh.

È conservato al Van Gogh Museum di Amsterdam.

Il dipinto mostra la camera da letto del pittore, dipinta nell'attesa dell'arrivo ad Arles di Paul Gauguin, amico dell'artista: l'incontro avrebbe dovuto dar luogo alla nascita di un circolo artistico.

Van Gogh così descrisse il quadro in una lettera all'amico Gauguin:

« Ho fatto [...] un quadro della mia stanza, con i mobili in legno bianco come sapete. Ebbene mi è piaciuta molto l'idea di dipingere un interno con quasi niente dentro, di una semplicità alla Seurat »
(Lettera a Paul Gauguin, Arles, ottobre 1888)

Sulla destra vi è un letto, ripreso da piedi, sulla parete accanto al quale sono appesi quattro quadri su due ordini: mentre quelli in basso sono sommari e sintetici, quelli in alto sono identificabili in un autoritratto, ed un ritratto del postino Joseph Roulin; a sinistra del letto c'è una coppia di sedie ed un tavolino all'angolo, sopra il quale nel muro si apre, decentrata sulla destra, una finestra il cui panorama ci è negato dai vetri: la ripresa si ferma infatti al caldo interno, piccolo ma spazioso ed arioso.

I toni del verde e del celeste mirano a dare un senso di tranquillità e comoda serenità, rinforzati dalla figurazione pittorica che si sofferma sul grande letto e sui pochi oggetti nella stanza, ordinata e pulita.

Van Gogh avrebbe voluto esprimere nell'opera un senso di tranquillità, ma il risultato è un senso d'angoscia dovuto alla linea spezzata che contorna gli oggetti, i colori netti e privi di ombre e le pareti ed il pavimento inclinati, quasi sul punto di crollare.

Di questo dipinto esistono altre due versioni, entrambe del 1889, che si trovano una a Parigi, l'altra a Chicago (quest'ultima è in cattive condizioni poiché rovinata da una cattiva essiccazione).

La sedia di Vincent

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La sedia di Vincent è un dipinto ad olio su tela di cm 93 x 73,5 realizzato nel 1888 dal pittore Vincent van Gogh.

È conservato alla National Gallery di Londra.

La genesi del dipinto è legata ad un altro simile: La sedia di Gauguin, dipinto nello stesso anno da Van Gogh, nel corso del suo soggiorno ad Arles. Qui, infatti, l'artista trascorse un periodo in compagnia dell'amico e pittore Paul Gauguin, durante il quale accarezzarono l'idea di formare un circolo artistico d'avanguardia che avrebbe preso il nome di "Studio del Sud". In attesa di Gauguin ma anche in sua compagnia, Van Gogh si dedicò spesso alla raffigurazione di interni come La camera di Vincent ad Arles.

La sedia di Vincent, rispetto a quella di Paul, è decisamente meno elegante, di semplice legno con seduta in paglia; ma la cromia delicata è decisamente più solare e vivace, giacché si sofferma sul giallo della seduta, sposandosi con il calore del pavimento di mattoni rosso-arancio e con le pareti dal delicato tono turchese.

Sulla sedia è appoggiata la pipa del pittore con del tabacco (attributi di semplicità) ed in una cesta appoggiata a terra dei girasoli, i fiori preferiti dell'artista.

La sedia di Gauguin

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La sedia di Gauguin è un dipinto ad olio su tela di cm 90,5 x 72,5 realizzato nel 1888 dal pittore Vincent Van Gogh.

È conservato al Van Gogh Museum di Amsterdam.

La genesi del dipinto è legata ad un altro simile: La sedia di Vincent, dipinto nello stesso anno da Van Gogh, nel corso del suo soggiorno ad Arles. Qui, infatti, l'artista trascorse un periodo in compagnia dell'amico e pittore Paul Gauguin, durante il quale accarezzarono l'idea di formare un circolo artistico d'avanguardia, che avrebbe preso il nome di "Studio del Sud". In attesa di Gauguin ma anche in sua compagnia, Van Gogh si dedicò spesso alla raffigurazione di interni come La camera di Vincent ad Arles.

Rispetto a La sedia di Vincent, la seduta scelta per Gauguin è più raffinata, decisamente da salotto. Mentre per la propria sedia il pittore usò colori caldi e vivaci, prevalgono qui tonalità più scure, nonostante le pareti siano di un delicato color turchese ed il tappeto adotti le tonalità del rosso e del giallo. Sulla seduta, vi sono una candela accesa ed un libro, simboli di cultura ed ambizione. Sempre in omaggio alla pittura dell'amico, Van Gogh qui sembra in parte abbandonare la sua tipica pennellata pastosa, per adottarne una più piatta e misurata, tipica della pittura a memoria.

Il contrasto cupo dei colori, ed i continui litigi con l'amico a causa delle differenti vedute artistiche, sembrano quasi evocare il fatto che Gauguin abbia richiamato in vita la notte per Van Gogh: poco tempo dopo, infatti, avverrà tra i due una paurosa lite, a seguito della quale il pittore si taglierà l'orecchio sinistro.

L'Arlesiana

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L'Arlesiana è un dipinto ad olio su tela di cm 91,4 x 73,7 realizzato nel 1888 dal pittore Vincent Van Gogh. È conservato al Metropolitan Museum of Art di New York.

I colori forti e brillanti del dipinto sono caratteristici del periodo di Arles. La donna ritratta è Madame Ginoux, proprietaria di un bar dove Van Gogh si recava spesso.
L'artista realizzò il dipinto approfittando delle sedute di posa che Madame Ginoux concedeva a Gauguin, impegnato nella rappresentazione del locale della signora, per confrontarsi con un dipinto dell'amico.

Particolare è l'inquadratura, che taglia parte di uno dei libri posati sul tavolo e che sorprende la donna in un atteggiamento pensieroso, come una fotografia scattata a sua insaputa.

Van Gogh ne dipinse un'altra versione nel 1890, intitolata sempre L'Arlesiana.

Spettatori nell'arena

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"Spettatori nell'arena" è un dipinto ad olio su tela di cm 73 x 92 realizzato nel 1888 dal pittore Vincent Van Gogh.

È conservato al Museo dell'Ermitage di San Pietroburgo.

È rappresentata l'arena romana di Arles, con un pubblico in subbuglio per la Corrida.

Qui si nota chiaramente l'acuta osservazione con cui il pittore si concentra sul pubblico, anziché sull'evento sportivo, che viene relegato in fondo alla scena e vagamente accennato con qualche indefinita pennellata. I toreri stanno salutando il pubblico dopo aver abbattuto il toro, e gli uomini si accalcano ai bordi dell'arena per rendergli omaggio; viceversa, le donne (in costume tipico arlesiano) già hanno incominciato ad imboccare le uscite, lasciando gli spalti semivuoti: chi chiacchierando in gruppo, chi in solitaria, magari accennando qualche occhiata "storta" verso il pittore (vedi figura a sinistra in p.p.).

Questo dipinto, insieme alla serie degli Alyscamps, è l'unico in cui il pittore raffigura una delle tante rovine romane presenti ad Arles, ma da lui quasi sempre ignorate. Ancora oggi, in estate, nell' Arena romana di Arles vengono organizzate corride e corse di carri.

Autoritratto con l'orecchio bendato

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Autoritratto con l'orecchio bendato è un dipinto ad olio su tela di cm 60 x 49 realizzato nel 1889 dal pittore Vincent Van Gogh. È conservato alla Courtauld Gallery di Londra.

Alla fine del 1888, la convivenza di Van Gogh e Gauguin finì in tragedia: il 23 dicembre, infatti, Vincent si tagliò l'orecchio sinistro con un rasoio e lo portò a una prostituta alla quale si era affezionato. Rimessosi, dopo due settimane in ospedale, si ritrasse più volte con l'orecchio fasciato.

In questa versione, predominano i colori freddi, che danno una nota ancor più malinconica al dipinto. Il volto dell'artista è smunto, lo sguardo perso nel vuoto: il cappello e il cappotto, indossati anche in casa, sembrano suggerire assenza di riscaldamento, che forse, per le condizioni economiche sempre precarie, l'artista non poteva permettersi; ma possono avere anche il significato più profondo di riparo da un mondo che Vincent ritiene ormai nemico. Sulla parete alle sue spalle, si nota una stampa giapponese (di cui era appassionato amatore e che gli fornivano motivi di ispirazione per i suoi dipinti), che però, nonostante i suoi gioiosi colori, e l'equilibrio cromatico con il cerotto bianco applicato sulla ferita (che appare a destra invece che a sinistra, a riprova che l'autoritratto fu eseguito davanti allo specchio), non riesce a trasmettere la stessa gioia e l'armonia che erano invece riusciti all'analogo Ritratto di père Tanguy, di un anno e mezzo prima e simile nella composizione.

Questo ritratto conferma che l'esperienza con Gauguin era stata veramente estrema per Van Gogh, che trascorrerà il suo ultimo anno e mezzo di vita in una solitudine in parte volontaria, in parte forzata.

Ramo di mandorlo in fiore in un bicchiere

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Ramo di mandorlo in fiore in un bicchiere è un dipinto ad olio su tela di cm 24 x 19 realizzato nel 1888 dal pittore Vincent Van Gogh. È conservato al Van Gogh Museum di Amsterdam. La rappresentazione di superfici riflettenti, come l'acqua, è un elemento comune a molti pittori impressionisti. Vincent Van Gogh infatti avendo molte caratteristiche in comune con quest'ultimi viene da molti critici definito post-impressionista.
 
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7 replies since 31/10/2011, 09:35   1933 views
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