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Parafrasi Adelchi di Manzoni del coro atto III: "Dagli atrii muscosi"

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view post Posted on 7/3/2010, 13:45     +1   -1




GLI ADELCHI
Coro dell'atto III

Dagli atri ricoperti di muschio, dai Fori in rovina,
dai boschi, dalle officine riarse stridenti,
dai campi coltivati dagli schiavi,
un popolo disperso si sveglia improvvisamente;
tende l'orecchio, solleva la testa 5
colpito da uno strano rumore crescente.
Il coro si apre con una considerazione amara da parte del Manzoni sulla degradazione del popolo latino. Il Foro, simbolo della civiltà romana, è ormai in rovina, così come le officine dove un tempo si forgiavano le armi. Il popolo latino viene definito dal poeta come un "volgo disperso", perché non ha più nessuna consapevolezza della grandezza civile e militare degli antenati; esso è solamente un popolo schiavo, ben lontano dal riconoscere il rumore dell'appressarsi della guerra, mentre per i romani era così familiare.

Dagli sguardi dubbiosi, dai volti impauriti,
quale raggio di sole traluce da folte nuvole,
che rivela la fiera virtù dei padri:
negli sguardi, nei volti confusi ed incerti 10
si mescolano e si contrastano l'umiliazione della schiavitù
con il misero orgoglio di un tempo ormai andato.
Il ritratto dei latini rivela un popolo che ha ormai perso la propria identità e le proprie radici. L'umiliazione della schiavitù contrasta con un orgoglio di una grandezza ormai passata, e per questo inutile e senza senso. Da qui emerge un accenno polemico nei confronti dei classicisti, che cercavano di far rivivere qualcosa che si allontana di molto dal presente.

Il volgo si raduna voglioso di libertà, si disperde impaurito,
per sentieri tortuosi, con passo incerto,
fra il timore degli antichi padroni e il desiderio della loro sconfitta, avanza e si ferma di nuovo;15
e sogguarda e fissa la turba dispersa scoraggiata e confusa
dei crudeli signori,
che fugge dalle spade dei Franchi, che non si fermano mai.
L'atteggiamento del volgo è incerto: si alternano in esso attimi in cui si desidera la libertà, succeduti dal timore nei confronti degli antichi padroni. Davanti ai loro occhi la folla dei signori Longobardi che fuggono, definita una "turba", ovvero un mucchio di persone senza anima. I "torti sentieri" stanno ad indicare l'incuria e lo stato di inciviltà al quale si è ridotta la società, in contrapposizione con le grandi strade costruite dai romani.

Il volgo li vede agitati, come fiere tremanti,
le rossastre criniere dritte per la paura, 20
che cercano i noti nascondigli;
e qui, messo da parte l'usuale atteggiamento minaccioso,
le donne superbe, con il viso pallido,
guardano pensose i figli pensosi.
I padroni Longobardi vengono paragonati a delle fiere braccate, che per la paura sembrano avere i loro caratteristici capelli rossastri dritti. L'agitazione pervade anche l'animo delle donne, che abbandonano l'atteggiamento da padrone e guardano preoccupate i propri figli, pensando al loro destino.

E appresso ai fuggitivi, con la spada desiderosa di sangue, 25
come cani da caccia sciolti, correndo, frugando,
da destra e da sinistra, arrivano i guerrieri:
il volgo li vede, e estasiato da una contentezza mai provata,
con la galoppante speranza che precorre l'evento,
e sogna la fine della dura schiavitù.
La fuga dei padroni e l'arrivo dei guerrieri longobardi viene paragonata ad una scena di caccia, di fronte alla quale il popolo sogna la liberazione da parte dei soldati stranieri. Da qui comincia ad emergere il pensiero del poeta, finora rimasto estraneo: il sogno è appunto una fantasticheria che non ha nulla a che vedere con la realtà. Si preannuncia dunque l'esito della battaglia per il volgo, che spera in qualcosa che il Manzoni nei versi successivi dimostra come non sia realizzabile.

Udite! Quei soldati Franchi sul campo di battaglia,
che impediscono la fuga dei vostri tiranni,
sono giunti da lontano, attraverso aspri sentieri:
hanno rinunciato alle gioie dei pranzi festosi,
si alzarono in fretta dai dolci riposi 35
immediatamente chiamati dalle trombe della guerra.
Da questo punto in poi si apre la riflessione del Manzoni sulle infondate speranze di libertà del volgo. Il popolo Franco per giungere in Italia ha rinunciato alla tranquillità del proprio ambiente familiare.

Lasciarono nelle stanze della casa in cui nacquero
le donne preoccupate, che ripetutamente davano loro l'addio,
con preghiere e consigli interrotti dal pianto:
sulla fronte hanno gli elmi delle passate battaglie, 40
hanno posto le selle sugli scuri cavalli,
corsero sul ponte che risuonava cupamente.
Il poeta prosegue parlando della partenza dei soldati Franchi, delle loro donne preoccupate. L'ultimo verso descrive una tipica immagine medievale: il ponte levatoio che si abbassa per lasciar uscire i soldati dal castello.

A schiere, passarono di terra in terra,
cantando gioiose canzoni di guerra,
ma con l'animo rivolto ai dolci castelli: 45
per valli petrose, per dirupi,
montarono la guardia durante le gelide notti,
ricordando i fiduciosi colloqui d'amore.
Il tragitto per l'Italia è stato faticoso per i soldati stranieri, nonostante vi sia in loro la gioia di accingersi a combattere per la vittoria. Tutto ciò serve per dimostrare che un esercito non viene da così lontano, attraverso tragitti impervi, per ridare la libertà ad un popolo straniero.

Sopportarono gli oscuri pericoli di soste forzate,
le corse affannose attraverso luoghi mai attraversati, 50
il rigido comando militare, la fame;
videro le lance scagliate contro i petti,
accanto agli scudi, rasente agli elmetti,
udirono il fischio delle frecce che volavano.
In questi versi il poeta continua ad elencare i pericoli affrontati dai Franchi nella discesa in Italia.

E il premio sperato, promesso a quei soldati, 55
sarebbe, o delusi, capovolgere le sorti,
porre fine al dolore di un volgo straniero?
Tornate alle vostre superbe rovine,
alle attività pacifiche delle officine riarse, 60
ai campi bagnati dal sudore servile.
Manzoni si rivolge al volgo, destinato a rimanere deluso, poiché non verrà liberato da un popolo partito con l'intento di assoggettarlo. Dovrà dunque tornare schiavitù di sempre.

Il forte si mescola col nemico sconfitto,
anche con il nuovo signore rimane la vecchia situazione;
sia l'uno che l'altro popolo vi rendono schiavi.
Si spartiscono i servi, gli armenti;
giacciono insieme sui campi di battaglia 65
di un volgo disperso senza nome.

Analisi del testo
• INTERESSE PER IL POPOLO: Nonostante il genere tragico imponga la trattazione esclusiva dei grandi della storia, nel coro il Manzoni mostra la vicenda dal punto di vista del popolo. Questo perché lo spirito evangelico spinge il Manzoni a parlare degli umili, delle sue condizioni di vita, che la storia ufficiale ignora. Inoltre, la visone borghese della realtà rifiutava la letteratura eroica tipica dell'aristocrazia e del classicismo, preferendo una letteratura che trattasse le vicende della gente comune.
• LA POESIA STORICA: Il coro è un esempio di poesia storica, la quale ricostruisce, sulla base di documenti, i sentimenti di grandi collettività.
IL MESSAGGIO POLITICO: La trattazione di vicende del passato permette a Manzoni di inviare ai contemporanei un messaggio attualissimo: non contare sulle forze straniere per la liberazione nazionale.

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GLI ADELCHI
Coro dell'atto III

Le morbide trecce giacciono sparse
sul petto pieno di affanno,
le mani abbandonate, e il volto pallido
imperlato dal sudore della morte,
la pia giace, con lo sguardo 5
tremolante cerca la luce.
Nei primi versi Manzoni ricostruisce l'immagine di Ermengarda durante gli ultimi respiri che la separano dalla morte. Ad ella attribuisce l'aggettivo "pia", che fa riferimento all'umiltà e alla semplicità della donna.

Termina il compianto delle suore: unanime
si innalza una preghiera:
calata sulla gelida
fronte, una mano leggera 10
chiude gli occhi
sulla pupilla azzurra.
La morte è ormai giunta, e, ora che la speranza è finita, le suore non possono far altro che pregare. Gli occhi azzurri (segno della stirpe longobarda) della donna vengono chiusi da una mano, che metaforicamente rappresenta la mano di Dio.

Libera, o nobile, dall'animo
angosciato le passioni terrene,
offri un candido pensiero 15
a Dio, e muori:
oltre la vita vi è la meta
del tuo lungo martirio.
A questo punto il poeta sembra intervenire nell'ultimo atto di consapevolezza della donna prima della morte. Si riconferma ancora una volta la concezione del Manzoni secondo la quale le passioni terrene si rivelano inutili di fronte all'eternità di Dio. Così vorrebbe che Ermengarda morisse liberando il suo animo da tali angosce e che si abbandonasse al raggiungimento di una meta ultraterrena che darà significato al suo martirio.
Questo era l'immodificabile destino
sulla terra dell'infelice: 20
di chiedere sempre un oblio
che le sarà negato;
e ascendere al Dio dei santi,
lei santa a causa del suo dolore.
Il destino della donna, quando era in vita, era di non riuscire a dimenticare ciò che era stato causa del suo dolore. Ma proprio grazie a queste sofferenze, di tipo sentimentale, ella può arrivare in Paradiso.

Ahi! nelle notti insonni, 25
per chiostri solitari,
tra il canto delle suore,
agli altari dove rivolgeva le sue suppliche,
gli irrevocabili giorni
le tornavano sempre in mente; 30
In questi versi il poeta torna ad un'immagine del passato recente di Ermengarda, ovvero quando ella è rinchiusa in un convento di Brescia in seguito al ripudio. Nonostante lì cerchi di soffocare il ricordo dei giorni felici del matrimonio, riaffiorano ossessivamente in tutti i momenti del giorno e in tutti i luoghi. Inizia poi il flashback dei momenti passati quando ancora era moglie di Carlo Magno.

quando ancora amata da Carlo, senza prevedere
un avvenire in cui l'avrebbe ingannata,
estasiata respirò l'aria
vivificatrice della terra francese,
e se ne andò invidiata 35
tra le altre spose francesi:

quando da un piano rialzato,
la bionda criniera adorna di gemme,
vedeva sotto uomini e cani correre
impegnati nella caccia, 40
e sulle redini sciolte del cavallo
il re dalle lunghe chiome;

e dietro di lui la furia
dei cavalli fumanti per la corsa,
e lo sbandare, e il rapido 45
ritornare dei cani ansanti;
e dai cespugli frugati
uscire il cinghiale spaurito;

e la polvere calpestata
rigarsi di sangue, colpito 50
dalla freccia del re: la tenera donna
volgeva immediatamente il volto verso le ancelle,
pallida di paura.

Oh Mosa errante! oh tiepidi 55
bagni di Aquisgrana!
dove, deposta la maglia
di ferro, il sovrano guerriero
scendeva a lavarsi
dal nobile sudore del campo! 60
Questi momenti descrivono scene tipiche della corte medievale: la caccia, e il ritorno del re dalla guerra.

Come rugiada al cespo
d'erba secca,
fresca ridà la vita
negli steli riarsi,
che risorgono verdi 65
alla mite temperatura dell'alba;

così al pensiero, sconvolto
dalla potenza empia dell'amore,
va incontro il refrigerio
di una parola amica, 70
e il cuore si dirige verso le placide
gioie di un altro amore.
Negli ultimi dieci versi vi è la prima parte di una similitudine in cui il sollievo che porta la rugiada nell'erba secca è paragonato alle parole delle monache, che distolgono Ermengarda dai suoi pensieri e li indirizzano verso l'amore divino. La potenza dell'amore è definita "empia" perché non ha pietà della sua fragilità e la sconvolge.

Ma come il sole che sorge
sale sull'erba infuocata,
e con la sua vampa continua 75
incendia l'aria immobile,
abbatte al suolo
i gracili steli appena risorti;

così velocemente dalla breve
dimenticanza torna l'immortale 80
amore sopito, e assale
l'anima impaurita,
e le immagine temporaneamente distolte
richiama al noto dolore.
Nella seconda parte della metafora, il ritorno di Ermengarda ai pensieri dolorosi per un attimo messi da parte, è paragonato al ritorno degli steli d'erba allo stato di siccità, a causa del sorgere del sole. La notte dunque, di limitata durata, è assimilata al breve oblio.

Libera, o nobile, dall'animo 85
angosciato le passioni terrene;
offri un candido pensiero
a Dio, e muori:
nel suolo che deve ricoprire
la tua giovane spoglia, 90
In questi versi si riprende quanto detto nella terza strofa, e ripropongono il motivo della liberazione dal tormento che è possibile solo nella morte.

dormono altre infelici,
consumate dal dolore; spose private dei mariti
dalla spada dei nemici, e vergini
fidanzate invano
madri che videro i figli 95
uccisi impallidire.

Te discesa dalla colpevole stirpe
degli oppressori,
prodi solo perché numerosi,
che conoscevano solo l'offesa, 100
la legge del sangue, e la gloria
di non aver pietà,

la provvidenziale sventura
ti collocò tra gli oppressi:
muori compianta e tranquilla; 105
muori con i Latini.
Nessuno insulterà
le ceneri prive di colpa.
La sventura provvidenziale è un tema che ricorre anche nei Promessi Sposi; in questo caso consente ad Ermengarda di raggiungere Dio, poiché la sventura l'ha collocata tra gli oppressi.

Muori; e ritrovi la pace
la faccia senza vita; 110
come era allora che non poteva prevedere
di un avvenire ingannevole,
rifletteva solo i pensieri
sereni di una vergine. Così
dalle nuvole squarciate 115
si libera il sole al tramonto,
e, dietro il monte, imporpora
con luce tremolante l'occidente:
al pio contadino rappresenta un augurio
di un giorno più sereno. 120
Quest'ultima strofa riprende il motivo della speranza in un riscatto ultraterreno, in cui il cielo rappresenta una promessa di pace e serenità.

Analisi del testo
• SUCCESSIONE DEI PIANI TEMPORALI:
presente (morte)  passato recente (monastero) passato lontano (matrimonio)
• PERSONAGGIO DI ERMENGARDA: ella è il "doppio" femminile degli Adelchi. La sua fragile anima pura è succube della brutalità del mondo. Ermengarda è la tipica figura romantica della donna angelo, che rivolge le sue passioni ad un amore coniugale, quindi lecito e casto.
• IL RICORDO DEL MARITO: nella memoria di Ermengarda le immagini del marito sono legate a scene di violenza e di sangue, proprio perché il suo è un amore impietoso che la sconvolge.
• LA MORTE: come per Adelchi, la morte è l'unica soluzione al suo conflitto con la realtà. Ella è ansiosa di trovare nel cielo la liberazione ai suoi tormenti.
LA POESIA EPICO-DRAMMATICA: è un'innovazione rispetto alla tradizione poetica italiana. Si fonda sulla costruzione dei personaggi, sull'analisi di "individualità oggettivate", mette in scena conflitti drammatici.

 
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