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Parafrasi del Purgatorio della "Divina Commedia" di Dante, 21 - 30

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view post Posted on 9/5/2010, 12:52     +1   -1




Purgatorio: XXI Canto

La sete naturale di sapere che mai si sazia se non con quell'acqua della verità, della quale l'umile donna samaritana chiese a Gesù la grazia (di potersi dissetare), mi tormentava, e intanto la fretta mi stimolava a salire dietro alla mia guida per la via ingombra di anime, e sentivo compassione della loro pena, pur riconoscendola giusta. Ed ecco improvvisamente, così come ci racconta San Luca di Cristo, il quale apparve ai due discepoli che erano sulla via di Emmaus, dopo che era già risorto e uscito dal sepolcro scavato nella roccia, ci apparve uno spirito, e veniva dietro a noi, attenti a non calpestare con i piedi le anime che giacevano a terra; e non ci accorgemmo di lui, finché non parlò per primo, dicendoci: « Fratelli miei, Dio vi conceda la pace ». Noi ci voltammo di scatto, e Virgilio gli restituì un cenno di saluto che era intonato alla stessa cortesia. Poi prese a dire: « Il tribunale infallibile di Dio (la verace corte), che relega me nell'eterno esilio del limbo, ti ponga nella beatitudine del paradiso ». « Come! » ci rispose, e intanto camminavamo in fretta: « se voi siete anime che Dio non crede degne di salire in paradiso, chi vi ha guidate così in alto su questa scala (del purgatorio)?» E il mio maestro: « Se tu osservi bene i segni che costui in parte ancora porta e che l'angelo suole tracciare sulla fronte dei penitenti, potrai vedere chiaramente che dovrà essere beato. Ma poiché la parca Lachesi, colei che fila giorno e notte (lo stame della vita umana), non aveva ancora finito di filare traendo giù per lui il filo che Cloto pone e avvolge (sulla rocca) per ciascuno, la sua anima, che è sorella tua e mia, salendo fin quassù, non poteva venire senza guida, perché (essendo ancora unita al corpo) non vede chiaramente il vero come noi. Per questo venni tratto fuori dal limbo, il primo e più ampio cerchio dell'inferno, per indicargli il cammino, e glielo indicherò anche più avanti, fin dove lo potrà guidare il mio insegnamento. Ma se lo sai, dimmi perché poco fa il monte sussultò con tali scosse, e perché tutte le anime insieme parvero cantare a gran voce dalla cima del monte alla sua base bagnata dal mare ». Facendo questa domanda, Virgilio indovinò così bene il mio desiderio (sì mi dié... per la cruna del mio disio: come se avesse infilato con precisione il filo nella cruna di un ago), che solo per la speranza di una risposta la mia sete di sapere divenne meno ardente. E quell'anima cominciò a dire: « Il santo monte non è soggetto ad alcuna mutazione che non sia prestabilita da leggi, o che sia insolita. Questo luogo è esente da ogni perturbazione terrestre: di quanto avviene qui possono essere causa solo le forze intrinseche al cielo, e non ciò che il cielo riceve dal di fuori. Per questa ragione al disopra della breve scaletta di tre gradini (all'ingresso del purgatorio), non cade pioggia, grandine, neve, rugiada, brina;non appaiono nubi, né dense né tenui, non lampi, e neppure l'arcobaleno (figlia di Taumante), che di là sulla terra (essendo opposto al sole) muta spesso zona nel cielo: Iride, figlia di Taumante e di Elettra, secondo il mito era la messaggera degli dei, specialmente di Giunone; scendeva sulla terra a portare i suoi messaggi camminando sull'arcobaleno che segnava il suo percorso in cielo e nemmeno il vapore secco supera la sommità dei tre gradini di cui parlai, dove posa i piedi l'angelo por tiere, vicario di San Pietro. Al di sotto dei tre gradini il monte forse trema poco o molto; ma (pur poggiando sopra una base soggetta ai terremoti) quassù, non so come, non tremò mai per il vento che si nasconde dentro la terra (e causa i terremoti). Qui il monte trema quando qualche anima si sente purificata, al punto di levarsi in piedi (se è in questo girone) o di muoversi per ascendere (se è negli altri) ; e al terremoto segue il canto del « Gloria ». Della compiuta purificazione è prova soltanto la volontà, la quale, sentendosi del tutto libera di mutar dimora, colpisce improvvisa l'anima, e tale volontà è efficace. Prima (di sentirsi monda) l'anima vuole bensì ascendere, ma non glielo permette quel desiderio che, in contrasto con la volontà di salire, la divina giustizia pone in lei rivolto all'espiazione, come fu già rivolto al peccato. E io, che per espiare giacqui cinquecento anni e più in questo girone, solo ora sentii tutta libera la volontà di muovermi verso la dimora del paradiso per questo hai sentito il terremoto e hai udito gli spiriti pii rendere lode per tutto il monte del purgatorio a quel Signore che mi auguro voglia inviarli presto in paradiso ». Così ci parlò: e poiché bevendo si gode tanto quanto grande è la sete, non saprei dire quanto egli mi giovò (soddisfacendo con questa risposta la mia ardente brama di conoscere). E la mia saggia guida: « Ormai intendo chiaramente che cosa (il desiderio guidato dalla volontà divina: cfr. versi 64-66) vi tiene qui impigliati come una rete e come (con la penitenza) ci si scioglie da essa, perché qui il monte trema, e perché col canto vi rallegrate tutti insieme. Ora ti piaccia farmi sapere chi fosti, e le tue parole mi rivelino perché hai dovuto giacere tanti secoli in questo girone ». «Nel tempo in cui il valoroso Tito, con l'aiuto di Dio, vendicò le piaghe di Cristo dalle quali usci il sangue venduto da Giuda,io ero di là sulla terra col nome di poeta, il più duraturo e onorifico di tutti i nomi » rispose quello spirito « assai famoso, ma non ancora con la fede cristiana. Il mio canto fu così dolce che, sebbene fossi di Tolosa, Roma mi chiamò a sé, e lì meritai di cingere la fronte con la corona di mirto (con il mirto, infatti, oltre che con l'alloro, si coronavano i poeti). La gente nel mondo dei mortali mi chiama ancora Stazio: prima cantai le vicende della guerra tebana, poi quelle del grande Achille: ma morii in piena attività quando la fatica del secondo poema non era ancora compiuta. II fuoco della mia poesia prese alimento dalle scintille, che sempre mi scaldarono, di quella fiamma divina, al cui calore moltissimi altri poeti si sono accesi; intendo dire la fiamma dell'Eneide, che mentre poetavo mi fu madre (generando in me l'amore alla poesia) e mi fu nutrice (educando quell'amore) : senza tenerla a modello non creai nei miei versi nulla che avesse un valore anche minimo (peso di dramma: l'ottava parte di un'oncia). E se fosse stato possibile esser vissuto sulla terra al tempo di Virgilio, accetterei di ritardare di un anno solare oltre il tempo dovuto la mia liberazione da questo esilio (uscir di bando) del purgatorio. » Queste parole fecero voltare Virgilio verso di me con un volto che, pur senza parole, diceva: "Taci"; ma la volontà non può tutto, perché il riso e il pianto seguono con tanta prontezza i sentimenti della gioia e del dolore, da cui ciascuno dei due deriva, che obbediscono ancor meno al freno della volontà nei caratteri più schietti. Io sorrisi soltanto come chi accenna solo con l'occhio; per questo Stazio tacque, e mi fissò negli occhi, dove la espressione dell'animo traspare più che in ogni altra parte; e: « Possa tu condurre a buon termine la cosi ardua fatica del viaggio» disse, « ama perché or ora il tuo volto mi ha lasciato vedere un lampo di sorriso? » A questo punto io sono prigioniero fra due volontà contrarie: una (quella di Virgilio) mi fa tacere, l'altra (quella di Stazio) mi scongiura di parlare; per questo io sospiro, e vengo compreso dal mio maestro, che mi dice: « Non aver paura a parlare; ma parla e digli quello che chiede con tanto interesse ». Per ciò io dissi: « Forse, o antico spìrito, ti meravigli del mio sorridere; ma voglio che tu sia preso da una meraviglia anche maggiore. Questi che mi guida a vedere l'alta cima del monte, è proprio quel Virgilio dal quale attingesti la virtù di cantare nei tuoi poemi gli uomini e gli dei. Se hai creduto che fosse un'altra la causa del mio sorriso, lasciala da parte come falsa, e credi che a farmi sorridere furono proprio quelle parole che dicesti di lui». Stazio già stava chinandosi per abbracciare i piedi al mio maestro, ma questi gli disse: «Fratello, non fare questo, perché tu sei un'ombra e in me non vedi che un'ombra ». E Stazio rialzandosi: «Ora puoi comprendere quanto sia grande l'amore che mi infiamma per te, dal momento che dimentico la nostra inconsistenza corporea, e tratto le ombre come fossero corpi solidi ».

Purgatorio: XXII Canto

Già era rimasto dietro alle nostre spalle l'angelo, che ci aveva avviati (alla scala che porta) al sesto girone; dopo avermi cancellato dalla fronte la ferita di un altro P; e per noi aveva proclamati beati quelli che rivolgono il loro desiderio alla giustizia, e la sua voce concluse la recitazione della beatitudine con "hanno sete", senza aggiungere altro. E io nel salire mi sentivo più leggiero che nei passaggi precedenti (tra una cornice e l'altra), tanto che senza alcuna fatica riuscivo a seguire i due spiriti che salivano rapidi la scala, quando Virgilio cominciò a dire: « L'amore, che nasce dalla virtù, purché la sua fiamma appaia all'esterno, accende sempre un altro amore: perciò dal momento in cui nel limbo dell'inferno scese fra noi Giovenale, che mi rivelò il tuo affetto per me, la mia benevolenza verso di te fu tale che mai una più grande strinse una persona ad un'altra non vista, sicché ora (per il desiderio di stare con te) mi sembreranno troppo brevi queste salite ai gironi superiori. Ma dimmi, e da amico perdonami se la troppa franchezza allenta il freno del riserbo (nel chiedere), e come amico ormai parlami: come poté albergare nel tuo animo l'avarizia, con tutta la sapienza di cui, per il tuo assiduo sforzo, fosti ripieno? » Queste parole dapprima fecero sorridere Stazio; poi rispose: « Ogni tua parola per me è un caro segno d'amore.. Veramente si vedono spesso cose le quali, per il fatto che restano nascoste le loro vere cause, offrono falso argomento di dubbio. La tua domanda mi fa certo che è tua opinione che io nell'altra vita sia stato avaro, forse perché mi trovavo nel girone degli avari. Invece sappi che l'avarizia fu molto lontana da me (che caddi nel peccato opposto), e migliaia di mesi (lunari: lunazioni; infatti Stazio ha trascorso nel quinto girone più di cinquecento anni. Cfr. canto XXI, verso 68) hanno punito questa prodigalità. E se non fosse che corressi la mia tendenza, quando compresi appieno quel passo dell'Eneide dove tu gridi, quasi crucciato contro la natura umana: « O sacra fame dell'oro, perché non regoli tu nella giusta misura la brama dei mortali?", ora volterei i pesi e starei a sentire i miserabili scontri di ingiurie (tra gli avari e i prodighi nel quarto cerchio dell'inferno). Allora m'accorsi che le mani potevano allargarsi troppo nello spendere, e mi pentii tanto della prodigalità quanto degli altri peccati . Quanti prodighi risorgeranno con i capelli tagliati (coi crini scemi) perché ignorano che questo è un peccato (per ignoranza), ignoranza la quale toglie loro la possibilità di pentirsi di questo peccato sia durante la vita che in morte ! E sappi che la colpa la quale si contrappone (rimbecca) in senso diametralmente opposto ad un peccato, qui in purgatorio viene espiata (suo uerde secca) insieme ad esso: perciò, se io, per purificarmi, sono rimasto tra quella gente che piangendo espia l'avarizía, questo m'è toccato per il peccato ad essa contraria ». E Virgilio, l'autore dei carmi pastorali (bucolici carmi: le Bucoliche), disse: « Quando tu cantasti la crudele guerra di Eteocle e Polinice, duplice causa di amarezza per la madre Giocasta », « da quello che tu vi narri con l'assistenza della musa Clio, non appare che ti facesse ancora cristiano la fede, senza la quale non bastano le opere buone. Se le cose stanno così, quale divina illuminazione o quali ìnsegnamenti umani ti liberarono dalle tenebre del paganesimo, in modo da farti poi drizzare le vele per seguire (facendoti cristiano) San Pietro (pescator)?» E Stazio rispose a Virgilio: « Tu per primo mi indirizzasti alla poesia avviandomi al monte Parnaso per bere alla fonte che sgorga dalle sue rocce, e tu per primo mi desti luce per trovar la strada che conduce a Dio. Hai fatto come chi cammina di notte, il quale porta il lume dietro e non giova a se stesso, ma rende, esperte del cammino le persone che vengono dietro a lui, quando dicesti: "II mondo si rinnova; torna la giustizia e torna la prima età dell'oro e dell'umanità innocente, e dal cielo scende una nuova progenie". Per mezzo tuo diventai poeta, per mezzo tuo diventai cristiano: ma affinché tu veda meglio il disegno che ho abbozzato, cercherò di colorirlo (completando il discorso). Il mondo era già tutto impregnato della vera fede, seminata dagli Apostoli, messaggeri dell'eterno regno di Dio: e le tue parole che ho sopra citato s'accordavano con quelle dei predicatori della nuova fede; perciò io presi l'abitudine di frequentarli. Essi poi mi si vennero rivelando tanto santi, che quando l'imperatore Domiziano li perseguitò, al loro pianto si unirono le lagrime della mia compassione;.e finché rimasi di là sulla terra, io li aiutai, e i loro onesti costumi mi indussero a disprezzare ogni altra scuola (religiosa e filosofica). E prima che scrivessi i versi nei quali conduco i Greci ai fiumi di Tebe (in aiuto di Polinice contro Eteocle), ricevetti il battesimo: ma per paura (della persecuzione) fui cristiano di nascosto, continuando a lungo a mostrarmi pagano; e questa accidia mi costiinse a percorrere il quarto girone per più di quattrocento anni. Tu dunque che mi hai tolto il velo che prima mi nascondeva il grande bene (della verità cristiana), di cui parlo, finché ci avanza ancora del tempo durante la salita, dimmi dov'è Terenzio, nostra antica gloria, dimmi dove sono Cecilio e Plauto e Vario, se lo sai: dimmi se sono dannati, e in quale cerchio ». La mia guida rispose: « Tutti costoro e Persio e io e molti altri assieme ad Omero (quel greco), che le Muse nutrirono più di qualsiasi altro poeta, siamonel limbo, il primo cerchio dell'inferno (carcere cieco): spesso parliamo del monte Parnaso, dimora abituale delle nutrici dela nostra arte (le Muse). Con noi sono anche Euripide e Antifonte, Simonide, Agatone e molti altri greci che un tempo meritarono di ornare la loro fronte con l'alloro. Nello stesso cerchio si vedono, dei personaggi da te cantati, Antigone, Deifile e Argia, e Ismene, la quale è ancora piena di tristezza come fu in vita. Vi si vede Isifile, colei che indicò la fonte Langia: c'è pure la figlia di Tiresia e di Teti, e c'è Deidamia con le sue sorelle ». Entrambi i poeti se ne stavano ora in silenzio, di nuovo attenti a osservare intorno, essendo ormai liberi dalla fatica della salita e dell'ostacolo delle pareti (che prima impedivano la vista); ed erano già passate quattro ore (ancelle) del giorno, e la quinta (sono trascorse le dieci del mattino) era al timone del carro solare e ne drizzava sempre verso l'alto la punta infuocata, quando la mia guida disse: « Credo che dobbiamo volgere il nostro fianco destro verso l'orlo di questa cornice, girando così intorno al monte come siamo soliti fare ». Così l'abitudine fu in quel momento la nostra guida nello scegliere la direzione, e prendemmo la via (del sesto girone) con meno timore di sbagliare per il consenso che ci diede l'anima eletta di Stazio. Essi camminavano davanti, ed io dietro tutto solo, e ascoltavo i loro discorsi, che mi davano ammaestramenti nell'arte di poetare. Ma presto interruppe i loro dolci ragionamenti la vista di un albero che trovammo in mezzo alla via, carico di frutti dal profumo buono e soave; e come l'abete va restringendo la sua chioma di ramo in ramo verso l'alto, così quell'albero restringeva la chioma dall'alto in basso, credo, perché nessuno possa salirvi a cogliere i frutti. Alla nostra sinistra, dalla parte in cui la parete rocciosa limitava il nostro cammino verso il monte, cadeva dall'alto della roccia un'acqua limpida e si spargeva sulla parte alta delle foglie. I due poeti s'avvicinarono all'albero; intanto una voce tra le fronde gridò: « Di questo cibo avrete carestia ». Poi continuò: « Maria pensava più a rendere decorose e complete le nozze, che alla sua bocca, la quale ora prega intercedendo in vostro favore. E le antiche donne di Roma, per bere, s'accontentavano di acqua; e il profeta Daniele ricusò il cibo e acquistò la sapienza. La prima età degli uomini che fu bella quanto l'oro, con la fame rese saporite le ghiande, e con la sete trasformò ogni ruscello in nettare. Miele selvatico e locuste furono il cibo che nutrì Giovanni Battista nel deserto; e per questo egli è glorioso e tanto grande quanto vi è rivelato dal Vangelo ».

Purgatorio: XXIII Canto

Mentre io ficcavo gli occhi tra le fronde verdi dell'albero (per scoprire donde provenisse la voce: cfr. canto XXII. 140 sgg.), come suole fare il cacciatore che perde tutto il suo tempo dietro gli uccelletti, Virgilio, premuroso più che un padre, mi diceva: « Figliolo, ora vieni, perché bisogna distribuire in modo più utile il tempo che ci è assegnato (per visitare il monte)». Io volsi gli occhi, e non meno in fretta il passo, verso i due poeti, i quali tenevano discorsi così interessanti, che camminare con loro non mi costava alcuna fatica. Ed ecco si udì piangere e cantare « Signore, (aprirai) le mie labbra» in modo tale, che suscitò diletto per il canto e dolore per il pianto. Io allora cominciai a dire: « Dolce padre, che significa questo canto che io odo? » Ed egli mi rispose: « Forse sono anime che vanno sciogliendo il vincolo del loro debito con Dio ». Così come fanno i pellegrini assorti nei loro pensieri, quando per via raggiungono persone sconosciute, e le guardano senza fermarsi, alla stessa maniera ci osservava con stupore una turba silenziosa e devota di anime che veniva dietro di noi, ma con passo più spedito, e ci oltrepassava. Ogni anima aveva gli occhi spenti e incavati, la faccia pallida, e la persona tanto magra, che la pelle prendeva la forma delle ossa. Non ritengo che Eresitone per il digiuno fosse così ridotto alla sola pelle, quando temette maggiormente di dover restare digiuno (e giunse ad addentare le proprie carni). Pensavo e dicevo tra me stesso: « Così dovettero ridursi gli Ebrei (la gente) che perdettero Gerusalemme, quando (durante l'assedio dell'imperatore Tito) Maria di Eleazaro divorò (dié di becco) il proprio figlioletto! » Le occhiaie parevano castoni di anelli senza gemme: chi nel volto umano afferma potersi leggere la parola "orno", su quei volti avrebbe distinto molto bene la emme. Chi, ignorando (non sappiendo) in che modo ciò avvenga (como: dal latino quomodo), potrebbe credere che il profumo di un frutto e quello di un'acqua, generando brama (di mangiare e di bere), potessero ridurre in tale stato (sì governasse) quelle anime? Ero tutto intento a considerare che cosa le rendesse tanto affamate, non essendomi ancora nota la causa della loro consunzione, e della loro pelle disseccata e squamosa, quand'ecco un'ombra dal fondo delle occhiaie incavate nella testa rivolse a me gli occhi e mi guardò fissamente; poi gridò ad alta voce: « Che grazia singolare è mai questa per me?» Io non l'avrei mai riconosciuto solo guardandolo; ma nella sua voce mi si rivelò la persona che l'aspetto esteriore aveva distrutto. La voce fu la scintilla che ravvivò in me la piena conoscenza di quella fisionomia mutata, e così potei riconoscere la faccia di Forese Donati. Pregandomi mi diceva: « Deh, non badare all'arida scabbia che mi scolora la pelle, né alla mancanza di carne che denoto, ma dimmi la verità riguardo a te (che mi sembri ancor vivo), e dimmi chi sono quelle due anime là che ti guidano: non ti astenere dal parlarmi ! » Gli risposi: « Il tuo viso, che io già piansi quando moristi, mi causa ora un dolore non meno intenso (di quello di allora), tale da farmi piangere, vedendolo così deformato. Perciò (però) dimmi, per amore di Dio, che cosa vi consuma in tal modo: non farmi parlare finché sono in preda allo stupore perché chi è dominato da un altro desiderio con difficoltà può parlare ». Ed egli a me: « Per disposizione divina scende nell'acqua e nella pianta rimasta dietro di noi un potere per cui io dimagrisco in questo modo. Tutta questa gente che canta e piange per aver assecondato la gola oltre misura, qui soffrendo la fame e la sete ritorna pura. A noi accende il desiderio di bere e di mangiare il profumo che emana dal frutto di quell'albero e dallo spruzzo d'acqua che si irradia sopra le sue foglie verdi. E non una sola volta si rinnova la nostra pena, mentre giriamo il ripiano di questa cornice: ho detto pena, e dovrei dire gioia, perché ci conduce agli alberi (il primo all'ingresso del girone, canto XXII, 131 sgg., l'altro all'uscita, canto XXIV, 103 sgg.) quella stessa volontà che condusse Cristo lieto sulla croce a dire "Dio mio", quando ci redense col suo sangue ». E io gli dissi: « Forese, dal giorno in cui passasti dalla vita terrena a un'esistenza migliore fino ad oggi non sono ancora trascorsi cinque anni. Se in te venne meno la possibilità di peccare ulteriormente prima che sopraggiungesse l'ora del sincero pentimento che ci riconcilia con Dio (cioè: se ti pentisti solo nel momento estremo della vita, allorché non è più possibile peccare), come sei di già venuto quassù? Io pensavo di trovarti laggiù nell'antipurgatorio, dove il tempo perduto (senza pentirsi) si compensa con altrettanto tempo di attesa (prima dell'espiazione)». Perciò mi rispose: « Mi ha condotto così presto quassù a bere il dolce assenzio delle pene la mia Nella con le sue calde lagrime. Di Nella o Giovanna Donati sappiamo soltanto quello che qui ne dice Forese. Dante, nel primo sonetto della citata Tenzone, la rappresenta crucciata contro il marito, perché da questo trascurata: qui fa ammenda di quella sua prima malevola presentazione. Con le sue preghiere devote e con i sospiri mi ha tratto dall'antipurgatorio, e mi ha liberato dai gironi precedenti. La mia vedovella, che io ho intensamente amato, è tanto più cara e diletta a Dio, quanto più è sola nel fare il bene, perché la Barbagia di Sardegna nel costume delle sue donne è assai più pudica di Firenze, la Barbagia dove io la lasciai morendo. O dolce fratello, che altro vuoi ti dica di peggio? Mi è già davanti agli occhi un tempo futuro, rispetto al quale quest'ora presente non è molto lontana, in cui dal pulpito sarà solennemente proibito alle sfacciate donne di Firenze di andare in giro mostrando il petto con le mammelle scoperte. Quali donne barbare ci furono mai, quali donne saracene, cui fossero necessarie sanzioni religiose o civili per farle andare coperte? Ma se quelle svergognate venissero a sapere quello che il cielo a breve scadenza prepara per loro, avrebbero già la bocca aperta per urlare di spavento, perché, se qui non m'inganna la mia preveggenza, esse saranno dolenti prima che il bambino il quale ora si acquieta col canto della ninna nanna, diventi adulto. Deh, fratello, cerca ora di non celarmi oltre ciò che ti ho chiesto! vedi come non solo io, ma tutta questa gente guarda con stupore il luogo dove con la tua ombra veli il sole». Perciò io mi rivolsi a lui dicendo: « Se richiami alla memoria la vita che conducesti con me, ed io con te, il ricordarla ora (il memorar presente) sarà ancora spiacevole. Mi distolse da quella vita viziosa solo pochi giorni fa costui che mi guida, quando si mostrava a voi piena la luna, la sorella di quello »: e gl'indicai il sole. « Costui m'ha condotto attraverso la notte profonda dei veri morti (perché dannati) dell'inferno, mentre io portavo con me questo mio corpo reale che lo segue. Di li i suoi incoraggiamenti mi hanno aiutato a salire e a girare ripetutamente i balzi di questo monte, il quale raddrizza voi che il mondo aveva storpiato. Ed egli promette che mi accompagnerà, finché non sarò giunto là dove sarà Beatrice: colà è necessario che io resti privo di lui. Questi, che mi fa tali promesse, è Virgilio » e glielo additai; « e quest'altro è Stazio, quell'anima per la quale poco fa scosse tutte le sue pendici il monte del purgatorio, che lo allontana da sé ».

Purgatorio: XXIV Canto

Il parlare non rallentava il cammino, né il camminare rendeva più lento il discorso; ma, pur conversando, andavamo speditamente, come una nave spinta da vento favorevole. E le ombre, che sembravano cose più che morte, (guardandomi) attraverso gli occhi infossati si meravigliavano di me, essendosi accorte che io ero ancora vivo. E io, continuando il mio discorso (interrotto alla fine del canto precedente), dissi: « Quell'anima (Stazio) sale al paradiso forse più lentamente di quanto non farebbe (se fosse sola), per amore di Virgilio. Ma se lo sai, dimmi dov'è tua sorella Piccarda (di lei Dante parlerà nel canto IIl del Paradiso, versi 34 sgg.) ; e dimmi se, tra questa gente che mi osserva in questo modo, posso vedere qualche persona degna di nota ». « Mia sorella, che non so se fosse più bella o più buona, è già trionfante in paradiso, lieta della sua corona di gloria. » Cosi disse prima Forese; poi soggiunse: « In questo girone non è proibito (anzi è necessario) indicare ciascuno per nome, dal momento che, per il digiuno, la nostra fisionomia è così consunta. Costui » e lo mostrò col dito « è Bonaggiunta, voglio dire Bonaggiunta da Lucca; e quello dietro a lui, con la faccia cosparsa di screpolature più di tutti gli altri, fu sposo della Santa Chiesa (ebbe la Santa Chiesa in le sue braccia): fu di Tours, e col digiuno sconta le anguille del lago di Bolsena e la vernaccia ». Forese poi mi nominò a uno a uno molti altri; e tutti apparivano lieti di esser indicati col loro nome, tanto che per questo non vidi nessuno per disappunto rabbuiarsi in volto. Vidi Ubaldino della Pila muovere invano i denti per la fame e Bonifacio che, insignito del bastone pastorale, fu pastore di molte popolazioni. Vidi messer Marchese degli Argogliosi, che già ebbe agio di bere a Forlì con minor sete di qui, sebbene sia stato così grande bevitore da non sentirsi mai sazio. Ma come fa chi guarda più persone e poi mostra di stimare più l'una che l'altra, così feci io verso Bonaggiunta, che sembrava più degli altri desideroso di conoscermi. Egli parlava sottovoce: e io potevo percepire qualcosa come "Gentucca" dalla sua bocca dove egli sentiva più viva la tortura della fame e della sete che in tal modo li consuma. Io dissi: « O anima che sembri così desiderosa di parlare con me, parla in modo che io ti capisca, e parlandomi appaga il tuo e il mio desiderio ». Egli cominciò a dire: « È già nata una donna, che non porta ancora il velo maritale, la quale ti farà piacere la mia città, nonostante di essa si dica tanto male (come ch'uom la riprenda). E io gli risposi: « Io sono semplicemente uno (fra gli altri) che, quando avverto che l"amore mi parla, attentamente prendo nota, e cerco di esprimere fedelmente con le parole (vo significando) quello che esso detta dentro di me ». Egli disse: « O fratello, ora finalmente conosco l'impedimento che tenne il notaio Giacomo da Lentini e Guittone d'Arezzo e me al di fuori del dolce stiI novo, che ora mi spiego. Ora vedo bene come le vostre penne seguono con stretta fedeltà l'amore che detta, il che non accadde certamente alle nostre; e chiunque si metta a considerare ancor più attentamente, tra l'uno e l'altro stile (il nostro e il vostro) non vede altra differenza oltre quella che abbiamo detto (quella cioè relativa all'argomento d'amore e alla sincerità dell'ispirazione)»; e tacque, come appagato. Come gli uccelli (le gru) che svernano lungo il Nilo, talvolta formano in aria una schiera, poi volando più in fretta si dispongono in fila, così tutta la gente che era lì attorno a noi, volgendo gli occhi in direzione del cammino, affrettò il suo passo, resa agile dalla magrezza e dal desiderio di espiare. E come chi, stanco di correre, lascia andare i compagni, e così riprende il passo normale finché si calmi l'ansimare del petto, così Forese lasciò andar oltre quella santa schiera, e procedeva dietro con me, dicendo: « Quando avverrà che ti riveda?» Gli risposi: « Non so per quanto tempo vivrò ancora; ma certo il mio ritorno qui non sarà così prossimo, che io non anticipi prima col desiderio la mia venuta alla riva del purgatorio, perché il luogo (Firenze) dove fui posto a vivere, ogni giorno più s'impoverisce d'ogni virtù, e appare avviato verso una miseranda rovina ». « Orsù, fatti animo » egli disse, «perché io vedo il maggior colpevole trascinato dalla coda d'un cavallo verso la valle (l'inferno) dove le colpe non vengono mai rimesse. La bestia che lo trascina accelera la corsa ad ogni passo, e la sua velocità cresce sempre, finché lo percuote, e lascia il cadavere ignominiosamente sfigurato. Non dovranno girare a lungo quelle sfere (cioè: non passeranno molti anni) », e alzò gli occhi al cielo, « prima che ti sarà manifesto quello che le mie parole non possono dire più chiaramente. Ormai resta pure indietro; perché il tempo è prezioso in questo regno, e io ne perdo troppo procedendo così al passo con te ». Come talvolta da una schiera di soldati a cavallo esce al galoppo un cavaliere, e corre per avere l'onore del primo scontro col nemico, allo stesso modo si allontanò da noi Forese con passi più lunghi dei nostri; e io restai per via insieme con i due poeti, che furono così grandi maestri dell'umanità. E quando Forese si fu allontanato davanti a noi, tanto che i miei occhi lo seguirono a stento, così come a stento la mia mente aveva seguito le sue oscure parole profetiche, mi apparvero carichi di frutti e verdi di fogliame i rami d'un altro albero, e non molto lontani da me, essendomi io solo allora voltato verso quella parte. Sotto l'albero vidi della gente alzare le mani, e gridare non so che cosa verso le fronde, quasi fossero bambinetti golosi e ingenui, che pregano mentre colui che è pregato non risponde, ma tiene alto l'oggetto da essi desiderato e non lo nasconde, per rendere sempre più viva la loro brama. Poi quella gente si allontanò come disingannata; e noi ci avvicinammo subito al grande albero, che rifiuta di esaudire tante preghiere e lagrime. «Passate oltre senza avvicinarvi: più in alto (nel paradiso terrestre) vi è un altro albero il cui frutto fu gustato da Eva, e quest'albero derivò da quello. » Così parlava una voce nascosta tra le fronde; per questo Virgilio, Stazio ed io, tenendoci stretti, procedevamo lungo la parete del monte. Diceva: « Ricordatevi dei maledetti Centauri, figli della nuvola, che, ebbri, combatterono contro Teseo con i loro petti umani ed equini; e degli Ebrei che si mostrarono ingordi nel bere, e per questo Gedeone non li volle come compagni, quando discese dai monti contro i Madianiti ». Cosi accostati a uno dei due orli della cornice passammo oltre, udendo ricordare esempi di golosità, seguiti sempre da tristi castighi. Poi, distanziati un po' l'uno daIl'altro nella strada deserta, procedemmo oltre di ben mille passi e più, ciascuno meditando in silenzio. Una voce improvvisa ci disse: « Che cosa state pensando voi tre così solitari?»; perciò io mi scossi come fanno le bestie giovani quando vengono spaventate. Alzai il capo per veder chi fosse (colui che aveva parlato); e mai furono visti in una fornace vetri o metalli cosi fulgenti e incandescenti, com'era l'angelo che io vidi mentre diceva: « Se gradite salire, è necessario svoltare qui; da questa parte va chi vuole andare verso la pace del cielo ». Il suo aspetto mi aveva abbagliato la vista; e per questo io voltai (a sinistra) dietro ai miei due maestri, come un cieco che cammina seguendo la voce che ode. E quale il venticello di maggio, che annuncia il prossimo albeggiare, si leva ed è olezzante, perché tutto impregnato del profumo dell'erba e dei fiori, tale fu il vento che sentii colpirmi in mezzo alla fronte, e sentii distintamente muoversi l'ala, la quale fece sì che l'aria odorasse d'ambrosia. E udii dire: « Beati quelli ai quali splende tanta grazia, che il piacere della gola non eccita nel loro petto un desiderio eccessivo, provando sempre fame soltanto della giustizia! »

Purgatorio: XXV Canto

L'ora era così tarda che la salita non comportava indugio, perché il sole aveva già lasciato il meridiano di mezzogiorno presso la costellazione del Toro e la notte presso quella dello Scorpione: per la qual cosa, come fa colui che non si ferma, ma s'affretta per la sua strada, qualunque cosa gli appaia, se lo punge lo stimolo del bisogno, così noi entrammo nella spaccatura della roccia, incamminandoci uno dopo l'altro sulla scala, che per la sua strettezza costringe quelli che salgono a mettersi in fila. E come il cicognino che alza l'ala per la voglia di volare, e non osa abbandonare il nido, e quindi l'abbassa, così mi comportavo io per il desiderio di chiedere (una spiegazione), desiderio acceso (dal bisogno di sapere) e spento (dal timore di riuscire molesto), e giungevo fino all'atto (di aprir la bocca) come fa chi tenta di parlare. Il mio dolce padre Virgilio, per quanto il nostro procedere fosse rapido, non tralasciò di parlare, ma disse: « Scocca l'arco del dire, che hai teso fino al massimo (e parla pure liberamente)». Allora aprii la bocca senza esitazione e cominciai a dire: « Come possono le ombre diventare magre mentre non sono soggette al bisogno di nutrirsi? » Mi rispose: « Se ti rammentassi come Meleagro si consumò al consumarsi d'un tizzone ardente, questo problema non ti sarebbe così difficile da risolvere; e se pensassi come, ad ogni vostro pur rapido movimento, guizza la vostra immagine nello specchio, quello che ora ti sembra arduo a comprendersi ti riuscirebbe facile. Ma perché t'acquieti nella soddisfazione del tuo desiderio, ecco qui Stazio; ed io mi appello a lui e lo prego di farsi ora risanatore delle piaghe del tuo dubbio ». « Se gli spiego il misterioso agire di Dio » rispose Stazio « mentre sei presente tu (che potresti farlo meglio di me), mi valga come scusa (per l'apparente irriverenza) il fatto che non posso respingere il tuo invito.» Poi incominciò: « Se la tua mente, figlio, accoglierà e custodirà le mie parole, esse ti chiariranno il dubbio (al come: verso 20) di cui tu parli. La parte più purificata e perfetta del sangue, che non è mai assorbita dalle vene sempre assetate (perché devono continuamente alimentare le membra del corpo), e rimane in sovrappiù come un cibo che viene levato intatto dalla mensa, riceve nel cuore (dove passa) il potere di formare e organizzare tutte le membra del corpo, così come avviene per l'altro sangue (come quello: è il sangue che nutre le membra) che va per le vene a trasformarsi nelle membra. Dopo essersi ancora modificato, scende negli organi genitali maschili (ov'è più bello tacer che dire: che è più conveniente non nominare): e di qui poi stilla sul sangue femminile nella matrice. Qui il sangue maschile e quello femminile si congiungono, l'uno (il sangue della donna) disposto a subire l'azione fecondatrice, e l'altro (il seme maschile) ad operare grazie all'organo perfetto (per lo perfetto loco: il cuore) dal quale esso è spremuto (e dal quale riceve la capacità di agire): e, dopo che lo sperma si è congiunto al sangue femminile, comincia a svolgere la sua azione formando dapprima un coagulo di entrambi, e poi immette la vita in ciò che esso ha prodotto come materia su cui poter operare. La virtù attiva del seme maschile, diventata (nel feto) anima vegetativa quale è quella di una pianta, con la sola differenza rispetto a quest'ultima, che l'anima vegetativa del feto è ancora in svolgimento (è in via: e quindi è suscettibile di modificazioni, non essendo ancora pervenuta alla sua perfezione) e quella della pianta è già completa, continua poi ad operare, tanto che diventa già capace di moto e di sensibilità (che già si move e sente: diventa così anima sensitiva), ma ancora incompleta come un organismo animale inferiore (come fungo marino: probabilmente Dante intende alludere a una medusa, che si pensava sprovvista di organi differenziati); e in un secondo momento incomincia a sviluppare gli organi delle facoltà sensitive alle quali ha dato origine. A questo punto, figliolo, la virtù attiva (organizzatrice di tutte le membra) che deriva dal cuore del padre si dilata, a questo punto fluisce nel feto dove la natura (che ha come suo strumento la « virtù attiva ») lavora al totale compimento di tutte le membra necessarie alla vita dell'organismo. Ma tu non vedi ancora come un essere finora solo animale possa diventare un uomo (fante: essere parlante, e quindi dotato di ragione) : questo punto del problema è così complesso, che già indusse in errore un pensatore più dotto di te, cosicché secondo la sua dottrina considerò separato dall'anima individuale dell'uomo l'intelletto possibile, perché non vide nessun organo materiale assunto dall'intelletto possibile per esplicare la propria attività (come invece è l'orecchio per l'udito, il naso per l'odorato ecc.). Apri il tuo animo alla verità che sto per affermare: e sappi che, non appena nel feto è compiuta la formazione del cervello, Dio, colui che imprime il movimento a tutte le cose si rivolge al feto compiacendosi di questa mirabile opera della natura, e vi infonde (spira: con un diretto atto creativo) uno spirito nuovo (l'anima razionale), dotato di virtù, il quale assimila alla sua stessa sostanza ciò che trova attivo nel feto (ciò che trova attivo quivi: cioè l'anima vegetativa e quella sensitiva), e fa una sola anima (di sé e delle altre due), e questa vive (come la pianta), sente (come l'animale) e riflette su se stessa prendendo coscienza di sé. E affinché tu non debba stupirti troppo delle mie parole (perché esse hanno affermato che l'anima razionale infusa da Dio si è unita con elementi naturali, quali l'anima vegetativa e quella sensitiva), pensa al calore del sole che si fa vino, quando è congiunto alla linfa che scende dalla vite. Quando Lachesi (la Parca che fila lo stame della vita umana) non ha più lino da filare (quando cioè l'individuo muore), l'anima si scioglie dalla carne, e (a causa del legame con il corpo e della fusione con i due elementi naturali, vegetativo e sensitivo) porta con sé potenzialmente (in virtute: cioè con possibilità di esplicarle) la parte vegetativa e sensitiva (l'umano: che ha trovato nel corpo) e quella intellettiva ('l divino: quella infusa direttamente da Dio) le facoltà inerenti all'anima vegetativa e sensitiva restano tutte quante inerti (essendo state private, con la morte, degli organi corporei attraverso i quali agivano); invece in attività e molto più vive di prima sono le facoltà spirituali, memoria, intelligenza e volontà (essendo ora sciolte dall'impaccio del corpo). Immediatamente, per un mirabile impulso interiore (per se stessa... mirabilmente: è l'impulso che viene dalla coscienza dei meriti o delle colpe suscitata in lei dalla giustizia divina) l'anima cade ad una delle due rive: qui per la prima volta viene a sapere il suo futuro destino. (Dopo che l'anima è giunta al luogo assegnato) non appena lì uno spazio aereo l'accoglie e la circoscrive, la virtù informativa (cfr. verso 41; quella stessa che nel feto aveva determinato l'anima vegetativa e quella sensitiva e che poi era stata assimilata dall'anima razionale) incomincia ad operare nell'aria circostante, nello stesso modo e nella stessa misura in cui aveva operato a formare le membra del feto: e come l'aria, quando è pregna di umidità, per effetto dei raggi solari che si riflettono in lei, si adorna dei colori dell'iride, così l'aria che circonda l'anima qui assume quella forma che in essa imprime l'anima che vi si è fermata dopo la caduta grazie alla sua virtù informativa diffusa intorno; e poi come la fiamma (che è la forma aerea del fuoco) segue il fuoco dovunque esso si sposta, così il nuovo corpo aereo segue lo spirito (che lo ha prodotto). Poiché da questo corpo aereo l'anima acquista poi la sua parvenza esteriore, questo corpo aereo si chiama ombra; e da questo corpo aereo poi l'anima forma gli organi di ciascun senso fino a quello della vista (veduta: cioè fino al senso più complesso e perfetto). Per mezzo di questo corpo parliamo e ridiamo; per mezzo di questo corpo piangiamo e sospiriamo come puoi aver udito su per il monte. Secondo che ci stimolano i desideri e gli altri moti dell'animo, l'ombra prende l'atteggiamento corrispondente a quei sentimenti; e questo è il motivo per cui tu ti meravigli del nostro dimagrimento ». E già eravamo giunti in vista del tormento dell'ultimo girone, e avevamo voltato a destra, ed eravamo assorti in un altro interesse. In questo girone la costa del monte sprigiona in fuori con violenza delle fiamme, mentre dall'orlo esterno della cornice spira verso l'alto un vento che le fa ripiegare indietro e le allontana da questo lembo estremo; per questo dovevamo camminare uno dopo l' altro dal lato senza riparo; ed io alla mia sinistra temevo il fuoco, e alla mia destra temevo di precipitare nel vuoto. La mia guida diceva: « Per questo sentiero si devono tenere a freno gli occhi, perché potrebbe bastare un piccolo errore per precipitare ». Allora udii spiriti che cantavano in mezzo al grande fuoco « Dio di somma clemenza », la qual cosa mi rese desideroso di volgermi (verso la fiamma) non meno di quanto fossi desideroso di badare a non mettere il piede in fallo; e vidi spiriti che camminavano in mezzo alle fiamme; e per questo io guardavo alternando di volta in volta gli sguardi ora a loro e ora ai miei passi. Dopo aver cantato le parole finali di quell'inno, gridavano a voce alta: « Non conosco uomo »; poi ricominciavano l'inno con voce più bassa. Finito nuovamente l'inno, gridavano: «Diana (per serbarsi casta) visse nei boschi, e ne cacciò Elice che aveva assaporato il veleno di Venere». Poi tornavano a cantare l'inno; quindi gridavano i nomi di mogli e mariti che furono casti come impone di essere la virtù della temperanza e il sacro vincolo del matrimonio. E credo che per loro questo modo di espiazione duri per tutto il tempo che il fuoco li brucia: con la cura del fuoco e con tale nutrimento spirituale degli esempi e del canto bisogna che alla fine si rimargini la piaga (della lussuria).

Purgatorio: XXVI Canto

Mentre procedevamo con cautela (cfr. canto XXV, versi 115-117) lungo il margine esterno della cornice, uno davanti all'altro, e spesso il valente maestro mi diceva: « Fa' attenzione: ti sia utile il fatto che ti rendo accorto del pericolo », il sole che, diffondendo i suoi raggi, già cambiava in bianco l'aspetto azzurrino della zona occidentale del cielo (avviandosi ormai al tramonto), mi colpiva la parte destra del corpo; ed io con l'ombra (proiettata dal mio corpo) facevo apparire la fiamma più rosseggiante; e vidi che molte ombre, pur continuando a camminare, prestavano attenzione anche solo a un così piccolo indizio. Questo fu il motivo che offri loro l'occasione di rivolgermi la parola; e cominciarono tra loro a dire: « Questo non sembra un corpo apparente (fittizio: come quello dei penitenti)». Poi alcuni si spostarono verso di me, quanto fu loro possibile, sempre facendo attenzione a non uscire dalla fiamma. « O tu che cammini dietro agli altri, non per il fatto di essere più pigro, ma forse per manifestare rispetto, rispondi a me che ardo nella sete (di sapere) e nel fuoco (purificatore). Né la tua risposta è necessaria solo a me; perché tutte queste anime ne hanno maggior sete che non gli Indi o gli Etiopi (i popoli delle due regioni considerate le più calde della terra) di acqua fresca. Spiegaci per quale ragione con la tua persona fai ostacolo ai raggi del sole, proprio come se tu non fossi ancora morto. » Così mi parlava uno di loro: ed io mi sarei già manifestato, se la mia attenzione non si fosse volta ad uno spettacolo nuovo che apparve in quel momento, poiché attraverso lo spazio occupato dalle fiamme (per lo mezzo del cammino acceso) avanzava una schiera in direzione opposta a quella della prima (alla quale appartiene l'anima che ha ora parlato), la quale concentrò la mia attenzione nell'osservare. Li vedo (veggio) da ognuna delle due schiere farsi avanti sollecita ciascuna ombra e baciarsi una con l'altra senza fermarsi, contente di questa breve gioia allo stesso modo dentro la loro fila scura le formiche si toccano l'un l'altra con il muso, forse per cercare di sapere la via da percorrere e il cibo che potranno trovare. Non appena le due schiere interrompono l'abbraccio, prima di aver compiuto il primo passo per procedere oltre quel punto, ciascuna si sforza di gridare con voce che superi (quella dell'altro gruppo): la seconda schiera: « Sodoma e Gomorra »; e la prima: « Pasifae si nasconde nella vacca, affinché il toro possa soddisfare il suo istinto ». Poi simili a gru che (disponendosi in due gruppi) volino in parte verso le montagne del settentrione e in parte verso i deserti africani, queste desiderose di fuggire il freddo, quelle il caldo. Un gruppo si allontana (verso sinistra), l'altro procede (verso destra, nella stessa direzione dei poeti); e ricominciano, piangendo, l'inno «Summae Deus clementiae» (primi canti: cfr. canto XXV, 121) e gli esempi più adatti al loro tipo di lussuria; e quegli stessi che mi avevano pregato (di parlare) si riaccostano a me, come prima (cfr. versi 13-15). mostrandosi nell'aspetto attenti ad ascoltare. Io, che per due volte (ora e prima dell'arrivo dei sodomiti) avevo visto ciò che essi desideravano conoscere, incominciai: « O anime sicure di conseguire, presto o tardi, una condizione di felicità, le mie membra non sono rimaste in terra né giovani (acerbe: per morte precoce) né vecchie (mature: per morte naturale nella vecchiaia), ma esse sono qui con questo corpo che vedete con il loro sangue e con i loro nervi. Da questo monte salgo verso il cielo per non essere più ottenebrato (dal peccato e dall'errore): c'è una donna (Beatrice per molti, la Vergine per alcuni) nel paradiso che mi ha impetrato grazia da Dio, per la quale grazia io porto il mio corpo ('l mortal) nel mondo del purgatorio (per vostro mondo). Ma possa essere presto appagato il vostro maggior desiderio, cosicché vi accolga l'Empireo, il cielo che è pieno di amore e che racchiude tutti gli altri cieli, ditemi (in nome di questo augurio), affinché anche di questo io possa scrivere, chi siete voi, e chi è quella schiera che procede in direzione opposta alle vostre spalle ». Come (non altrimenti) si confonde stupefatto il montanaro, e meravigliandosi ammutolisce, quando rozzo e selvatico entra in città, allo stesso modo fece ciascuna anima nel suo aspetto; ma dopo che si furono liberate dallo stupore, il quale negli animi elevati presto si attutisce (s'attuta: perché subentra la riflessione), « Beato te » ricominciò l'anima che prima mi aveva interrogato, « che per morire in grazia di Dio (per morir meglio), fai esperienza del nostro mondo! Le anime che camminano in direzione opposta alla nostra, hanno offeso (Dio) con il peccato per il quale Cesare una volta, mentre celebrava il trionfo, si sentì ironicamente chiamare regina: per tale peccato si allontanano da noi gridando "Sodoma", rimproverando se stessi, come hai udito, e con la vergogna completano l'opera purificatrice della fiamma. Il nostro peccato invece avvenne tra persone di sesso diverso; ma poiché (pur non peccando contro natura) non osservammo la legge della ragione (umana legge: la norma alla quale deve attenersi l'uomo in quanto essere razionale e perciò obbligato a frenare gli istinti), abbandonandoci all'istinto come le bestie, a nostro obbrobrio, gridiamo, quando ci allontaniamo dall'altra schiera, il nome di Pasifae, colei che si fece bestia nel legno fatto in forma di bestia. Ora puoi capire il nostro comportamento qui e il peccato di cui ci macchiammo: se vuoi forse sapere chi siamo con l'indicazione del nostro nome, non è il momento opportuno per farlo, né saprei indicarti i miei compagni. Placherò ben volentieri il tuo desiderio (farotti ben... volere scemo) riguardo a me: sono Guido Guinizelli; e (benché sia morto non molti anni fa) mi trovo già a purificarmi nel purgatorio vero e proprio, per essermi pentito prima di giungere al momento estremo della vita. Nello stesso stato d'animo in cui si trovarono nell'episodio di dolore e di ira di Licurgo i due figli quando videro la madre, mi trovai io, ma non osai buttarmi tra le fiamme, allorché udii pronunciare il suo nome da Guido, padre (nel campo poetico) mio e degli altri rimatori migliori di me che scrissero versi d'amore dolci ed eleganti; e senza udire e parlare procedetti pensoso osservando a lungo Guido, e, a causa del fuoco, non mi avvicinai di più a lui. Quando fui pago di guardarlo, mi dichiarai tutto pronto a soddisfare le sue richieste con l'affermazione alla quale tutti credono (cioè mediante il giuramento) . Ed egli a me: « Tu lasci dentro di me, per quello che ho udito (cfr. versi 55-60), una impronta così profonda e così luminosa, che il Letè (il fiume dell'oblio: cfr. canto XXVIII, 127-128) non la potrà cancellare né oscurare, Ma se le tue parole poco fa mi hanno giurato il vero, dimmi quale è il motivo per il quale tu dimostri nelle parole e nello sguardo di avermi caro ». Ed io a lui: « Le vostre dolci rime, che, finché durerà l'uso di poetare in volgare (quanto durerà l'uso moderno), renderanno preziosi anche i loro inchiostri ». « O fratello », disse, « questo che ti indico con il dito », e additò uno spirito davanti, « fu migliore artefice nell'uso della sua lingua materna. Fu superiore a tutti coloro che scrissero poesie, prose in volgare non badare agli sciocchi i quali affermano che è superiore il poeta del Limosino. (Questi stolti) prestano attenzione a quello che si sente dire più che a quello che è realmente, e così formano la loro opinione prima di ascoltare gli argomenti dell'arte o della ragione. Così fecero molti della passata generazione letteraria a proposito di Guittone, dando onore soltanto a lui col ripetere di bocca in bocca lo stesso giudizio, finché ha annullato il suo nome il retto giudizio di molti letterati (con più persone che hanno ascoltato la voce dell'arte o della ragion). Ora se tu godi di un così ampio privilegio, che ti è permesso entrare nel paradiso (chiostro che racchiude i beati, come in terra il chiostro racchiude coloro che si dedicano alla vita religiosa) nel quale Cristo è il capo della comunità (abate del collegio), recita davanti a Lui per me un Pater noster, quel tanto che occorre a noi anime del purgatorio, dove non siamo più soggette alla possibilità di peccare (e perciò bisogna sopprimere l'espressione finale "e non ci indutre in tentazione"). » Poi, forse per dare luogo a un altro dopo di lui che gli stava vicino, scomparve nel fuoco, come scompare nell'acqua il pesce che si dirige verso il fondo. Io mi avanzai un poco verso lo spirito che mi era stato indicato (al mostrato: cfr. versi 115-116) , e dissi che il desiderio di conoscerlo preparava (nella mia anima) una grata accoglienza al suo nome. Egli cominciò a dire senza farsi pregare (liberamente): «Tanto mi è cara la vostra cortese domanda, che io non mi posso né voglio nascondermi a voi. lo sono Arnaldo, che piango e vado cantando; pensoso contemplo la passata follia e vedo gioendo, davanti a me, il giorno che spero. Ora vi prego, per quella virtù (cioè Dio) che vi conduce al sommo della scala (del purgatorio), vi sovvenga a tempo del mio dolore! » Poi si nascose nel fuoco che li purifica.

Purgatorio: XXVII Canto

In quella posizione nella quale manda i suoi primi raggi sulla città (là: a Gerusalemme) nella quale il suo Creatore sparse il sangue (per la salvezza degli uomini), mentre l'Ebro si trova (cadendo) sotto la costellazione della Libra alta nel cielo, e le acque del Gange sono riarse dal calore del mezzogiorno, in questa posizione si trovava il sole nel purgatorio; per la qual cosa il giorno tramontava, allorché ci apparve l'angelo di Dio splendente di gioia. Stava sull'orlo della cornice al di fuori del fuoco, e cantava « Beati i puri di cuore! (la sesta beatitudine evangelica: cfr. Marteo V, 8) » con una voce assai più chiara di quella umana. Poi « Non si può procedere oltre, anime sante, se prima il fuoco non fa sentire il suo morso: entrate in esso, e ascoltate il canto che si ode al di là delle fiamme », ci disse non appena gli fummo vicino: per la qual cosa io, quando intesi le sue parole, divenni pallido e gelido come un cadavere (qual è colui che nella fossa è messo). Tenendo con le mani giunte il mio corpo piegato indietro mi protesi in avanti (con lo sguardo), scrutando il fuoco e immaginando con estrema lucidità corpi umani già veduti bruciare sul rogo. Le mie valenti guide si volsero verso di me: e Virgilio mi disse: « Figlio mio, nel purgatorio può esserci tormento, ma non morte. Ricordati, ricordati! E se io ti ho guidato in salvo persino sul dorso di Gerione, che cosa non farò ora che sono più vicino al mondo della Grazia? Sappi per certo che se anche tu rimanessi ben mille anni in mezzo a questo fuoco, esso non potrebbe privarti neppure di un capello. E se tu forse credi che io ti inganni, avvicinati alla fiamma, e fatti dare una prova (della verità delle mie parole) dal lembo della tua veste (accostandolo al fuoco) con le tue mani. Deponi ormai, deponi ogni timore: volgiti da questa parte: vieni ed entra sicuro!» Ed io ostinatamente fermo e ciò contro la voce della coscienza (che mi comandava di ubbidire a Virgilio). Quando mi vide continuare a stare fermo e duro, un poco turbato, disse: « Pensa ora, figlio: solo questo ostacolo ti divide da Beatrice ». Come Piramo morente aperse gli occhi davanti a Tisbe che gli gridava il proprio nome, e la guardò, nel momento in cui il gelso divenne vermiglio, (rianimandomi) allo stesso modo, mentre la mia ostinazione cedeva, mi volsi verso la mia saggia guida, udendo il nome di Beatrice che mi risorge sempre nella mente. Per questo egli scosse il capo e disse: «Come! ce ne vogliamo ancora star di qua?»; poi sorrise come si sorride al bambino che si lascia convincere con la promessa di un frutto. Poi entrò nel fuoco davanti a me, pregando Stazio di venire dietro, mentre prima ci aveva diviso per un lungo tratto di cammino (procedendo in mezzo a noi). Non appena mi trovai in mezzo alle fiamme, mi sarei gettato in un vetro incandescente per rinfrescarmi, tanto smisurato era il calore lì dentro. Il dolce padre, per confortarmi, continuava a parlare sempre di Beatrice, dicendo: « Mi sembra già di vedere i suoi occhi». Ci guidava una voce che cantava dall'altra parte del fuoco; e noi, prestando attenzione solo a lei, giungemmo fuori della fiamma nel punto in cui si riprendeva a salire. « Venite, o benedetti del Padre mio (le parole che Cristo rivolgerà agli eletti: cfr. Matteo XXV, 34) », risuonò dentro una luce lì apparsa, così abbagliante, che sopraffece la mia vista e non la potei guardare. « II sole tramonta » soggiunse, « e scende la sera: non vi fermate, ma affrettate il passo, finché la parte occidentale del cielo non diventi completamente buia. » La scala scavata nella roccia saliva diritta verso levante cosicché io interrompevo davanti a me (con la mia ombra) i raggi del sole ormai basso all'orizzonte. E avemmo il tempo di sperimentare pochi gradini di quella scala, che io e le mie guide ci accorgemmo che il sole era tramontato dietro alle nostre spalle, per il fatto che l'ombra (proiettata dal mio corpo) era scomparsa (con lo scomparire del sole). E prima che l'orizzonte avesse assunto in tutta la sua estensione, un medesimo colore (diventando scuro), e la notte avesse occupato (con le sue tenebre) tutte le zone a lei assegnate, ciascuno di noi si coricò su un gradino; poiché la legge particolare del monte (in base alla quale è vietato salire dopo il tramonto del sole: cfr. canto VII, 43-57) ci tolse la possibilità e la gioia di salire oltre. Quali rimangono tranquille a ruminare le capre, che sono apparse scattanti e ardite sulle balze del monte prima di essersi satollate, sorvegliate dal pastore mentre se ne stanno silenziose all'ombra, intanto che il sole arde (ferve: intorno al mezzogiorno), e il pastore si è appoggiato sul suo bastone e, anche stando così appoggiato, continua a fare loro la guardia; e quale il custode della mandria che rimane lontano dall'abitato, passa la notte accanto al suo gregge addormentato, vigilando perché qualche animale predatore non lo disperda, allo stesso modo ce ne stavamo allora tutti e tre, io (prossimo al sonno e tranquillo) come una capra, ed essi (pronti a vigilare) come i pastori, chiusi e protetti da una parte e dall'altra dall'alta parete della roccia. Da lì si poteva scorgere solo una piccola parte di cielo; ma, per quel poco (che era possibile osservare), io vedevo le stelle più luminose (per la trasparenza e la finezza dell'aria a quell'altezza) e più grandi (per il fatto che sono guardate dalla cima dell'alto monte del purgatorio) del solito. Così pensando e fissando lo sguardo sulle stelle, fui preso dal sonno; quel sonno che spesso preannuncia gli eventi futuri, prima che essi effettivamente accadano. Nell'ora (che precede l'alba), credo, durante la quale dall'oriente cominciò a splendere sul monte del purgatorio il pianeta Venere (Citerea), che pare sempre ardere del fuoco d'amore, in sogno mi pareva di vedere una donna giovane e bella, che andava cogliendo fiori in una distesa erbosa, e che cantando diceva: « Chiunque domanda il mio nome sappia che io sono Lia, e vado muovendo intorno a me le mie belle mani per farmi una ghirlanda. Qui io mi adorno (di fiori) per potermi compiacere guardandomi allo specchio; ma mia sorella Rachele non distoglie mai l'occhio dal suo specchio, e sempre siede davanti ad esso. Ella è tanto, desiderosa di contemplare i suoi begli occhi, come io di adornarmi con le mie mani; lei trova il suo appagamento nel contemplare, ed io nell'operare». E già per il chiarore dell'alba, il quale sorge tanto più gradito ai pellegrini, quanto più, nel ritorno, hanno pernottato vicino al luogo natio, le tenebre fuggivano da tutte le parti (lati), e con esse scompariva il mio sonno; per cui io, vedendo i due grandi maestri già in piedi, mi alzai. « Quel dolce frutto della felicità che per tante vie gli uomini vanno cercando affannosamente, oggi placherà tutti i tuoi desideri. » Virgilio disse queste solenni parole rivolto a me; e non ci furono mai buone novelle che mi procurassero un piacere uguale a quello che allora provai. Un così grande desiderio mi si aggiunse al precedente desiderio di pervenire sulla cima, che poi ad ogni passo mi sentivo crescere lo slancio per la salita. Dopo aver compiuto di corsa tutta la scala sotto di noi ed essere giunti sul gradino più alto, Virgilio fissò intensamente i suoi occhi su di me, e disse: « Figlio, hai visto le pene temporanee (del purgatorio) e quelle eterne (dell'inferno); e sei giunto in un luogo dove io con le mie sole forze non distinguo più oltre (il cammino). Ti ho condotto fin qui con l'intelligenza e con l'applicazione pratica di essa; prendi ormai per guida la tua naturale inclinazione (che ti porterà verso il bene): sei fuori dalle vie ripide, sei fuori dalle vie strette (cioè: ogni difficoltà è stata superata). Vedi il sole che ti illumina la fronte; vedi l'erbetta, i fiori e gli arboscelli, che qui la terra produce spontaneamente. Finché non ti appariranno per farti gioiosa accoglienza i begli occhi di Beatrice, i quali, con le loro lagrime, mi mossero a venire in tuo aiuto, ti puoi sedere e andare tra gli alberi e i fiori. Non attendere più le mie parole né i miei gesti: il tuo volere è ormai libero dalle passioni rettamente volto verso il bene e guarito dai suoi mali, e sarebbe errore non assecondarlo: perciò io ti costituisco signore e guida di te stesso ».

Purgatorio: XXVIII Canto

Già desideroso d'esplorare l'interno e i dintorni della divina foresta, folta e verdeggiante, la quale temperava ai miei occhi i raggi del sole sorto da poco, senza più attendere, lasciai il margine del ripiano, iniziando a camminare lento lento per la distesa erbosa su quel terreno che olezzava da ogni parte. Un'aria dolce, non soggetta in se stessa ad alcun mutamento, mi colpiva in fronte giungendomi non più forte di un vento soave: per cui le fronde, tremolando, senza resistenza si piegavano tutte quante verso occidente, la parte dove il santo monte getta l'ombra di primo mattino (al sorgere del sole); senza tuttavia essere scostate dalla loro posizione normale tanto, che gli uccelletti (per il fatto di essere disturbati) dovessero tralasciare di cantare e volare su per i rami; ma, cantando, facevano festosa accoglienza alle prime ore del giorno in mezzo alle foglie, che accompagnavano il loro canto, proprio come si forma di ramo in ramo il mormorio dentro la pineta sul litorale di Classe, quando Eolo fa uscire fuori il vento di scirocco. I miei lenti passi mi avevano portato già nel folto dell'antica selva tanto, che ormai non potevo più vedere il punto dove io ero entrato; ed ecco mi impedì di procedere oltre un fiumicello, che (scorrendo) verso sinistra con le sue piccole onde piegava l'erba nata sulle sue rive. Tutte le acque più limpide che sono sulla terra, a paragone dell'acqua di quel fiumicello, perfettamente trasparente, sembrerebbero contenere qualche impurità, quantunque essa scorra scura scura sotto l'ombra perenne (degli alberi), che mai lascia penetrare un raggio di sole o di luna, Fermai il passo e spinsi gli occhi al di là del fiumicello, per osservare la grande varietà di rami fioriti; e là, così come appare improvvisamente qualcosa che a causa della meraviglia che suscita distoglie da ogni altro pensiero, mi apparve una donna tutta sola, che se ne andava cantando e scegliendo tra i fiori di cui era dipinta tutta la via che ella percorreva. « Deh, bella donna, che ti riscaldi ai raggi dell'amore divino, a quanto appare dal volto che suole essere testimone del cuore, ti sia gradito procedere innanzi » le dissi « verso questo fiume, tanto che io possa capire che cosa canti. Tu mi fai ricordare il luogo dove si trovava Proserpina e quanto era bella nel momento in cui sua madre perse lei, ed ella perse il mondo della primavera. » Come si volge una donna che danza, con i piedi che quasi non si staccano dal suolo e uniti tra di loro, e impercettibilmente mette un piede avanti all'altro, ella si volse verso di me sopra i fiorellini vermigli e gialli non diversamente da una fanciulla che (per pudore) abbassi i casti occhi; e fece in modo che fossero appagate le mie preghiere, avvicinandosi tanto, che il dolce suono del suo canto mi arrivava con il significato delle parole che ella cantava. Appena giunse là dove le erbe venivano già bagnate dalle onde del bel fiume, mi fece la grazia di alzare il suo sguardo verso di me: non credo che splendesse tanta luce negli occhi di Venere, trafitta dal figlio Cupido contro le abitudini di quest'ultimo. Ritta sull'altra sponda la donna sorrideva, mentre con le sue mani intrecciava i fiori di vario colore, che la sommità del monte produce senza bisogno di semi. Il fiume ci separava solo di tre passi; ma lo stretto dei Dardanelli là dove passò Serse, la cui sconfitta è ancora un ammonimento per ogni orgoglio umano, non fu maggiormente odiato da Leandro a causa delle sue burrasche (che gli rendevano ìmpossibile il passaggio a nuoto) tra Sesto e Abido, di quanto non fosse odiato da me quel fiumicello perché non si aprì in quel momento per lasciarmi passare. La donna cominciò: « Voi siete nuovi del luogo, e forse perché io mi mostro sorridente in questo posto scelto da Dio come sede, della specie umana (se fosse rimasta innocente), vi meravigliate e rimanete in dubbio; ma gioverà ad illuminarvi il salmo "Mi hai rallegrato" (è il quinto versetto del Salmo XCII, che esalta la gioia della contemplazione delle bellezze create da Dio), il quale può sgombrare ogni nebbia dalla vostra mente. E tu che sei davanti agli altri due e mi hai pregata, dimmi se desideri sapere altro da me; perché sono venuta (verso di te) pronta a rispondere ad ogni tua domanda finché basti a soddisfarti ». Io dissi: « L'acqua di questo fiume e il vento che fa stormire la foresta contrastano dentro di me con la convinzione che mi ero da poco formato riguardo a una cosa che avevo udito e che è contraria a questa che ora vedo ». Perciò ella: « Io ti spiegherò come ciò che desta la tua meraviglia derivi da una sua particolare causa, e dissiperò la nebbia (dell'ignoranza) che offende la tua mente. Dio, il sommo Bene, che solo di se stesso prova compiuto piacere, creò l'uomo buono e atto a operare il bene, e gli diede questo luogo (il paradiso terrestre) come anticipazione della beatitudine eterna. A causa della sua colpa l'uomo dimorò poco (solo sette ore: cfr. Paradiso XXVI, 139-142) nel paradiso terrestre; a causa della sua colpa tramutò l'innocente diletto e la dolce gioia in pianto e in affanno. Perché le perturbazioni che al di sotto di questo monte sono prodotte dai vapori dell'acqua e della terra, che tendono a salire quanto più possono seguendo il calore del sole, non potessero recare all'uomo alcuna molestia, questo monte s'innalzò verso il cielo così tanto (come vedi), ed è libero da tali perturbazioni dal punto dove si trova la porta d'accesso. Ora; poiché tutta quanta l'atmosfera gira circolarmente assieme alla prima sfera celeste, se il moto circolare non è interrotto da un ostacolo in qualche parte, sulla sommità di questo monte che spazia liberissima nell'aria pura, questo movimento (dell'aria) percuote, e fa stormire la selva perché è fitta (e oppone resistenza); e le piante così mosse dal vento hanno tanto potere, che impregnano l'atmosfera della loro virtù fecondatrice, che poi l'aria, girando (attorno alla terra), diffonde intorno; e la terra dell'altro emisfero, secondo che è adatta per la propria natura e per il clima, concepisce e fa nascere da diversi semi le diverse piante. Dopo questa spiegazione, non dovrebbe poi nascere stupore di là nel vostro mondo, quando qualche pianta germoglia sulla terra senza seme visibile. E devi sapere che questa santa regione dove ti trovi, è piena di ogni specie di semi vegetali, e produce anche qualche frutto che non si coglie di là sulla terra. L'acqua che vedi non scaturisce da una polla che sia alimentata dal vapore acqueo convertito in pioggia dal freddo, come (sulla terra) un fiume il quale accresce e diminuisce la sua portata (a seconda delle piogge); ma nasce da una fonte costante e inesauribile, che dal volere di Dio attinge tant'acqua, quanta ne versa nei due fiumi aperti in due direzioni opposte. Nel fiume che è da questa parte l'acqua scorre con un potere che toglie il ricordo del peccato in chi la beve; nel fiume che è dall'altra parte l'acqua restituisce il ricordo del bene compiuto. Da questo lato il fiume si chiama Letè; così dall'altro si chiama Eunoè, e l'acqua non opera il suo effetto se prima non è bevuta in entrambi i ruscelli. il sapore di quest'acqua è superiore a qualsiasi altro sapore. E sebbene la tua sete di sapere possa essere sufficientemente appagata senza bisogno che ti riveli di più, (tuttavia) spontaneamente ti darò ancora un'ultima informazione; né credo che le mie parole ti siano meno gradite, se a tuo favore si estendono al di là della mia promessa. Coloro che in antico cantarono in poesia l'età dell'oro e la sua condizione felice, forse poetando (in Parnaso: è la montagna della Focide, sede di Apollo e delle muse) intravidero come in sogno questo luogo. Nel paradiso terrestre furono innocenti i progenitori del genere umano; qui fu primavera perpetua e vi furono frutti d'ognì specie; l'acqua di questi fiumi è il nettare di cui parlò ognuno di quei poeti ». Allora con tutta la persona io mi volsi indietro verso i miei due poeti, e vidi che avevano accolto l'ultima parte del discorso sorridendo; poi rivolsi nuovamente il mio sguardo alla bella donna.

Purgatorio: XXIX Canto

Al termine del suo discorso Matelda proseguì, cantando come donna innamorata: « Beati coloro ai quali sono cancellati i peccati! » (cfr. Salmo XXXII, 1) E come le ninfe che se ne andavano solitarie sotto l'ombra delle selve, desiderando le une di vedere, le altre di evitare i luoghi soleggiati, la donna allora si mosse in direzione contraria alla corrente del fiume, camminando lungo la sponda; ed io procedetti alla pari con lei (dall'altra parte), accordando i miei ai suoi passi brevi. In due non avevamo ancora fatto cento passi, quando le sponde svoltarono formando lo stesso angolo in modo che (seguendo la curva) di nuovo mi volsi verso levante. Non avevamo ancora percorso molta strada in quella direzione, quando la donna si volse verso di me con tutta la persona, dicendo: « Fratello mio, guarda e ascolta ». Ed ecco una luce improvvisa balenò da ogni parte nella grande foresta, tale, che mi fece dubitare che fosse un lampo. Ma siccome il baleno, appena giunto, cessa, e invece quello, perdurando, splendeva sempre più, dentro di me dicevo: «Che cosa è mai questo? » Intanto per l'aria luminosa si diffondeva una dolce melodia; per la qual cosa un giusto sdegno mi indusse a biasimare l'ardimento di Eva, la quale proprio là (nel paradiso terrestre) dove la terra e il cielo ubbidivano (alla volontà di Dio), donna sola e creata soltanto allora, non sopportò di stare sotto il velo (che limitava la sua conoscenza del bene e del male); se fosse stata sottomessa a quel velo, io avrei gustato quelle ineffabili delizie fin dalla nascita e per lunghissimo tempo (più lunga fiata: per tutta la durata della vita). Mentre io procedevo totalmente assorto in tante anticipazioni della beatitudine celeste, e desideroso inoltre di maggiori gioie, davanti a noi l'aria sotto i verdi rami si fece rosseggiante, come viva fiamma; e la dolce melodia già si distingueva composta di canti. O sacrosante Muse, se talvolta per amor vostro ho sofferto fami, freddi o veglie, un alto motivo mi spinge ad invocare il vostro aiuto. Ora è necessario che il monte Elicona (sede delle muse) effonda per me l'acqua delle sue fonti (Aganippe e Ippocrene), e che la musa Urania (simbolo della scienza delle cose sovrannaturali) mi aiuti con le sue compagne a mettere in versi cose difficili anche solo a pensarsi, Poco più avanti, il grande tratto di aria che ancora correva tra noi e il punto dove erano le apparizioni, faceva falsamente apparire l'immagine dì sette alberi d'oro; ma quando mi fui avvicinato ad essi tanto, che la loro figura, la quale (come ogni corpo soggetto alla loro percezione) può ingannare i sensi, per la distanza (abbreviata) non nascondeva più nessuna sua caratteristica, la facoltà percettiva che prepara alla ragione la materia su cui può esplicare la sua attività, vide chiaramente che essi erano candelabri, e distinse nelle voci del canto la parola « osanna». Nella parte superiore l'insieme dei candelabri fiammeggiava assai più luminoso della luna piena (quando splende) nell'aria limpida nel cuore della notte a metà del mese lunare. Io mi rivolsi pieno di meraviglia al valente Virgilio, ed egli mi rispose con uno sguardo non meno stupito del mio. Poi volsi di nuovo gli occhi a quegli oggetti mirabili che si muovevano verso di noi così lentamente, che sarebbero stati superati anche dal lento passo delle spose novelle (nel corteo nuziale, o quando la sposa lascia la casa paterna o quando entra in chiesa). La donna mi rimproverò: « Perché guardi con tanto ardore soltanto lo spettacolo delle vive luci (dei candelabri), e non guardi quello che viene dietro ad esse? » Allora vidi figure biancovestite seguire i candelabri, quasi questi fossero le loro guide; e qui sulla terra non ci fu mai un candore pari a quello delle loro vesti. Al mio lato sinistro l'acqua (del Letè) risplendeva (per la luce dei candelabri), e se io mi volgevo a guardarla, mi rimandava anche, come uno specchio, l'immagine della parte sinistra del mio corpo. Quando dalla riva dove mi trovavo arrivai a una posizione tale, che solo il fiume mi separava dal corteo, fermai i miei passi per poter osservare meglio, e vidi che le fiamme dei candelabri procedevano in testa (alla processione), lasciandosi dietro l'aria colorata, e sembravano strisce tracciate da pennelli mossi (sopra una tela); sicché l'aria sovrastante rimaneva segnata da sette liste, tutte formate da quei colori con i quali il sole crea l'arcobaleno e la luna (Delia: così viene chiamata Diana, la luna, essendo nata nell'isola di Delo) il suo alone. Questi stendardi (formati dalle strisce luminose) si stendevano indietro oltre quanto poteva giungere la mia vista; e, a mio avviso, i due stendardi esterni distavano l'uno dall'altro dieci passi. Sotto un cielo cosi bello come io lo descrivo, procedevano ventiquattro seniori, a due a due, coronati di gigli. Tutti cantavano: «Benedetta tu tra le figlie di Adamo, e benedette siano in eterno le tue bellezze! » Dopo che lo spazio fiorito e pieno di tenere erbette sull'altra sponda di fronte a me fu lasciato libero da quelle elette persone (che erano andate innanzi), così come nella rotazione celeste una costellazione segue un'altra, dietro di loro sopraggiunsero quattro animali, ciascuno dei quali era coronato di verdi fronde. Ognuno era fornito di sei ali; le penne erano cosparse di occhi; e gli occhi di Argo, se fossero ancora vivi, sarebbero altrettanto penetranti. Non sprecherò più versi, lettore, per descrivere il loro aspetto, perché mi incalza la necessità di spendere parole per un altro argomento, cosicché non posso indugiare in questo; ma leggi Ezechiele che li descrive come li vide venire da settentrione con vento e con nubi e con fuoco; e come li troverai nei passi del suo libro, tali erano qui, tranne che riguardo al numero delle ali Giovanni concorda con me e dissente da Ezechiele. Lo spazio che restò tra i quattro animali accolse un carro trionfale, a due ruote, il quale veniva trascinato legato al collo di un grifone. Esso protendeva verso l'alto entrambe le ali, le quali passavano tra la lista mediana e i due gruppi delle tre liste laterali, cosicché, fendendo (l'aria), non ne toccava nessuna. Salivano così in alto che non era possibile seguirle con gli occhi; le membra di quella parte del corpo che aveva l'aspetto dell'aquila d'oro, e le altre erano bianche, soffuse di colore vermiglio. Non solo Roma non onorò con un carro così sontuoso l'Africano, o Augusto, ma perfino il carro del sole apparirebbe povero in confronto a questo: il carro del sole che, essendo uscito dalla sua strada, fu incendiato in seguito alle fervide preghiere della Terra, quando Giove mostrò la sua imperscrutabile giustizia. Accanto alla ruota destra tre donne procedevano danzando in tondo: la prima appariva tanto rossa che a stento sarebbe stata visibile nel fuoco; la seconda era di un colore verde, come se le sue carni e le sue ossa fossero state fatte di smeraldo; la terza appariva bianca come neve appena caduta; ed ora sembravano guidate nella danza da quella bianca, ora da quella rossa; ma solo dal canto di quest'ultima le altre regolavano il ritmo ora lento e ora veloce. Intorno alla ruota sinistra facevano festa (danzando) quattro donne, vestite di un abito del colore della porpora, regolando il ritmo sotto la guida di una di loro che aveva tre occhi nella testa. Dopo tutto il gruppo ora descritto scorsi due vecchi diversi nell'abito, ma simili nell'atteggiamento dignitoso e grave. Il primo rivelava (nell'abito) di essere uno dei seguaci di quel sommo Ippocrate che la natura creò per gli uomini, gli esseri viventi che essa ha più cari; il secondo, portando in mano una spada lucente e aguzza, mostrava di esercitare un'attività contraria a quella del medico, ed era tale, che mi fece paura, pur trovandomi al di qua del fiume. Poi vidi quattro personaggi in atteggiamento di umiltà; e dietro a tutti avanzava un vecchio solo, con gli occhi chiusi, e un viso pieno di penetrante espressività. E questi ultimi sette personaggi erano vestiti di bianco come quelli della prima schiera (col primaio stuolo: i ventiquattro seniori), ma intorno al capo non avevano una ghirlanda (brolo: significa propriamente "orto". "giardino") di gigli, bensì di rose e di altri fiori vermigli: un occhio che li avesse osservati ad una certa distanza avrebbe giurato che essi ardessero al di sopra dei cigli. E quando il carro (sempre rimanendo sull'altra sponda) fu giunto davanti a me, si udì un tuono, e fu chiaro che a quelle sante figure era vietato procedere oltre, poiché si fermarono qui insieme ai sette candelabri.

Purgatorio: XXX Canto

Quando l'Orsa Maggiore (il settentrion: le sette stelle dell'Orsa Maggiore indicano qui i sette candelabri) dell'Empireo, che non conobbe mai né tramonto né aurora né altra nebbia che la offuscasse se non il velo del peccato, e che lì nel paradiso terrestre (guidando la processione) rendeva ciascuno consapevole di ciò che doveva fare, come la sottostante costellazione dell'Orsa Minore rende consapevole (della rotta da seguire) ogni nocchiero che manovra il timone della nave per giungere in porto, quando, dico, i sette candelabri si fermarono, i ventiquattro seniori, testimoni della verità, che si erano fatti avanti per primi tra il grifone e i candelabri (esso: riferito a settentrion), si rivolsero al carro come al principio e fine dei loro desideri; e uno di loro, come fosse ispirato dal cielo, per tre volte gridò cantando « Vieni, o sposa, dal Libano », e tutti gli altri ripeterono l'invocazione. Come all'ultimo appello del giudizio universale risorgeranno i beati uscendo prontamente ognuno dalla sua sepoltura, mentre saluteranno con un alleluia il corpo risorto di cui tornano a rivestirsi, allo stesso modo, all'invito di così venerando vecchio, si levarono sul carro divino moltissimi angeli, ministri e messaggeri di vita eterna. Tutti dicevano: « Benedetto tu che vieni! », e gettando fiori sopra e intorno (al carro) soggiungevano: « Oh, datemi gigli a piene mani! » Io vidi spesso al cominciare del giorno la parte orientale del cielo tutta rosa, e le altre parti adorne di un bel sereno; e vidi il disco del sole spuntare al mattino come velato d'ombra, in modo che l'occhio lo poteva fissare per lungo tempo, perché i vapori ne temperavano il fulgore: così velata da una nuvola di fiori che, lanciati dalle mani degli angeli, salivano e ricadevano dentro e intorno al carro, m'apparve una donna cinta di fronde d'ulivo sopra il candido velo, vestita sotto il manto verde di una veste del colore della fiamma viva. E il mio animo, che già da tanto tempo (sono trascorsi dieci anni dalla morte di Beatrice al momento del viaggio di Dante nell'oltretomba) non avvertiva, pieno di tremore, il profondo turbamento che sentiva (sempre) alla sua presenza, senza averla quasi vista (sanza delli occhi aver più conoscenza: senza ricevere dagli occhi una più precisa conoscenza), per una misteriosa virtù che da lei emanava, avvertì la grande potenza dell'antico amore. Non appena i miei occhi furono colpiti dalla grande bellezza che già mi aveva ferito prima di essere uscito dalla puerizia, mi volsi verso sinistra con la stessa affannosa incertezza con la quale il bambino corre dalla mamma quando ha paura o quando prova dolore, per dire a Virgilio: « Neppure una stilla di sangue (men che dramma: dramma, di per sé, indica l' ottava parte dell'oncia, cioè poco più di tre grammi) mi è rimasta che non tremi: conosco i segni dell'antica fiamma »; ma Virgilio aveva privato della sua presenza me e Stazio, Virgilio, il dolcissimo padre, Virgilio, al quale mi ero affidato perché mi fosse guida verso la salvezza (per mia salute: cfr. Inferno II, 140); né tutto ciò che Eva (l'antica matre) perdette con il suo peccato (cioè il paradiso terrestre e le sue gioie), poté impedire che le mie guance, già lavate (di ogni bruttura) con la rugiada (cfr. Purgatorio I, 127-129), ritornassero a macchiarsi di lagrime. « Dante, non piangere anche, per il fatto che Virgilio se ne è andato, non piangere ancora; poiché sarai costretto a piangere per ben altro dolore (per il rimprovero che fra poco Beatrice gli rivolgerà a causa delle sue colpe).» Simile ad un ammiraglio che si sposta sulla poppa e sulla prora della sua nave per controllare le ciurme che attendono al proprio lavoro sulle navi minori della flotta, e le esorta a compiere bene (il lavoro), sulla sponda sinistra del carro, allorché mi volsi al suono del mio nome, che qui devo trascrivere per necessità, vidi la donna che prima mi era apparsa coperta di un velo sotto la nuvola dei fiori lanciati dagli angeli, volgere gli occhi verso di me al di qua del Letè. Sebbene il velo che le scendeva dal capo, coronato da fronde di ulivo (pianta sacra alla dea Minerva), non la lasciasse apparire completamente visibile, sempre in un atteggiamento di regale fierezza continuò come l'oratore che inizia a parlare e riserva per ultimo le parole più accese: « Guarda qui (guardaci: ci è particella avverbiale) ben fisso! Sono io, sono proprio Beatrice. Come ti sei considerato degno di accedere al monte del purgatorio? Non sapevi tu che qui l'uomo gode la felicità (che nasce dalla purificazione del peccato)? » Gli occhi mi caddero sulla limpida acqua del Letè; ma vedendo rispecchiata in essa la mia confusione, li volsi sull'erba, tanto era il peso della vergogna che mi fece abbassare la fronte. Come la madre (mentre lo rimprovera) sembra severa al figlio, così Beatrice apparve a me, perché riesce amaro il sapore dell'affetto materno quando (per il bene del figlio) si manifesta in modo severo. Ella tacque; e gli angeli cantarono immediatamente « In Te io confido, o Signore »; ma (nel canto di questo salmo) si interruppero alle parole « i miei passi ». Come sui monti dell'Appennino tra i rami degli alberi si congela la neve, spinta e addensata dal soffio dei venti freddi (venti schiavi: sono i venti della Schiavonia o Illiria, provenienti quindi da nord-est), la quale poi, sciogliendosi, gocciola dagli strati superiori della sua superficie su quelli inferiori, non appena la regione africana manda i suoi venti caldi, così che pare il fuoco che consuma la candela, allo stesso modo (cioè gelato come la neve sotto i venti freddi) rimasi incapace di piangere e di sospirare prima che cantassero gli angeli, i quali accordano sempre il loro canto alle armonie dell'eterno ruotare dei cieli; ma dopo che nelle dolci modulazioni del loro canto li udii mostrare compassione verso di me, più che se avessero detto: "Donna, perché lo mortifichi così duramente?", il gelo che mi si era addensato intorno al cuore, si sciolse in sospiri e in lagrime, e con dolore uscirono dal petto attraverso la bocca e gli occhi. Ella, sempre rimanendo ferma sulla sponda sopra nominata (cioè la sinistra: cfr. verso 61) del carro, rivolse le sue parole agli angeli (sustanze: essi, infatti, sono sostanze separate dalla materia) che si erano mostrati pietosi verso di me, parlando in questo modo: « Voi vegliate sempre nella eterna luce di Dio, cosicché né la tenebra (dell'ignoranza) né il sonno (che può essere indizio di pigrizia e che comunque impedisce momentaneamente di vedere) vi sottraggono la conoscenza di ogni passo (cioè di ogni pensiero o azione) che l'umanità compie sulla sua strada; per la qual cosa la mia risposta (al vostro canto pietoso) mira soprattutto a farsi intendere da colui che piange al di là del Letè, affinché il suo dolore sia commisurato alla colpa commessa. Non solo per l'influsso dei cieli, che indirizzano ogni essere fin dal momento del suo concepimento verso un fine preciso, secondo le caratteristiche delle stelle che sono in congiunzione (con quei cieli al momento del concepimento), ma anche per l'abbondanza delle doti spirituali, la cui pioggia si forma da vapori (cioè: dalla volontà di Dio) così misteriosi, che l'intelletto umano non può neppure giungervi vicino, questi (Dante) nella sua giovinezza (vita nova) fu dotato di tali possibilità, che ogni buona disposizione avrebbe potuto produrre in lui prove mirabili (qualora egli avesse assecondato queste sue attitudini naturali). Ma un terreno, quanto più è dotato di forza produttrice, tanto più diventa arido e selvatico quando vi si getta un seme cattivo oppure quando viene lasciato incolto. Per qualche tempo lo guidai con la mia presenza: mostrandogli il mio sguardo adolescente, lo conducevo con me rivolto verso la strada del bene. Non appena giunsi alla soglia della giovinezza e passai dalla vita terrena a quella eterna, egli si allontanò da me, e si affidò ad un'altra. Dopo che da creatura corporea divenni puro spirito, e la mia bellezza e le mie virtù aumentarono, io gli divenni meno cara e meno gradita; e si incamminò per una strada sbagliata, seguendo le ingannevoli immagini dei beni terreni, che non mantengono mai interamente nessuna promessa (ingannando gli uomini con il promettere loro una felicità che non potranno mai raggiungere). Né (per ricondurlo al bene) mi valse ottenergli da Dio buone ispirazioni, con le quali e per mezzo di visioni e con altri interventi tentai di richiamarlo (dalla strada del male); così poco si curò di tutto questo! Cadde in uno stato di tale traviamento, che tutti i rimedi per salvarlo erano ormai insufficienti, eccetto quello di mostrargli la condizione dei dannati (affinché, ispirando gli orrore per il peccato, più facilmente egli potesse allontanarsene). Per questo discesi nel limbo, la porta d'ingresso dell'inferno, e pregai, piangendo, colui (Virgilio) che lo ha guidato fin quassù. Un sommo decreto di Dio sarebbe violato, se si oltrepassasse il Letè (che fa dimenticare ogni peccato) e si gustasse la dolcezza delle sue acque senza pagarne il prezzo con un pentimento così profondo da far spargere lagrime ».
 
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