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Parafrasi dell'Inferno della "Divina Commedia" di Dante, 1 - 10

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view post Posted on 9/5/2010, 11:47     +1   -1




Inferno: I Canto

A metà della nostra esistenza terrena mi trovai a vagare in una buia foresta, nella condizione di chi ha smarrito la via del retto vivere. Mi è assai difficile descrivere questa selva inospitale, irta di ostacoli e ardua da attraversare, che al solo pensarci risuscita in me lo sgomento. Il tormento che provoca è di poco inferiore all’angoscia della morte; ma per giungere a parlare del bene incontratovi, dirò prima delle altre cose che in essa ho vedute. Ma, giunto alle pendici di un colle, dove terminava la selva che mi aveva trafitto il cuore di angoscia, volsi lo sguardo in alto, e vidi i declivi presso la cima già illuminati dai raggi dell’astro (il sole) che guida secondo verità ciascuno nel suo cammino. Allora la paura che, per tutta la notte da me trascorsa in così compassionevole affanno, mi aveva attanagliato nel profondo del cuore, placò in parte la sua violenza, E con l’aspetto del naufrago che, appena raggiunta con affannoso respiro la terraferma, si volge ad abbracciare con lo sguardo crucciato l’immensità degli elementi scatenati, mi volsi indietro, con l’animo ancora atterrito, a rimirare la impervia plaga da cui nessun essere vivente riuscì mai a venir fuori. Dopo aver riposato un poco il corpo stanco, ripresi ( senza interruzioni) la mia salita lungo il pendio desolato, in modo che il piede fermo era sempre più basso rispetto a quello in movimento. Ma, giunto quasi all’inizio della salita vera e propria, ecco apparirmi una lince snella e veloce, dal manto chiazzato: essa non si allontanava dal mio cospetto, ma al contrario ostacolava a tal punto il mio procedere, che più di una volta fui sul punto di tornarmene indietro. Era l’alba e il sole saliva in cielo nella costellazione dell’Ariete, con la quale si era trovato in congiunzione allorché Iddio creò, imprimendo loro il movimento, gli astri; per questa ragione erano per me auspicio di vittoria su quella belva dalla pelle screziata l’ora mattutina e la primavera (la dolce stagione: il sole è nel segno dell’Ariete appunto in questa stagione), non tanto tuttavia da far si ch’io non restassi nuovamente atterrito all’apparizione di un leone. Questo sembrava venirmi incontro rabbioso e famelico, col capo eretto, e diffondeva intorno a sé tanto spavento che l’aria stessa sembrava rabbrividirne. E (oltre al leone) una lupa, nella cui macilenta figura covavano brame insaziabili, e che già molte genti aveva reso infelici, mi oppresse di tale sbigottimento con il suo aspetto, che disperai di raggiungere la cima del colle. E come colui che, avido di guadagni, quando arriva il momento che gli fa perdere ciò che ha acquistato, si cruccia e si addolora nel profondo del suo animo, tale mi rese la insaziabile lupa, che, dirigendosi verso di me, mi respingeva nuovamente verso la selva, là dove il sole non penetra con i suoi raggi. Mentre stavo precipitando in basso, mi apparve all’improvviso colui che, per essere stato a lungo silenzioso, sembrava ormai incapace di far intendere la sua voce. Quando lo scorsi nella grande solitudine, implorai il suo aiuto: " Abbi pietà di me, chiunque tu sia, fantasma o uomo in carne ed ossa !" Mi rispose: " Non sono vivo, ma lo sono stato, e i miei genitori furono entrambi lombardi, originari di Mantova. Vidi la luce mentre era ancora in vita Giulio Cesare, benché troppo tardi (per esserne conosciuto e apprezzato), e vissi a Roma al tempo di Ottaviano Augusto, principe di gran valore, in un’età in cui vigeva il culto di divinità non vere e ingannevoli. Fui poeta, e celebrai in versi le imprese di quel paladino della giustizia (Enea), figlio di Anchise, che venne da Troia ( a stabilirsi in Italia ), dopo che la superba città fu incendiata. Ma tu perché vuoi ridiscendere a tanta pena, giù nella valle? Perché non ascendi invece il gaudioso colle, dispensatore e origine di ogni perfetta letizia? " "Sei proprio tu " risposi reverente ed umile " il grande Virgilio, sorgente copiosa d’inesauribile poesia? O tu che onori e illumini chiunque coltivi l’arte del poetare, mi acquistino la tua benevolenza l’assidua consuetudine e il grande amore che mi ha spinto ad accostarmi alla tua opera. Tu sei lo scrittore e il maestro che ha avuto su di me autorità indiscussa; sei l’unico dal quale ho appreso il bello scrivere che mi ha arrecato fama. Guarda la lupa che mi ha fatto tornare sui miei passi: chiedo il tuo aiuto, famoso sapiente, poiché essa mi fa tremare di paura in ogni fibra." Virgilio, reso pietoso dalle mie lagrime: "Tu devi, se vuoi uscire da questo luogo impervio, seguire una altra strada: perché la belva, per la quale tanto ti lamenti, ostacola il cammino a chiunque in essa si imbatte, perseguitandolo senza tregua sino ad ucciderlo; e tanto perversa e malvagia è la sua indole, che nulla può placarne le smodate cupidigie e, invece di saziarla. il cibo ne accresce gli appetiti. Numerosi sono gli animali ai quali si accoppia, e il loro numero è destinato a crescere, fino alla venuta ( in veste di liberatore) di un Veltro, che la ucciderà crudelmente. Né il potere né la ricchezza saranno il suo nutrimento, ma soltanto le qualità della mente e dell’animo, e la sua nascita avverrà tra poveri panni. Sarà la salvezza di quella Italia, ora umiliata, per la quale si immolarono in combattimento la giovinetta Camilla, Eurialo e Turno e Niso. Egli darà la caccia alla lupa in ogni città, fino a costringerla a tornarsene nella sua sede naturale, l’inferno, da dove Lucifero, odio primigenio, la fece uscire. Perciò penso e giudico che, per la tua salvezza, tu mi debba seguire, e io sarà tua guida, e ti condurrò da qui nel luogo della pena eterna, dove udrai i disperati lamenti dei malvagi, vedrai gli spiriti di coloro che, fin dalla più remota antichità, soffrono per l’inappellabile dannazione; e vedrai coloro che sono contenti di espiare le loro colpe nei tormenti purificatori del purgatorio, certi di salire prima o poi al cielo. Se tu vorrai giungere fin lassù, un’anima più nobile di me ti accompagnerà: con lei ti lascerò al momento del mio distacco; poiché Dio, che lassù regna, non permette che qualcuno possa penetrare nella sua città (tra i beati) senza essere stato in terra sottomesso alla sua legge ( cioè cristiano ). Dio è in ogni luogo sovrano onnipotente e ha nel cielo la sua sede; qui si trovano la sua città e l’eccelso trono: felice colui che Dio sceglie perché risieda in cielo" Ed io: " Poeta, ti chiedo in nome di quel Dio che non hai potuto conoscere, per la mia salvezza temporale ed eterna di condurmi là dove ora hai detto, tanto che io possa vedere la porta del paradiso e le anime che dici immerse in così grandi pene" Virgilio sì incamminò, e io lo seguii.

Inferno: II Canto

Il giorno finiva, e l’ oscurità faceva interrompere ai vivi in terra le loro fatiche; io solo mi preparavo a sostenere il travaglio fisico e morale (del viaggio), che la memoria, esatta nel trascrivere ciò che ha appreso, narrerà. O Muse, o mia forza intellettuale, soccorretemi; o memoria, che porti impressa in te la mia visione, qui apparirà il tuo valore. Io cominciai con queste parole: "Poeta, mia guida, guarda se le mie capacità sono sufficienti, prima di affidarmi all’arduo passaggio. (Nell’Eneide) tu narri che il padre di Silvio (cioè Enea, che generò Silvio da Lavinia), mentre era ancora in vita, andò nel mondo dei morti (immortale: perché in esso le anime hanno vita eterna), e fece ciò in carne e ossa. Ma, se Dio (l’avversario d’ogni male) fu con lui cortese, riflettendo sull’importanza dei risultati ( Roma, la sua storia, il suo impero) che avrebbero avuto in Enea la loro origine, e sulle sue qualità personali e sulla sua stirpe regale, la cosa non appare ingiustificata a chi ragiona; poiché egli fu prescelto da Dio come capostipite della nobile Roma e del suo impero: Roma e il suo impero, se vogliamo essere esatti, furono costituiti da Dio per preparare il luogo sacro dove ha sede il pontefice, successore del grande Pietro. A causa di questa discesa ( nel regno dei morti), di cui (nel tuo poema) lo hai considerato degno, apprese fatti (il padre Anchise gli pronosticò il felice esito dei suoi travagli e la grandezza di Roma) che furono le premesse della sua vittoria (nella guerra contro i Latini e i loro alleati) e dell’autorità papale. La seconda discesa nell’oltretomba è quella di San Paolo, l’eletto da Dio, il quale vi andò per trarne forza per la diffusione della fede cristiana, senza la quale la salvezza è impossibile. Ma qual è il motivo per il quale io devo intraprendere questo viaggio? chi mi autorizza a farlo? Non sono né Enea né San Paolo: né io mi ritengo all’altezza del compito, né qualcun altro me ne ritiene degno. Perciò, se, per quel che riguarda questo viaggio, m’induco ad acconsentire, temo che la mia venuta (nell’oltretomba) sia temeraria: sei saggio; sei in grado di comprendere meglio di quanto io non sia in grado di esprimermi E nello stato d’animo di chi cessa di volere ciò che ha voluto prima e cambia intento per il sopraggiungere di nuovi pensieri, in modo da scostarsi dal proposito iniziale, venni a trovarmi io su quel buio pendio (e scesa nel frattempo la notte), perché portai a termine, col pensiero ( prevedendone tutti gli ostacoli e rendendomi conto della sua folle temerarietà), l’impresa cui mi ero accinto con tanta baldanza. "Se ho capito bene il tuo discorso" rispose l’ombra di Virgilio, "il tuo animo è fiaccato dalla pusillanimità: essa molte volte ostacola l’uomo tanto da allontanarlo da un’impresa onorata, così come una ingannevole apparenza fa volgere indietro una bestia quando si adombra. Perché tu ti liberi da questo timore, ti esporrò il motivo per cui sono venuto (in tuo aiuto) e ciò che udii quando per la prima volta sentii pietà per il tuo stato. Mi trovavo (nel limbo) tra coloro che sono in una condizione intermedia tra i beati e i dannati al fuoco eterno, quando fui chiamato da una donna di tale bellezza e soffusa di tanta letizia, da essere indotto a pregarla di comandare. La luce dei suoi occhi vinceva quella delle stelle; e cominciò a parlarmi dolcemente e pacatamente, con voce d’angelo: "O cortese anima mantovana, la cui fama dura ancora fra gli uomini, ed è destinata a durare tanto a lungo quanto durerà il mondo, colui che è amato da me, ma non dalla sorte, ha trovato tali ostacoli sul deserto pendio del colle, che si è già volto indietro per la paura; il mio timore è che egli si sia a tal punto nuovamente perduto (nel buio del peccato), da rendere ormai tardivo (e quindi inutile) il mio aiuto, per quel che di lui mi è stato riferito in cielo. Va dunque, e aiutalo sia con la tua eloquenza sia con tutto ciò che altrimenti occorra per la sua salvezza, in modo da rendermi contenta. Io, che ti invito ad andare, sono Beatrice; vengo dal cielo, dove desidero tornare; sono stata spinta (fin qui) da amore e amore ha ispirato le mie parole. Quando sarò davanti a Dio, spesso Gli parlerò degnamente di te." Allora tacque, e poi io cominciai: "O signora di virtù, per la quale virtù soltanto il genere umano è superiore ad ogni altro essere contenuto dal cielo (quello della Luna) che compie (nel suo moto di rotazione intorno alla terra) i giri più piccoli, il tuo comando mi è così gradito, che, se anche avessi iniziato ad obbedirti, mi sembrerebbe pur sempre d’aver fatto tardi; più non occorre che tu mi manifesti: il tuo volere. Dimmi piuttosto il motivo per cui non temi di scendere qua in basso, nel centro dell’universo ( occupato appunto dall’inferno), dal luogo sconfinato (I’Empireo), dove bruci dal desiderio di ritornare." "Poiché vuoi penetrare tanto in profondità con la tua mente, ti dirò in breve perché non temo di scendere nell’inferno" mi rispose. Conviene temere soltanto quelle cose che possono arrecare danno; le altre no, poiché non sono temibili. Dio mi creò, per sua grazia,tale che la vostra miseria di peccatori non mi tocca, né possono attaccarmi le fiamme infernali. Nel cielo una donna gentile (la Vergine) ha compassione per queste difficoltà verso le quali io ti mando (a liberare Dante), tanto da mitigare la severità della giustizia divina. Questa chiamò Lucia e disse: "Il tuo fedele ha ora bisogno di te, ed io a te lo raccomando". Lucia, nemica di ogni crudeltà, si mosse, e venne dove io sedevo insieme all’antica Rachele. Parlò: - Beatrice, vera gloria di Dio (loda: lode, in quanto la sua perfezione torna a gloria di chi la creò), perché non aiuti chi tanto ti amò, colui che, per amor tuo, seppe elevarsi sulla turba dei mediocri? non odi il suo pianto angoscioso? non vedi il pericolo della dannazione che lo assale sul fiume (del peccato), sul quale il mare non può vantare la sua forza? Sulla terra non ci furono mai persone così pronte a perseguire il loro utile e a evitare ciò che potesse danneggiarle, come fui pronta io, dopo che tali parole mi furono dette, nello scendere fin quaggiù dal mio seggio di beata, confidando nella tua nobile eloquenza, che onora sia te sia quelli che l’hanno intesa (traendone profitto spirituale)." Dopo avermi dette queste cose, volse verso di me gli occhi lucidi di lagrime; e per questo mi rese più sollecito a venire (dove tu eri); e come Beatrice volle venni da te; ti portai via dal cospetto della lupa, che t’aveva impedito di raggiungere per la via più breve la cima del colle. Che hai dunque? perché, perché indugi ? perché accogli in cuore tanta pusillanimità? perché non hai coraggio e schietta fiducia in te stesso? dal momento che tre beate tanto potenti perorano la tua causa davanti al tribunale di Dio, e che le mie parole promettono (al tuo viaggio) un esito così felice? " Come i gracili fiori, prostrati a terra con le corolle serrate per difendersi dal freddo della notte, appena li rischiara all’alba il primo raggio di sole si ergono sui loro steli con le corolle tutte aperte, così mi ripresi dal mio precedente stato di abbattimento, e tanto coraggio entrò nel mio animo, che cominciai (a parlare) libero da ogni timore: "Oh misericordiosa colei che mi venne in aiuto! e te generoso, che non hai tardato a prestare obbedienza alle veritiere parole che ti indirizzo! Col tuo ragionamento mi hai a tal punto predisposto l’animo con desiderio al viaggio, che sono tornato ad avere l’intenzione che avevo in origine. Incamminati dunque, poiché un’unica volontà ci governa: siimi guida, padrone, maestro. " Cosi parlai; ed essendosi egli avviato, entrai (dietro a lui) nell’arduo e orrido cammino.

Inferno: Canto III

«Attraverso me si entra nella città dolorosa, nel dolore che mai avrà termine, tra le anime dannate. Dio, mio eccelso creatore, fu mosso dalla giustizia: sono opera del Padre (la divina potestate), del Figlio (la somma sapienza) e dello Spirito Santo ('I primo amore). Prima di me non fu creata nessuna cosa se non eterna, e io durerò fino alla fine dei tempi. Abbandonate, entrando, ogni speranza ». Vidi questa sentenza dal minaccioso significato. incisa in cima a una porta; per cui mi rivolsi a Virgilio: « Maestro, ciò che essa dice per me è terribile ». Ed egli, da persona perspicace qual era: « A questo punto occorre abbandonare ogni esitazione; ogni forma di pusillanimità deve ora sparire. Siamo giunti dove ti dissi che avresti veduto le anime doloranti che hanno perduto la speranza di vedere Dio ». Ivi echeggiavano nell'aria senza luce gemiti, pianti e acuti lamenti, tanto che (udendoli) per la prima volta ne piansi. Differenti lingue, orribili pronunce, espressioni di dolore, esclamazioni di rabbia, grida acute e soffocate, miste al percuotersi delle mani l'una contro l'altra creavano nell'aria buia, priva di tempo, una confusione eternamente vorticante, così come (rapida vortica) la sabbia quando soffia un vento turbinoso. E io che avevo la testa attanagliata dall'orrore, esclamai: "Maestro, che significano queste grida? che gente è questa, che appare così sopraffatta dal dolore ?" E Virgilio: "Questa infelice condizione è propria delle anime spregevolì di quelli che vissero senza meritare né biasimo né lode. Sono mescolate alla malvagia schiera degli angeli che (in occasione della rivolta di Lucifero) non si ribellarono né rimasero fedeli a Dio, ma fecero parte a sé. Perché il loro splendore non ne sia offuscato, i cieli li tengono lontani da sé, né in sé li accoglie la voragine infernale, perché i colpevoli (gli angeli che parteggiarono per Lucifero) avrebbero di che vantarsi rispetto ad essi " . Ed io: "Maestro, cosa riesce loro così insopportabile, da farli prorompere in così disperati lamenti?" Rispose: "Te lo dirò in pochissime parole. Costoro non possono sperare in un completo annullamento del loro essere (cioè nella morte dell'anima) e (d'altra parte) la loro vita senza scopo è tanto miserabile, da renderli invidiosi di qualsiasi altro destino. Il mondo non lascia sussistere alcun ricordo di loro; Dio non li degna né della sua pietà né di una sentenza di condanna non parliamo di loro, ma osserva e va oltre ". E io, guardando con maggiore attenzione, scorsi un vessillo che girava correndo così velocemente, da sembrare incapace di una qualsiasi forma di quiete; e dietro ad esso avanzava una tale moltitudine, quale mai avrei immaginato fosse stata annientata dalla morte. Dopo aver ravvisato qualcuno nella folla, vidi e riconobbi l'anima di colui che per pusillanimità rifiutò il trono papale (fece per viltà il gran rifiuto). Compresi allora d'un tratto e fui sicuro che questa era la turba dei vili, sgraditi a Dio non meno che ai suoi nemici (i diavoli). Questi miserabili, che vissero come se non fossero vivi (in quanto non seppero affermare la loro personalità), erano nudi, continuamente punti da mosconi e da vespe che si trovavano lì. Esse rigavano il loro volto di sangue, che, misto a lagrime, era succhiato ai loro piedi da vermi nauseabondi. E dopo aver spinto il mio sguardo più in là, vidi sulla riva di un gran fiume una folla; perciò interpellai Virgilio: "Maestro, consentimi di apprendere chi sono queste genti, e quale consuetudine le fa apparire così ansiose di passare sull'altra riva, come intravedo attraverso la debole luce". Virgilio mi rispose: « Le cose ti saranno note (conte: conosciute) quando fermeremo i nostri passi presso il doloroso fiume Acheronte ». Allora, con gli occhi abbassati per la vergogna, temendo che il mio discorso gli riuscisse fastidioso, cessai di parlare finché arrivammo al fiume. E (dopo essere qui giunti) ecco dirigersi alla nostra volta, su un'imbarcazione, un vecchio, canuto (bianco per antico pelo), che gridava: « Sventura a voi, anime malvage ! Non illudetevi di poter più vedere il cielo: vengo per traghettarvi sull'altra riva nel buio eterno, nel fuoco e nel ghiaccio. E tu che, ancora in vita, ti trovi con loro, allontanati dalla turba dei già morti». Ma dopo aver visto che non me n'andavo, continuò: « Attraverso vie e luoghi di imbarco diversi giungerai alla riva, che non è questa, da dove sarai traghettato (per passare): una barca più leggiera ti dovrà trasportare ». E Virgilio gli disse: « Non te n'avere a male, o Caronte: si vuole così là dove si può fare tutto ciò che si vuole (è la decisione divina presa nel cielo Empireo, dove tutto ciò che è voluto può avere immediata attuazione), e non chiedere altro ». Da questo istante si calmarono le gote ricoperte di fluente barba del traghettatore del buio fiume (livida palude: livido è, per antonomasia, il colore della morte), che aveva intorno agli occhi cerchi di fuoco. Ma quelle anime, che erano affrante e inermi, trascolorarono e batterono i denti, non appena ebbero udite le crudeli parole: maledicevano Dio e i loro genitori, il genere umano e il luogo e il tempo (in cui erano state generate) e l'origine della loro stirpe e della loro nascita. Poi si adunarono tutte insieme, piangendo dirottamente, sulla riva del fiume del male che aspetta tutti coloro che non temono Dio. II demonio Caronte, con occhi fiammeggianti, facendo loro segni, le accoglie tutte (nella barca); percuote col remo chiunque tarda (ad obbedirgli). Come in autunno le foglie si staccano l'una dopo l'altra (dal ramo), finché questo vede sparsa a terra tutta la sua veste frondosa, allo stesso modo la corrotta progenie di Adamo si precipita da quella riva, anima dopo anima, a un cenno (di Caronte), come il falco (auge!) al richiamo (del falconiere). Avanzano così sull'acqua buia, e prima che questa moltitudine sia sbarcata sulla riva opposta, un'altra già s'accalca nel punto d'imbarco. « Figlio mio », spiegò cortesemente Virgilio, « tutti coloro che muoiono in stato di peccato (nell'ira di Dio) si radunano qui (venendo) da ogni luogo della terra: e sono (spiritualmente) disposti a varcare il fiume, poiché la giustizia di Dio li stimola, in modo che il timore (delle pene) si converte in loro nel desiderio (di affrontarle). Di qui non passano mai anime virtuose: e perciò, se Caronte si lamenta della tua presenza, puoi ben comprendere ormai quale significato hanno le sue parole.» Appena Virgilio ebbe finito di parlare, la terra buia tremò con tanta violenza, che il ricordo (la mente: la memoria) dello spavento provato m'inonda ancora di sudore. Dalla terra bagnata dalle lagrime dei dannati uscì un vento, che si convertì in un lampo sanguigno il quale mi fece perdere i sensi; e caddi come chi cede al sonno.

Inferno: IV Canto

Un cupo tuono interruppe il profondo sonno nella mia testa, così ripresi coscienza come una persona che è destata violentemente; allora, levatomi in piedi, volsi intorno gli occhi riposati, e guardai attentamente per rendermi conto del luogo dove ero. Il fatto è che mi trovai sul margine della profonda voragine del dolore, che in sé contiene il fragore di innumerevoli lamenti,(La voragine) era buia e profonda e fumosa tanto che, per quanto tentassi di penetrarvi fino in fondo con lo sguardo, non riuscivo a distinguervi nulla."Ora scendiamo quaggiù nel mondo delle tenebre" cominciò a dirmi Virgilio, che era impallidito, "io andrò per primo, e tu mi seguirai. "Ed io, che avevo notato il suo pallore, dissi: "Con quale animo potrò seguirti, se tu, che sempre mi infondi coraggio allorché sono preso dal timore, hai paura? " Ed egli: "La tragica sorte dei dannati diffonde sul mio volto quel pallore che tu interpreti come un segno di paura. Muoviamoci, poiché il lungo cammino (che dobbiamo percorrere) ci costringe a non perdere tempo". Dicendo questo si avviò e mi fece entrare nel primo cerchio che chiude tutt’intorno il baratro. Qui, per quel che si poteva arguire dall’udito, non vi era altra manifestazione di dolore fuorché sospiri, che facevano fremere l’atmosfera infernale. Sospiri, che l'aura etterna facevan tremare: questi " sospiri " si contrappongono idealmente all'incomposto bestemmiare delle anime del canto precedente, e individuano una nuova tonalità: elegiaca, non più tragica. Ciò avveniva a causa del dolore non provocato da tormenti corporali che colpiva schiere, numerose e folte, di bambini e di donne e di uomini. l buon maestro mi disse: "Non mi chiedi che sorta di anime sono queste che si offrono al tuo sguardo? Voglio dunque che tu sappia, prima di procedere oltre, che non hanno commesso peccato; e se hanno meriti, questi non bastano (a redimerli), perché furono privi del battesimo, che è la parte essenziale della fede in cui tu credi. E se vissero prima dell’avvento del Cristianesimo, non adorarono nel modo dovuto Dio (come invece avevano fatto i patriarchi dell’Antico Testamento): e io stesso sono uno di loro. Per tale mancanza, non per altra colpa, siamo esclusi dalla beatitudine, e siamo tormentati in questo soltanto, che viviamo nel desiderio (di conseguire la visione beatifica di Dio) destinato a restare inappagato". Provai un grande dolore nell’udire queste parole, poiché seppi che alti ingegni (gente di molto valore) si trovavano in una condizione intermedia fra la disperazione dei dannati e la felicità dei beati in quell’orlo estremo (della voragine infernale). Desiderando avere da lui la conferma (per volere esser certo) delle verità di quella fede che è al di sopra di qualsiasi dubbio, gli chiesi: "Dimmi, maestro, dimmi, signore, uscì mai di qui alcuno, o per merito proprio o per merito altrui, per assurgere poi alla beatitudine?" Ed egli, che comprese il significato nascosto delle mie parole, rispose: "Mi trovavo da poco in questa condizione, quando vidi scendere quaggiù un potente (Cristo), circonfuso dello splendore della sua divinità. Portò via di qui l’anima di Adamo, il capostipite del genere umano (primo parente: primo genitore), quelle del figlio di lui Abele e di Noè, quella del legislatore Mosè, sempre sottomesso ai voleri di Dio; e inoltre portò via il patriarca Abramo e il re Davide, Giacobbe (Israèl) col padre Isacco e i suoi dodici figli e la moglie Rachele, per ottenere la mano della quale tanto si adoperò; e molti altri ancora, e li rese beati; e voglio che tu sappia che, prima di loro, nessun altro era salito in paradiso" . Per il fatto che egli parlasse non interrompevamo il nostro procedere, continuando ad aprirci un varco nella selva, nella selva, intendo, costituita da un numero sterminato di anime vicinissime le une alle altre. Non avevamo ancora percorso molta strada dal margine più alto del cerchio, quando vidi una sorgente di luce che per mezzo cerchio intorno a sé dissipava le tenebre. Ci trovavamo ancora un poco lontani da questa sorgente di luce, non tanto tuttavia, che io non potessi intuire che una schiera di anime degne di onore occupava quel posto. "O tu che onori scienza e arte, chi sono costoro che hanno tanta dignità, che li distingue dalla condizione degli altri? " E Virgilio a me: "La fama onorevole di cui godono nel mondo dei vivi, ottiene (per essi) un particolare favore presso Dio che conferisce loro un tale privilegio. In quell’istante fu da me udita una voce: "Onorate il sublime poeta: la sua anima, che si era allontanata, torna fra noi ", Dopo che la voce si arrestò e ci fu silenzio, vidi venire verso di noi quattro ombre maestose: il loro aspetto non era né triste né lieto. Virgilio prese a dire: " Guarda, quello che ha in mano la spada, e precede gli altri tre come un sovrano. È Omero, il sommo di tutti i poeti; dietro di lui viene Orazio, poeta satirico; Ovidio è il terzo, e l’ultimo Lucano. Poiché ciascuno si accomuna a me nell’appellativo di poeta pronunciato poco fa da uno di loro (nel nome che sonò la voce sola), mi tributano onore, e fanno bene a tributarmelo ( perché in me onorano la poesia )". Vidi così adunarsi il bel gruppo guidato dal più eccelso dei poeti epici, la cui poesia si leva come aquila al di sopra di quella degli altri. Dopo aver parlato a lungo tra loro, si volsero a me con un cenno di saluto; e Virgilio sorrise per questo segno di onore: e mi onorarono ancora di più, poiché mi accolsero nel loro gruppo, in modo che diventai il sesto tra quei così grandi sapienti, Procedemmo insieme fino alla zona luminosa, trattando argomenti di cui (ora) è opportuno tacere, non meno di quanto fosse conveniente parlarne nel luogo ove allora mi trovavo. Giungemmo ai piedi di un maestoso castello, circondato da sette ordini di alte mura, protetto tutt’intorno da un leggiadro corso d’acqua. Lo attraversammo come se fosse stato di terra solida; penetrai con quei sapienti (nel castello) attraverso sette porte: arrivammo in un prato verde e fresco. Ivi erano persone dagli sguardi pacati e dignitosi, di grande autorità nel loro aspetto: scambiavano fra loro poche parole, con persuasiva dolcezza. Allora ci portammo in uno degli angoli, in una radura, luminosa e sovrastante il terreno circostante, in modo che (di qui) era possibile abbracciare con lo sguardo tutti gli spiriti (ivi raccolti). Là dirimpetto a me, sul verde compatto e brillante dell’erba mi vennero indicati i grandi spiriti, ripensando alla vista dei quali sento ancora il mio animo esultare. Vidi Elettra con molti dei suoi discendenti, fra i quali riconobbi Ettore ed Enea, Giulio Cesare in armi e con occhi sfavillanti come quelli di un uccello rapace. Vidi Camilla e Pentesilea; dal lato opposto, vidi il re Latino che sedeva accanto a sua figlia Lavinia. Vidi quel Bruto che cacciò Tarquinio, Lucrezia, Giulia, Marzia e Cornelia: e isolato, in disparte, vidi il Saladino. Dopo aver sollevato un poco gli occhi (il gruppo dei filosofi e degli scienziati si trova più in alto di quello degli uomini d’azione), vidi Aristotile, il maestro dei sapienti, seduto in mezzo ad altri filosofi. Tutti hanno gli occhi fissi su di lui. tutti gli rendono onore: tra gli altri vidi Socrate e Platone, che, in posizione preminente rispetto agli altri, sono a lui più vicini; Democrito, che attribuisce al caso la formazione del mondo, Diogene, Anassagora e Talete, Empedocle, Eraclito e Zenone; e vidi il sagace classificatore delle qualità (delle erbe), intendo dire Dioscoride; e vidi Orfeo, Tullio Cicerone e Lino e Seneca, autore di scritti di morale; Euclide geometra e Tolomeo, Ippocrate, Avicenna e Galeno, Averroè, autore del grande commento. Non posso riferire su tutti in modo esauriente, poiché la lunghezza dell’argomento (che devo trattare) mi sollecita a tal punto, che spesso il mio racconto è insufficiente rispetto al grande numero di eventi da narrare. La schiera dei sei poeti diminuisce dividendosi in due gruppi: la mia saggia guida mi conduce per un cammino diverso, fuori dell’aria immobile (del castello), nell’aria tremante (per i sospiri delle anime); e giungo in un punto dove, non c’è traccia di luce.

Inferno: V Canto

Scesi dunque dal primo nel secondo cerchio, che contiene in sé meno spazio (essendo la sua circonferenza più piccola), ma una pena tanto più crudele, che spinge a lamentarsi. Ivi si trova Minosse in atteggiamento terrificante, e ringhia: valuta, all’ingresso del cerchio, le colpe (dei peccatori); li giudica e li destina (ai rispettivi luoghi di punizione) a seconda del numero di volte che attorciglia (la coda intorno al proprio corpo). Voglio dire che quando l’anima sciagurata si presenta al suo cospetto, rivela tutto di sé; e quel giudice dei peccati comprende quale parte dell’inferno si addice ad essa; si avvolge con la coda tante volte per quanti cerchi infernali vuole che venga precipitata in basso. Davanti a lui ve ne sono sempre in gran numero: le une dopo le altre si sottopongono ciascuna al suo giudizio; si confessano e ascoltano (la sentenza), e poi vengono travolte nell’abisso. "O tu che giungi alla dimora del dolore", disse Minosse a me quando si accorse della mia presenza, interrompendo l’esercizio della sua così alta funzione, "considera attentamente il modo in cui stai per entrare (se hai cioè i meriti necessari per compiere incolume il viaggio nell’inferno) e colui in cui riponi la tua fiducia (Virgilio non è un’anima redenta): non lasciarti trarre in inganno dalla larghezza dell’ingresso!" E Virgilio di rimando: " Perché ti affatichi a gridare ? Non ostacolare il suo viaggio predestinato: si vuole così là dove si può fare tutto ciò che si vuole, e non chiedere altro". A questo punto cominciano a farsi sentire le voci del dolore; ora sono arrivato là dove molti pianti colpiscono il mio udito. Giunsi in un posto privo d’ogni chiarore, che rumoreggia come un mare in tempesta, sotto la furia di venti contrari. La tempesta di questo cerchio dell’inferno, destinata a non avere mai tregua, trascina le anime con impeto travolgente: le tormenta facendole vorticare (in tutti i sensi) e facendole cozzare (fra loro ). Quando giungono davanti alla rupe franata, qui prorompono in grida, in pianto unanime, in lamenti; bestemmiano qui la potenza di Dio. Compresi che a una siffatta pena sono condannati i lussuriosi, che sottomettono la ragione alla passione. E come le ali portano nella stagione invernale gli stornelli, che si dispongono in gruppi ora diradati ora compatti, così da quel vento le anime perverse sono trascinate di qua, di là, in basso, in alto; mai nessuna speranza, non solo di una cessazione temporanea, ma nemmeno di un castigo alleviato, è loro di conforto. E come le gru sono solite intonare i loro lamenti, quando solcano l’aria in lunghe file, così vidi avvicinarsi, emettendo gemiti, le anime portate dal turbine sopra menzionato: per questo dissi: " Chi sono mai, maestro, quegli spiriti che il vento buio in tal modo punisce? " "La prima di quelle anime di cui tu mi chiedi notizia" mi rispose allora Virgilio, "regnò su molti popoli di lingua diversa. Fu a tal punto dedita alla lussuria, che dichiarò, sotto le sue leggi, permesso ciò che a ciascuno piacesse, per cancellare la riprovazione in cui era incorsa. E’ Semiramide, di cui le storie narrano che fu sposa di Nino, cui succedette (sul trono): fu sovrana della regione che attualmente il sultano governa, L’altra è Didone, che si tolse la vita, per amore, e non rimase fedele al marito morto, Sicheo, e c’e anche la lussuriosa Cleopatra. Guarda Elena, a causa della quale trascorsero tanti anni luttuosi, e guarda il famoso Achille, che alla fine ebbe per avversario amore. Guarda Paride, Tristano "; e mi indicò più di mille anime, facendo i nomi di persone che amore strappò alla vita. Dopo aver ascoltato il mio maestro in quella lunga rassegna di donne ed eroi dell’antichità, fui colto da compassione, e fui sul punto di perdere i sensi. Presi a dire: "Poeta, desidererei parlare con quei due che procedono uniti, e che sembrano opporre così debole resistenza al vento". E Virgilio: " Farai attenzione al momento in cui ci saranno più vicini; e tu allora pregali in nome di quell’amore che li conduce, ed essi verranno. Non appena il vento li volse verso di noi, dissi: "O anime tormentate, venite a parlarci, se qualcuno (Dio) non lo vieta ! " Come le colombe, ubbidendo all’impulso amoroso, si dirigono nel cielo verso l’amato nido, planando con le ali spiegate e immobili, portate dal desiderio, così esse uscirono dalla schiera delle anime di cui fa parte anche Didone, venendo verso noi attraverso l’aria infernale, tanto efficace era stata la mia ardente preghiera. "O uomo cortese e benevolo che attraverso l’aria buia vieni a trovare noi che (morendo) macchiammo il mondo col nostro sangue. se il re del creato ci fosse amico, noi lo pregheremmo di darti serenità, dal momento che provi compassione per il nostro atroce tormento. Ascolteremo e vi diremo quelle cose che vorrete dire e ascoltare, per tutto il tempo che la bufera, come fa (adesso), attenuerà la sua violenza, La città dove nacqui si stende sul litorale verso il quale discende il Po per trovare, coi suoi affluenti, quiete. Amore, che rapidamente fa presa su un cuore nobile, si impadronì di Paolo per la mia bellezza fisica, bellezza di cui fui privata (quando venni uccisa); e l’intensità di questo amore fu tale, che ancora ne sono sopraffatta. Amore, che non permette che chi è amato non ami a sua volta, mi sospinse con tanta forza a innamorarmi della bellezza di Paolo, che, come ben puoi vedere (dal fatto che siamo uniti), ancora mi lega a lui. Amore ci portò a morire insieme: colui che ci ha tolto la vita è atteso nel cerchio dei traditori (la Caina è la zona del nono cerchio destinata ai traditori dei parenti)." Queste parole ci vennero rivolte da loro. Udite quelle anime travagliate, abbassai io sguardo, e lo tenni abbassato tanto a lungo, che alla fine Virgilio mi chiese: "A cosa pensi? " Quando risposi, cominciai: "Ohimè, quanti teneri pensieri, quanto reciproco desiderio condusse Poi, rivolto a loro, parlai, e dissi: "Francesca, le tue sofferenze mi rendono triste e pietoso fino alle lagrime. Però dimmi: quando la vostra passione si manifestava soltanto attraverso dolci sospiri, con quale indizio e in che modo Amore permise che l’uno conoscesse i sentimenti dell’altra, fino allora incerti d’ essere corrisposti ? " E Francesca "Nulla addolora maggiormente che ripensare ai momenti di gioia quando si è nel dolore; e di ciò è consapevole il tuo maestro. Ma se un così affettuoso interesse ti spinge a interrogarmi sul modo in cui si manifestò per la prima volta il nostro amore, farò come chi parla tra le lagrime. Noi leggevamo un giorno, per svago, la storia di Lancillotto e dell’amore che s’impadronì di lui: eravamo soli e non avevamo nulla da temere. Più volte quella lettura fece incontrare i nostri sguardi, e ci fece impallidire; ma solo un passo ebbe ragione di ogni nostra resistenza. Quando leggemmo come la bocca desiderata ( di Ginevra ) fu baciata da un così nobile innamorato, Paolo, che mai sarà separato da me, mi baciò, trepidante, la bocca. Galeotto fu il libro e chi lo scrisse: quel giorno non proseguimmo oltre nella sua lettura". Mentre una delle due anime diceva queste cose, l’altra (Paolo) piangeva, così che per la compassione perdetti i sensi non altrimenti che per morte: e caddi come cade un corpo inanimato.

Inferno: VI Canto

Quando riprendo la conoscenza, che era rimasta in me offuscata alla vista del pianto doloroso di Paolo e Francesca, pianto che mi aveva, per la tristezza, completamente sconvolto, vedo intorno a me nuove pene e nuovi puniti, dovunque io vada, o mi rigiri, o volga lo sguardo. Mi trovo nel terzo cerchio, il cerchio della pioggia destinata a non aver termine, tormentatrice, gelida e pesante; mai non cambia il suo ritmo ne la materia di cui è fatta. Grossi chicchi di grandine, acqua sudicia e neve cadono con violenza attraverso l’ aria buia; la terra che accoglie tutto questo emana un fetido odore. Cerbero, belva crudele e mostruosa, latra, a modo di cane, attraverso tre gole, incombendo sulle turbe che in quest’acqua impura sono immerse. Ha gli occhi iniettati di sangue, la barba unta e nera, il ventre capace, e le mani munite di artigli; graffia le anime dei peccatori, le scuoia e le squarta. Sul piano allegorico, secondo gli antichi commentatori, gli occhi... vermigli stanno a significare l'avidità rabbiosa, la barba unta la ributtante ingordigia, il ventre largo l'insaziabilità, le unghiate mani l'indole rapace. La pioggia li spinge a lamentarsi in modo disumano: con uno dei fianchi proteggono l’altro; gli infelici peccatori continuano a rivoltarsi (cercando inutilmente di sottrarsi al tormento). Quando Cerbero, l’orribile mostro, ci vide, spalancò le bocche e ci mostrò i denti; un fremito di rabbia lo agitava tutto. Virgilio tese le mani aperte, afferrò della terra, e, riempitosene i pugni, la gettò nelle tre bramose gole. Come quello del cane che, abbaiando, manifesta il suo desiderio, e si calma solo dopo aver addentato il cibo, poiché è tutto intento nello sforzo di divorarlo, tale divenne il sozzo aspetto del triplice volto del diavolo Cerbero, che (coi suoi latrati) stordisce i peccatori a tal punto, da far loro desiderare la sordità. (Camminando) calpestavamo le ombre che la pioggia fastidiosa prostra, e mettevamo le piante dei nostri piedi sulla loro inconsistenza materiale, che ha l’apparenza di un corpo umano. Erano tutte distese per terra, ad eccezione di una che si levò a sedere, non appena ci vide passarle davanti. "O tu che sei condotto per questo inferno", parlò, "vedi se sei in grado di riconoscermi: tu nascesti prima che io morissi." E io: "La pena che ti tormenta forse ti allontana dalla mia memoria, così che mi sembra di non averti mai veduto. Ma dimmi chi sei, anima collocata in un posto così doloroso ed assegnata ad un tale tormento, che, se pur ve ne sono di più grandi, nessuno è altrettanto fastidioso". Ed egli "Firenze, che a tal punto è colma di odio da non poterne più contenere, mi ebbe fra i suoi abitanti quando vivevo sulla terra. Voi concittadini mi chiamaste Ciacco: per il peccato rovinoso della gola, come vedi, mi struggo sotto la pioggia. Né io (qui) sono il solo spirito infelice, poiché tutti questi altri sono soggetti ai medesimi tormenti per la medesima colpa". E più non pronunciò parola. Gli risposi: "Ciacco, il tuo dolore mi affligge tanto, da indurmi a piangere; ma dimmi, se lo sai, a quali estremi si ridurranno gli abitanti della città divisa in fazioni; se in essa si trova qualcuno che sia giusto; e dimmi anche il motivo per cui tanta discordia ha cominciato a travagliarla". Ed egli: "Dopo una lunga contesa si arriverà a un fatto di sangue, e il partito degli uomini del contado (la parte selvaggia: quella dei Cerchi, i Bianchi) manderà in esilio gli esponenti del partito avversario (quello dei Donati, i Neri) danneggiandoli gravemente. In seguito è destino che il partito dei Bianchi soccomba prima che siano trascorsi tre anni, e che il partito dei Neri abbia il sopravvento con l’aiuto di qualcuno che attualmente si barcamena (fra le due opposte fazioni). Il partito dei Neri spadroneggerà a lungo. tenendo sottomessa la fazione avversa con provvedimenti iniqui, per quanto questa si lamenti e si sdegni. I cittadini giusti sono due, ma nessuno dà loro ascolto: la superbia, l’invidia e la brama di guadagni sono le tre scintille che hanno appiccato il fuoco agli animi (aizzando i Fiorentini gli uni contro gli altri)". A questo punto pose termine al suo discorso doloroso; e io: "Vorrei avere da te ancora altri schiarimenti, e vorrei che tu mi facessi la grazia di continuare a parlare. Farinata e Tegghiaio, che furono così degni di onore, Jacopo Rusticucci, Arrigo e Mosca e gli altri cittadini che si adoperarono per il bene di Firenze, dimmi dove si trovano e fa in modo che io apprenda qualcosa di loro; perché grande è il desiderio che ho di sapere se il paradiso dà loro dolcezza, o l’inferno li amareggia". E Ciacco: "Si trovano tra i dannati più colpevoli: peccati diversi (da quello punito in questo cerchio) pesano su di loro in modo da tenerli nella parte bassa dell’inferno: se scenderai fin laggiù, potrai vederli. Ma quando sarai tornato tra i vivi, ti prego di richiamare il mio nome alla loro memoria: più non parlerò né ti risponderò". Allora stravolse gli occhi che fino allora avevano guardato diritti davanti a se; per un attimo ancora mi guardò, e poi abbassò la testa: piombò giù con essa allo stesso livello degli altri dannati (ciechi: in quanto privi della luce dell’intelletto). E Virgilio mi disse: "Più non si alzerà prima del suono delle trombe degli angeli, quando verrà il giudice nemico del reprobi (Cristo): ogni dannato rivedrà ( allora ) il suo triste sepolcro, assumerà nuovamente il corpo e l’aspetto che aveva da vivo, ascolterà la sentenza che deciderà la sua sorte per l’ eternità". La solennità di questa rappresentazione del Giudizio Universale non trova riscontro che in alcuni dei più grandi capolavori delle arti figurative. Cosi, razionando un poco intorno alla vita d’oltretomba, camminammo lentamente attraverso l’ immondo miscuglio fatto di ombre di peccatori e di acqua; e pertanto mi rivolsi a Virgilio: " Maestro, queste pene aumenteranno o diminuiranno d’intensità dopo Il Giudizio Universale, o saranno dolorose come adesso? " E Virgilio: "Ripensa alla tua dottrina, secondo la quale, quanto più una cosa è perfetta, tanto più intensamente sente il piacere non meno del dolore. Benché i dannati non possano mai conseguire la vera perfezione (che si ha solo quando l’uomo e vicino a Dio), attendono di essere perfetti dopo il Giudizio più che non prima". Percorremmo il cerchio secondo la sua circonferenza, discorrendo assai di più di quanto io non abbia qui riferito; giungemmo nel punto ove da questo cerchio si scende nel successivo: ivi ci imbattemmo in Pluto, l’orribile diavolo.

Inferno: VII Canto

"Papé Satàn, papé Satàn aleppe!" prese a gridare Pluto con voce rauca; e quel nobile saggio (Virgilio), dalla sconfinata dottrina, per rincuorarmi così mi parlò: "Il tuo spavento non ti arrechi danno; infatti, per quanto egli sia potente, non ci impedirà di scendere (dal terzo al quarto cerchio) per questo dirupo. Quindi, rivolto verso quel tumido volto, disse: "Taci, maledetto demonio: struggiti internamente per la rabbia. Non senza motivo è la nostra andata nella voragine infernale: così si vuole nel cielo, là dove l’arcangelo Michele punì l’ orgogliosa ribellione (di Lucifero e dei suoi seguaci)". Come le vele gonfiate dal vento cadono (confusamente) avviluppate, se l’albero della nave si spezza, così piombò a terra il mostro malvagio. Scendemmo in tal modo nella quarta fossa, percorrendo un altro tratto della china dolorosa che contiene tutto il male dell’universo. Ahimè, giustizia di Dio! chi mai ammassa tanti inimmaginabili supplizi e dolori, quanti io ne vidi? e perché l’umana colpa a tal punto ci strazia ? Come (nello stretto di Messina) presso Cariddi le onde (del mar Ionio) si infrangono cozzando contro quelle del mar Tirreno, così necessariamente avviene che qui le turbe ballino. Qui vidi una moltitudine più numerosa che in altri luoghi, la quale provenendo dall’uno e dall’altro lato del cerchio rotolava pesi, spingendoli col petto ed emettendo alti lamenti. (Incontrandosi) cozzavano gli uni contro gli altri; e poi, in quello stesso punto, ognuno si volgeva indietro, rivoltando (anche il suo peso), e urlava: "Perché conservi? " e "Perché sperperi ? " In tal maniera tornavano indietro attraverso il cerchio tenebroso da entrambe le direzioni fino al punto diametralmente opposto, gridandosi di nuovo (anche) il loro ritornello ingiurioso; poi, una volta qui arrivato, ciascuno tornava indietro, ripercorrendo il suo semicerchio fino allo scontro successivo. E io, che mi sentivo quasi turbato, dissi: "Maestro, spiegami ora quale moltitudine è questa, e se costoro che sono alla nostra sinistra e hanno la tonsura, furono tutti ecclesiastici ". Ed egli: "Tutti quanti ebbero la mente così ottenebrata durante la vita in terra (la vita primaia: la prima vita), che non fecero alcuna spesa misuratamente. Le loro parole lo dichiarano abbastanza esplicitamente, allorché giungono nei due punti del cerchio dove i loro opposti peccati li separano. Questi, che portano la tonsura, furono ecclesiastici, e papi e cardinali, nei quali l’avarizia si manifestò in modo eccessivo". E io: "Fra costoro, maestro, dovrei certo riconoscere qualcuno che si macchiò di queste colpe". E Virgilio: "Accogli nella tua mente un pensiero assurdo: la dissennata vita che li rese turpi, li rende ora oscuri ad ogni tentativo di riconoscerli. Per l’eternità accorreranno ai due punti per scontrarsi: gli uni risorgeranno dalla tomba coi pugni chiusi, gli altri con i capelli recisi. Lo spendere e il risparmiare in misura smodata li ha privati del paradiso, e condannati a questa mischia: per farti capire di qual genere essa sia, non c’è bisogno che io l’adorni di belle parole. Puoi ora vedere, figlio, quanto sia breve l’inganno dei beni che sono affidati alla Fortuna, per i quali il genere umano si accapiglia; poiché tutte le ricchezze che sono e furono sulla terra, non potrebbero dar pace neppure a una sola di queste anime affaticate ". " Maestro ", dissi a Virgilio, " spiegami ancora: questa Fortuna, di cui tu mi fai cenno, cos’è mai, per poter tenere così tra i suoi artigli i beni della terra? " E Virgilio: "O esseri stolti, quanto grande è l’ignoranza che vi arreca danno! Voglio dunque che tu accolga la mia spiegazione (come il bambino riceve in bocca il cibo ). Dio, la cui sapienza oltrepassa ogni realtà, creò i cieli e assegnò a ciascuno di loro una guida in modo che ogni gerarchia angelica trasmette la luce al suo cielo, distribuendola equamente: allo stesso modo prepose a tutte le glorie del mondo una guida che le amministrasse tutte e che trasferisse a tempo debito i beni perituri da un popolo all’altro e da una stirpe all’altra, senza che la previdenza degli uomini potesse a lei opporsi; per questo una nazione domina, mentre un’altra si indebolisce, secondo la decisione da lei presa, decisione che resta nascosta come il serpente nell’erba. L’ accortezza degli uomini non può contrastare con lei: essa predispone, valuta (le opportunità), e svolge da regina il suo incarico come le intelligenze angeliche svolgono il loro. I cambiamenti da essa causati si succedono senza sosta: il suo dovere verso Dio l’obbliga ad operare rapidamente; perciò avviene spesso che qualcuno muti il proprio stato. Questa è colei che tanto è avversata anche da coloro che dovrebbero elogiarla, laddove invece la biasimano ingiustamente e la denigrano; ma essa se ne sta beata e non li ascolta: serena, insieme alle intelligenze angeliche, governa il moto della sua sfera e gode della sua beatitudine. Ma è tempo di scendere ormai verso un dolore più grande; già ogni stella che, quando venni in tuo aiuto, saliva in cielo, tramonta e non ci è concesso un lungo indugio ". Attraversammo il cerchio fino al margine opposto, all’altezza di una sorgente che ribolle e si riversa in un fossato che da essa deriva. L’acqua era più nera che livida; e noi, insieme alle onde torbide, scendemmo nel cerchio quinto attraverso un cammino malagevole. Questo triste ruscello sfocia nella palude chiamata Stige, dopo essere sceso fino alla base dei crudeli e foschi dirupi. Ed io, che ero intento a guardare, vidi in quella palude moltitudini imbrattate di fango, tutte nude, con l’espressione crucciata. Questi peccatori si colpivano l’un l’altro non solo con le mani, ma con la testa e col petto e coi piedi, e si dilaniavano a pezzo a pezzo coi denti. Virgilio disse: "Figlio, puoi ora vedere gli spiriti di coloro che furono sopraffatti dall’ira; e voglio che tu inoltre sappia che sotto il pelo dell’acqua vi sono dannati che sospirano, e fanno gorgogliare quest’acqua alla superficie, come puoi vedere, da qualunque parte tu guardi. Immersi nella fanghiglia, dicono: "Fummo malinconici nell’aria dolce allietata dal sole, portando nel nostro animo la caligine dell’accidia: ora ci addoloriamo nella nera melma". Si gorgogliano questo lamento (inno: qui in senso ironico) in gola, perché non lo possono pronunciare con parole chiare e complete". Costeggiammo così per lungo tratto la sozza palude, tenendoci tra il pendio asciutto e la melma, con lo sguardo rivolto a coloro che ingurgitano fango: giungemmo alla fine alla base d’una torre.

Inferno: VIII Canto

Proseguendo il mio racconto, dico che, molto prima di giungere ai piedi dell’alta torre, i nostri sguardi si diressero verso la sua sommità attratti da due fiammelle che vedemmo apparire lassù, e da un’altra che rispondeva ai segnali da tanto lontano, che a stento il nostro sguardo poteva distinguerla. Allora mi rivolsi a Virgilio, dicendo: " Che significato ha questo segnale? e quale risposta dà quell’altra luce? e chi sono quelli che l’hanno accesa ? " E Virgilio di rimando: " Sull’acqua melmosa puoi già scorgere colui che è atteso (da chi ha fatto i segnali), se i vapori che lo stagno esala non lo celano ai tuoi occhi ". Nessuna corda d’arco scoccò mai una freccia che volasse nell’aria con una velocità paragonabile a quella della piccola imbarcazione che vidi in quell’istante dirigersi sull’acqua verso di noi, pilotata da un solo nocchiero, che urlava: " Ti ho finalmente raggiunto, spirito malvagio! " " Flegiàs, Flegiàs, tu gridi inutilmente contro di noi " ribatte il mio maestro, "a non ci avrai in tuo potere che il tempo necessario per attraversare la palude fangosa." Come colui che apprende di essere stato gravemente ingannato, e allora prova rammarico, così divenne Flegiàs per l’ira che in lui si raccolse. Virgilio scese nella barca, e poi mi fece scendere dopo di lui; soltanto quando anch’io fui entrato, essa sembrò carica (gli abitanti dell’oltretomba, essendo esseri privi del corpo, non hanno peso). Non appena Virgilio e io fummo a bordo, l’antica (perché coeva dell’inferno) barca cominciò a fendere l’acqua, immergendosi in essa più profondamente di quanto non faccia di solito, quando trasporta le anime. Mentre solcavamo l’immobile palude, mi si parò davanti uno spirito coperto di fango, e disse: "Chi sei tu che arrivi anzitempo (prima del termine stabilito, cioè prima della morte ) ? " Ed io: " Se arrivo, non è certo per rimanere; ma chi sei tu, reso cosi sporco dal fango?" Rispose: "Vedi bene che sono uno di quelli che piangono (cioè un dannato) ". Ed io: " Restatene, anima maledetta, col pianto e col dolore; perché ti riconosco, anche se sei tutto imbrattato di fango ". Allora allungò verso la barca entrambe le mani (per rovesciarla o per colpire Dante ); ma Virgilio pronto lo respinse, dicendogli: " Via di qui, vattene a stare con gli altri maledetti ! " Poi mi abbraccio: mi baciò in viso, e disse: "Anima fiera, sia benedetta colei che ti ha portato nel grembo! Quello fu in vita un prepotente; nessuna azione buona abbellisce il ricordo che di sé ha lasciato: per questo la sua anima e qui in preda al furore. Quanti che si considerano adesso nel mondo persone di grande importanza, qui staranno come porci nel fango, lasciando di sé il ricordo di atti spregevoli ! " Ed io: "Maestro, sarei molto desideroso, prima di uscire dalla palude, di vederlo immergere in questa melma". E Virgilio: "Prima che tu possa vedere la riva, sarai appagato: è giusto che tu goda del soddisfacimento di questo tuo desiderio" . Poco dopo vidi gli iracondi fare di lui un tale scempio, che per esso ancora glorifico e rendo grazie a Dio. Tutti insieme gridavano: " Addosso a Filippo Argenti! "; e il rabbioso dannato fiorentino volgeva contro sé stesso la propria ira, dilaniandosi coi denti. Lo abbandonammo a questo punto, in condizioni tali, che non occorre aggiungere altre parole; ma ecco che un suono doloroso colpì il mio udito, per la qual cosa spalancai gli occhi guardando attentamente davanti a me. In questo canto il linguaggio è sempre teso e ricco di movimento drammatico; il presente storico sbarro sottolinea la subitaneità della nuova impressione che il Poeta avverte. Virgilio mi disse: " Ormai, figlio, si avvicina la città chiamata Dite, coi suoi abitanti oppressi dal dolore, col grande esercito (dei diavoli)". Ed io: " Maestro, distinguo già chiaramente laggiù nell’avvallamento le sue torri, rosseggianti come se fossero uscite dal fuoco". E Virgilio mi disse: "Il fuoco eterno che all’interno le arroventa, le fa apparire rosse, come puoi vedere in questa parte bassa dell’inferno ". Arrivammo infine dentro i profondi fossati che difendono quella città desolata: mi sembrava che le mura fossero di ferro. Non senza aver prima fatto un ampio giro, giungemmo in un punto dove il nocchiero gridò ad alta voce: " Uscite da qui (dalla barca): ecco la porta (della città di Dite) ". Vidi più di mille diavoli a guardia delle porte, i quali con stizza dicevano: " Chi e costui che ancora in vita visita il regno dei morti?". E il mio saggio maestro accennò di voler parlare con loro in disparte. Allora frenarono un poco la loro grande ira, e dissero: "Vieni soltanto tu, e vada via quello, che con tanto ardire e penetrato in questo regno. Ripercorra da solo il cammino temerario (fatto fin qui): provi, se ne è capace; perché tu, che gli hai fatto da guida in un paese così buio, resterai qui ". Immagina, lettore, quanto mi perdetti d’animo nell’udire queste parole maledette, perché credetti di non poter mai più tornare fra i vivi. " Mia amata guida, che innumerevoli volte mi hai ridato coraggio e salvato dai grandi pericoli che mi si pararono contro, non mi abbandonare " dissi " in questo stato di angoscia; e se non ci è consentito di andare avanti, ripercorriamo subito insieme il cammino che abbiamo fatto (per venire fin qui). " E Virgilio, che mi aveva condotto li, mi disse: "Non aver paura; perché nessuno può precluderci il passaggio: tanto potente è colui dal quale è voluto. Tu attendimi qui, e conforta il tuo animo prostrato alimentandolo con lasperanza che non inganna, poiché io non ti abbandonerò in questa parte bassa dell’ inferno (nel mondo basso)". Così dicendo il mio padre affettuoso se ne va, e qui mi lascia solo, e io resto nel dubbio, poiché nella mia testa il timore combatte con la speranza. Non potei udire quello che disse loro: ma egli non si trattenne a lungo là con essi, che già ciascuno dei diavoli gareggiava in velocità con gli altri nel tornare correndo dentro le mura. Quei nostri nemici chiusero le porte davanti a Virgilio, che restò fuori, e tornò verso di me con passi lenti. Teneva gli occhi abbassati ed aveva un’espressione sfiduciata, e diceva sospirando: "Da chi mai mi viene impedito l’ingresso nelle sedi del dolore! ". E rivolto a me: "Anche se io mi cruccio, non perderti d’animo, perché vincerò questa prova di forza, chiunque dentro le mura si adoperi per vietarci l’ingresso. Questa loro presunzione non è nuova: perché già l’adoperarono davanti a una porta meno interna, la quale si trova ancor oggi spalancata. Sopra di essa hai veduto l’iscrizione che parla della morte eterna: e varcatala già scende per la china, passando di cerchio in cerchio senza guida o protezione, colui ad opera del quale la città ci sarà aperta".

Inferno: IX Canto

Quel colore smorto che la paura aveva diffuso sul mio volto, quando avevo veduto Virgilio tornare indietro, fece sparire più presto il pallore che da poco era apparso sul suo. Si arrestò attento come chi cerca di percepire un suono; lo sguardo, infatti, non poteva portarlo a distinguere lontano attraverso l’aria buia e la densa caligine. "Eppure dovremo vincere questa battaglia" prese a dire, "a meno che... (ma no, non è possibile). Tanto potente è colei (Beatrice) che ci promise il suo aiuto: oh quanto mi preoccupa il ritardo di qualcuno! " Mi accorsi facilmente come Virgilio cancellasse il senso delle prime parole con quelle aggiunte in seguito, diverse dalle prime; ciò nonostante il suo discorso mi diede timore, poiché io attribuivo alla frase non conclusa un significato forse peggiore di quello che aveva. "Nel fondo della dolorosa voragine infernale avviene mai che discenda qualcuno del primo cerchio (il limbo), dove le anime hanno come sola punizione la speranza (di vedere Dio) destinata a non realizzarsi mai ?" Feci questa domanda; e Virgilio mi rispose: "Raramente avviene che qualcuno di noi faccia la strada che io sto percorrendo. E’ bensì vero che già un’altra volta fui quaggiù, richiamato dagli scongiuri di quella crudele Eritone che faceva tornare le anime nei loro corpi, Da poco tempo il mio corpo era privo dell’anima, allorché costei mi fece entrare nella città di Dite, per fare uscire un’anima del cerchio dove e dannato Giuda. Quello è il posto più basso e più buio, e più lontano dal cielo che imprime il movimento all’universo: conosco bene il cammino; perciò rassicurati. Nella cosmologia della Commedia, il ciel che tutto gira è, rispetto alla terra, l'ultimo dei nove cieli fisici. E' chiamato Primo Mobile, perché da esso si trasmette il movimento a tutto il creato. L’acquitrino da cui emana il grande fetore circonda tutt’intorno la città dei dannati, nella quale non possiamo ormai entrare senza lotta. E disse altre cose, ma non le ricordo; poiché lo sguardo mi aveva tutto portato verso l’alta torre dalla cima arroventata, dove all’improvviso si erano levate tutte nel medesimo istante tre furie infernali imbrattate di sangue, che avevano corpo e atteggiamentodi donna, e portavano annodati intorno al corpo serpenti d’acqua d’intenso color verde; per capelli avevano serpentelli e serpenti muniti di corna, che ne cingevano le spaventose teste, E Virgilio, che non aveva tardato a riconoscere le ancelle della regina (Proserpina) dell’inferno, mi disse: " Ecco le implacabili Erinni. Dalla parte sinistra è Megera; quella piangente, a destra, è Aletto: nel mezzo c’è Tesifone"; ciò detto, tacque. Ciascuna si lacerava il petto con le unghie; si percuotevano con le mani aperte e urlavano così forte, che per la paura mi strinsi a Virgilio. "Venga Medusa: cosi lo faremo diventare di pietra" dicevano tutte quante guardando verso il basso: "fu male non punire nella persona di Teseo l’ assalto (portato al regno dell’oltretomba). " "Voltati e tieni gli occhi chiusi; poiché se Medusa appare e tu la vedessi, non ti sarebbe più possibile tornare sulla terra. " Così parlò Virgilio; ed egli stesso mi fece voltare, e non si accontentò che io mi coprissi gli occhi con le mie mani, ma volle coprirmeli anche con le sue. O voi che avete le menti non ottenebrate, contemplate l’insegnamento che si nasconde sotto il velo dei versi misteriosi. E già si stava avvicinando sulla superficie fangosa della palude un rumore fragoroso e terrificante, che faceva tremare sia l’una che l’altra riva dello Stige, non diverso da quello di un vento reso violento dal calore delle masse d’aria (che trova sul suo cammino), il quale colpisce la foresta e senza che nulla possa trattenerlo spezza i rami, li scaglia a terra e li trascina fuori (della selva); avanza imponente, in una nuvola di polvere, e causa la fuga dei greggi e dei pastori. Virgilio mi liberò gli occhi (che erano coperti dalle sue mani) e disse: "Dirigi adesso la forza del tuo sguardo sulla superficie schiumosa dell’antica palude, verso quella parte dove la nebbia è più molesta". Come le rane all’apparire della biscia, loro nemica, si disperdono tutte nel l’acqua, fino ad appiattirsi ognuna contro terra, così vidi innumerevoli dannati darsi alla fuga all’avvicinarsi di qualcuno che attraversava camminando lo Stige senza bagnarsi neppure le piante dei piedi. Allontanava dal suo viso la fitta nebbia, muovendo spesso davanti a sé la mano sinistra; e sembrava infastidito soltanto da questa preoccupazione. Compresi facilmente che era inviato dal cielo, e mi volsi a Virgilio; ed egli mi fece intendere con un cenno che dovevo restare tranquillo ed inchinarmi davanti a lui. Ahi come mi sembrava pieno di sdegno! Giunse alla porta (di Dite) e, toccandola con una piccola verga, la aprì senza incontrare alcun ostacolo. "O espulsi dal cielo, stirpe disprezzata", prese a dire sullo spaventoso limitare, " da dove viene questa tracotanza che si raccoglie in voi? Perché vi opponete a quella volontà (la volontà di Dio) il cui compimento non può mai essere ostacolato, e che più di una volta ha accresciuto il vostro dolore? A che serve opporsi ai decreti divini ? Se ben ricordate, il vostro Cerbero, per questa ragione, ha tuttora privi di pelo la parte inferiore del muso e il collo. " Poi tornò indietro ripercorrendo il sozzo cammino, e non ci rivolse neppure una parola, ma assunse l’aspetto di uno che è assillato e stimolato da una preoccupazione diversa da quella di colui che gli sta davanti; e noi ci incamminammo verso la città, rassicurati dopo le sante parole da lui dette. Entrammo in essa senza incontrare opposizioni; e io, che desideravo osservare lo stato delle cose contenute dentro quelle mura fortificate, non appena entrato, mi guardai d’attorno; e vidi da ogni parte una grande pianura colma di dolore e di supplizi crudeli. Come ad Arles, dove la corrente del Rodano (sfociando nel mare) si arresta, e come a Pola, presso il golfo del Quarnaro che delimita l’Italia e ne bagna i confini, le tombe rendono tutto il terreno vario, così facevano qui in qualsiasi punto, solo che la forma della sepoltura era più angosciosa; poichè fra i sepolcri erano sparse fiamme, a causa delle quali erano tanto roventi, che nessun’arte (di fabbro) chiede che il ferro lo sia di più. Le pietre tombali erano tutte sollevate, e uscivano dai sepolcri lamenti così disperati, che parevano davvero (lamenti) di infelici e di suppliziati. E io: "Maestro, quali sono quelle turbe che sepolte dentro quelle tombe, si fanno udire attraverso i loro dolorosi gemiti ? " E Virgilio: "Qui si trovano i capi di eresie con i loro seguaci, di ogni setta, e i sepolcri sono molto più pieni di quanto tu creda. I seguaci di una stessa eresia sono sepolti insieme, e i monumenti sepolcrali sono ora più ora meno caldi". E dopo essersi volto a destra, ci incamminammo fra il luogo dei supplizi e le alte mura.

Inferno: X Canto

Ora il mio maestro avanza per uno stretto sentiero, tra il muro che cinge la città e i sepolcri roventi, e io lo seguo. "O virtù eccelsa (Virgilio), che mi conduci, come tu vuoi, attraverso i cerchi degli empi" presi a dire, "parla ed esaudisci il mio desiderio. Sarebbe possibile vedere i peccatori che giacciono dentro le tombe? tutti i coperchi, infatti, sono sollevati, e nessuno fa ad essi la guardia. " E Virgilio: "Tutte le tombe saranno chiuse quando (nel giorno del Giudizio Universale) le anime torneranno qui dalla valle di Giosafàt insieme ai corpi che hanno lasciato in terra. In questa zona del cerchio hanno il loro luogo di sepoltura Epicuro e i suoi adepti, i quali credono che l’anima muoia insieme al corpo. Perciò ben presto dentro questo stesso cerchio sarà data soddisfazione alla domanda che mi fai, e anche al desiderio che mi nascondi ". E io: "Mia buona guida, io non ti tengo celato il mio animo se non per parlare poco, e tu stesso mi hai indotto a ciò non soltanto ora". "O Toscano che ancora in vita percorri la città infuocata parlando in modo così decoroso, abbi la compiacenza di fermarti qui. Il tuo modo di parlare rivela che sei nato in quella nobile terra alla quale forse arrecai troppo danno." Questa voce si levò all’improvviso da uno dei sepolcri; mi avvicinai, intimorito, un po più a Virgilio. Ed egli mi disse: "Voltati: che cosa fai? Ecco là Farinata che si è levato: lo vedrai interamente dalla cintola in su ". Io avevo già fissato il mio sguardo nel suo; ed egli stava eretto con il petto e con la fronte quasi avesse l’inferno in grande disprezzo. E le mani incoraggianti e sollecite ti Virgilio mi sospinsero fra le tombe verso quel dannato, con questa esortazione: "Le tue parole siano misurate". Non appena fui ai piedi della sua tomba, mi osservò un poco, e poi, quasi sprezzante, mi chiese: "Chi furono i tuoi antenati ? " Io, che desideravo obbedire, non glieli nascosi, ma tutti glieli indicai; per cui egli sollevò un poco le ciglia, poi disse: "Furono acerrimi nemici miei e dei miei avi e del mio partito, tanto che per due volte li debellai". " Se furono mandati in esilio, tornarono da ogni luogo" gli risposi "sia la prima che la seconda volta; ma i vostri non impararono bene l’arte del ritornare". A questo punto si levò dall’apertura scoperchiata un’ombra accanto a quella di Farinata, visibile dal mento in su: penso si fosse alzata sulle ginocchia. Guardò intorno a me, come se avesse desiderio di vedere se con me c’era qualcun altro; e dopo che ebbe finito di dubitare, tra le lagrime disse: "Se il tuo alto ingegno ti consente di attraversare la buia prigione infernale, dov’è mio figlio? perché non è con te? ". Ed io: "Non giungo per mio merito: Virgilio, che là mi aspetta, attraverso questo luogo mi conduce, se riuscirà a seguirlo, fino a colei (Beatrice, simbolo della fede) che il vostro Guido ebbe in dispregio". Le sue parole e la qualità del supplizio mi avevano già palesato il nome di questo peccatore; perciò la mia risposta fu tanto esauriente. Alzatosi di scatto in piedi gridò: "Come hai detto? egli ebbe? non vive più? la dolce luce non colpisce più i suoi occhi? " Quando si avvide di un certo indugio che io facevo prima di rispondergli, cadde nuovamente indietro e non si mostrò più fuori. Ma il magnanimo Farinata, a richiesta del quale mi ero fermato, non cambiò espressione, né mosse il collo, né chinò il suo fianco; e proseguendo il discorso di prima, disse: " Se hanno male imparato l’ arte del ritornare, ciò mi procura un dolore più grande di quanto non faccia la tomba in cui sto a giacere. Ma il volto della donna che qui governa non si riaccenderà nemmeno cinquanta volte, che tu stesso apprenderai quanto sia dura l’arte di ritornare in patria. E voglia il cielo che tu possa ritornare nel mondo dei vivi, dimmi (per questo augurio che ti faccio): perché il popolo fiorentino è così spietato in ogni sua legge contro quelli della mia famiglia? " Gli risposi: " La crudelissima strage che tinse del colore del sangue il fiume Arbia, fa prendere tali decisioni nelle nostre assemblee ". Dopo aver sospirato e scosso la testa, disse: " Non fui io solo a provocare questa strage né certamente senza un motivo mi sarei mosso insieme agli altri esuli. Ma fui io solo, là dove fu da tutti tollerato che Firenze venisse rasa al suolo, colui che la difesi apertamente " "Deh, possa aver pace un giorno la vostra discendenza " lo pregai, "scioglietemi (in nome di questo augurio) quel dubbio che in questo cerchio ha confuso le mie idee. Sembra che voi prevediate , se intendo bene, quello che il tempo porta con sé (il futuro), ma per il presente vi trovate in una condizione diversa. " " Noi vediamo " disse " come colui che ha la vista difettosa, le cose che sono da noi lontane; di tanto ancora ci illumina Dio. Quando esse si avvicinano o sono presenti, la nostra mente non ci è di nessun aiuto; e se qualcun altro non ci porta notizie, non sappiamo nulla del vostro stato sulla terra. Puoi pertanto capire come la nostra conoscenza sarà del tutto offuscata dal momento in cui (dopo il Giudizio Universale) la porta del futuro si chiuderà. " Allora, come punto dal rimorso per una colpa da me compiuta, parlai: " Ora direte dunque all’ombra che è ricaduta (nel sepolcro) che suo figlio è ancora unito ai vivi; e riferitele che, se poc’anzi tacqui invece di risponderle, lo feci perché già stavo pensando al dubbio che mi avete chiarito ". Ormai Virgilio mi stava richiamando; perciò con maggior sollecitudine pregai Farinata che mi facesse i nomi dei suoi compagni di pena. Mi disse: " In questa parte del cerchio giaccio con moltissimi altri: qui dentro ci sono Federico Il, e il Cardinale; e taccio dei rimanenti ". Poi si nascose (nel sepolcro); ed io mi diressi verso Virgilio, riandando col pensiero a quella profezia che mi sembrava ostile. Egli s’incamminò; e poi, mentre procedevamo, mi chìese: " Perché sei così turbato? " E io risposi alla sua domanda. "La tua memoria serbi ciò che di ostile ti è stato predetto " mi ingiunse Virgilio. "Ed ora fa attenzione a queste parole " ed alzò l’indice: " quando ti troverai in presenza della soave luce che si sprigiona da colei (Beatrice) che vede tutte le cose, apprenderai da lei il corso della tua vita. " Poi si diresse verso sinìstra: ci allontanammo dal muro e procedemmo, verso la parte centrale del cerchio seguendo un sentiero che terminava in un baratro il quale faceva giungere fin lassù il suo puzzo nauseabondo.
 
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