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Parafrasi del Paradiso della "Divina Commedia" di Dante, 11 - 20

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view post Posted on 9/5/2010, 17:17     +1   -1




Paradiso: XI Canto

O stolta preoccupazione dei mortali, quanto sono erronei quei ragionamenti che vi fanno volgere alle cose terrene! Chi se ne andava dietro alla giurisprudenza, e chi dietro alla medicina, e chi inseguiva i benefici ecclesiastici, e chi cercava di dominare con la violenza o con la frode e chi era occupato a rubare, e chi in attività pubbliche; chi si affaticava immerso nei piaceri della carne, e chi invece si abbandonava all’ozio, mentre io, libero da tutte queste vane sollecitudini, lassù in cielo in compagnia di Beatrice ero accolto con tanta festa. Dopo che ognuno (dei dodici spiriti) fu tornato (danzando) nel punto del cerchio in cui si trovava prima, si fermò immobile, come (è immobile) una candela sul candeliere. E dentro quella luce (San Tommaso) che prima mi aveva parlato, mentre sorrideva facendosi più splendente, io udii incominciare: “ Come io risplendo del raggio divino, così, lo sguardo nella luce eterna di Dio, conosco da dove abbiano origine le tue incertezze. Tu dubiti, e desideri che il mio discorso si chiarisca con una esposizione così evidente e ampia, che si distenda davanti alla tua capacità di intendere, riguardo al punto in cui prima dissi “U’ ben s’impingua”, e all’altro in cui dissi “Non surse il secondo”; e a proposito di questi dubbi è necessario procedere con opportune distinzioni. La provvidenza, che governa il mondo con sapienza così profonda che davanti ad essa ogni intelligenza creata è vinta prima di riuscire a penetrarla fino in fondo. affinché la Chiesa, la sposa di Cristo, che con alte grida si unì a lei nel suo sangue benedetto (versato sulla croce), procedesse verso il suo diletto, più sicura in se stessa e anche più fedele a Lui, decretò in suo aiuto (ordinò in suo favore) due capi, che le fossero di guida da una parte con la carità e dall’altra con la sapienza. Uno fu tutto ardente di carità come un Serafino; l’altro per la sua sapienza fu in terra una luce degna della scienza propria dei Cherubini. Parlerò di uno di costoro, perché lodando uno si celebrano entrambi, qualunque dei due si scelga, perché le loro opere mirarono allo stesso fine. Tra il fiume Topino e il fiume Chiascio, l’acqua che scende dal monte scelto dal beato Ubaldo come eremitaggio, digrada la fertile costa dell’alto massiccio del Subasio, dal quale Perugia riceve verso Porta Sole i venti freddi d’inverno e caldi d’estate; e sul versante opposto del Subasio piange sotto il pesante giogo Nocera con Gualdo Tadino. Sulla costa occidentale ( del Subasio ), là dove essa diventa meno ripida, nacque al mondo un sole, come talvolta questo sole ( in cui ora ci troviamo) nasce dal Gange. La luce spirituale di San Francesco ha lo stesso fulgore di quella del sole quando, nell'equinozio di primavera, esso sorge, rispetto al meridiano di Gerusalemme, nel suo punto più orientale (di Gange). Perciò chi parla di quel luogo, non dica Assisi, perché direbbe troppo poco, ma dica Oriente, se vuol parlare con proprietà (proprio). Questo sole non era ancora molto lontano dal momento della sua comparsa, quando cominciò a far si che la terra sentisse qualche beneficio della sua potenza vivificatrice, perché, ancora giovane, affrontò una lotta col padre per amore di una donna tale, la Povertà, alla quale, come alla morte, nessuno fa grata accoglienza; e davanti alla curia vescovile della sua città e alla presenza del padre si unì a lei come sposo; in seguito l’amò di giorno in giorno sempre più intensamente. Questa donna (la Povertà), rimasta vedova del suo primo sposo, Cristo, era stata per oltre mille e cento anni disprezzata e dimenticata, senza che alcuno la ricercasse, fino alla nascita di costui; né valse (a farla amare) l’udire che Cesare, colui che sgomentò tutto il mondo, la trovò tranquilla e serena, al suono della sua voce, accanto ad Amiclate; né le valse l’essersi dimostrata fedele ed eroica al punto da patire con Cristo sulla croce, laddove (anche) Maria rimase ai piedi di essa. Ma perché io non continui a parlare in modo troppo oscuro, nel mio lungo discorso intendi ormai per questi due amanti Francesco e la Povertà. La loro concordia e la letizia dei loro aspetti facevano si che l’amore e l’ ammirazione e la dolce contemplazione che ne derivavano fossero motivo di santi pensieri (in chi li vedeva); tanto che il beato Bernardo si scalzò per primo, e corse dietro a questa grande pace spirituale e, pur correndo, gli sembrò di andare troppo lento. O ricchezza ignorata! o bene fecondo di tanti frutti! La sposa piace tanto, che seguendo lo sposo si scalza Egidio, si scalza Silvestro. Poi quel padre e quel maestro se ne va (a Roma) con la sua sposa e con quel gruppo di discepoli che già cingevano (intorno ai fianchi) l’umile cordone. Né viltà d’animo gli fece abbassare gli occhi per il fatto di essere figlio del mercante Pietro Bernardone, o per il fatto di avere un aspetto tanto spregevole da suscitare stupore, ma con regale dignità manifestò al papa Innocenzo III il suo proposito di una vita austera, e da lui ebbe il primo riconoscimento del nuovo ordine. Dopo che i seguaci della povertà si moltiplicarono dietro le orme di costui, la cui vita mirabile si canterebbe meglio (che altrove) nella gloria del cielo, la santa volontà di questo pastore fu coronata con una seconda approvazione dallo Spirito Santo per mezzo di papa Onorio III. E dopo che, spinto dalla sete del martirio, ebbe predicato la dottrina di Cristo e degli apostoli alla presenza del sultano nel fasto della sua corte, . e avendo trovato il popolo musulmano troppo restio ad ogni tentativo di conversione, per non restare (in terra infedele) senza frutto, se ne tornò a far fruttificare il seme sparso in Italia, sulla cima rocciosa (della Verna) tra le valli del Tevere e dell’Arno ricevette da Cristo l’ultima approvazione con le sacre stimmate, che le sue membra portarono impresse per due anni. Quando a Dio che lo aveva destinato ad operare tanto bene, piacque di portarlo in cielo al premio che egli aveva meritato facendosi umile, ai suoi frati, come a legittimi eredi, raccomando la donna sua più cara (la Povertà), e comandò loro che l’amassero con vera fede; e dal grembo della Povertà la sua nobile anima volle partire, per tornare al cielo che era il suo regno, e per il suo corpo non volle altra bara. Pensa ora (se tale fu San Francesco) quale dovette essere colui che fu suo degno compagno nel mantenere la barca di Pietro (la Chiesa) sulla giusta rotta nel mare tempestoso; e questo fu (San Domenico) il fondatore del nostro ordine; per la qual cosa puoi comprendere come chi segue lui secondo le prescrizioni della sua regola, accumula validi meriti per la vita eterna. Ma il suo gregge è diventato ghiotto di altri cibi, cosicché non è possibile che non si disperda in pascoli fuori della giusta strada; e guanto più i suoi frati fanno come le pecore che se ne vanno erranti e lontane dal pastore, tanto più tornano all’ovile privi del latte (della dottrina e della virtù ) . Vi son bensì alcuni frati che temono il danno (dell’ inosservanza della regola) e si stringono intorno al pastore, ma sono tanto pochi, che basta poco panno per fornire loro le cappe. Ora se le mie parole non sono oscure e se tu mi hai ascoltato attentamente, se richiami alla memoria quello che è stato detto, sarà in parte appagato il tuo desiderio di chiarimenti, perché vedrai per quale causa la pianta dell’ordine domenicano si corrompe, e vedrai che cosa significa la correzione che ho fatto all’affermazione “U’ ben s’impingua, se non si vaneggia”.

Paradiso: XII Canto

Non appena la luce benedetta di San Tommaso ebbe pronunciata l’ultima parola, la santa corona incominciò a volgersi in cerchio; e non finì di compiere un intero giro che un’altra corona di beati la circondò, e accordò il suo moto e il suo canto al moto e al canto di quella; in quei dolci strumenti questo canto supera quello dei nostri poeti e delle nostre donne tanto quanto il raggio diretto supera quello riflesso. Come attraverso una nube leggiera e trasparente si volgono due archi ( quelli dell’arcobaleno quando è doppio) paralleli e fatti degli stessi colori, quando Giunone comanda alla sua ancella (di scendere sulla terra a portare i suoi messaggi), e l’arco esterno si forma ( per riflessione) da quello interno, allo stesso modo in cui (dalla voce) si genera l’eco, che prende nome da colei che l’amore consumò come il sole dissolve la nebbia, e tali archi nel mondo rendono gli uomini sicuri che la terra non sarà mai più allagata, per il patto stipulato da Dio con Noè, così si volgevano intorno a noi le due corone di beati, e così quella esterna si accordò a quella interna. Dopo che la danza e l’altra grande festa che le anime facevano con il cantare e con il rispondersi di ciascuna luce all’altra, piene di gioia e di carità si arrestarono nello stesso istante e con la stessa concorde volontà, proprio come le palpebre degli occhi devono necessariamente abbassarsi o sollevarsi insieme, secondo il desiderio che determina i loro movimenti, dal profondo di una di quelle luci giunte poco prima si levò una voce, che, facendomi volgere verso il luogo da cui proveniva, mi fece assomigliare all’ago (della bussola che si orienta) in direzione della stella polare; e incominciò: “ Lo spirito di carità che rende più luminosa la mia bellezza mi spinge a parlare dell’altra guida (San Domenico), per onorare la quale qui si è parlato così bene della mia (San Francesco). E’ giusto che, dove si parla dell’ uno, si ricordi anche l’altro, in modo che, come combatterono per una stessa causa, così risplenda insieme anche la loro gloria. La cristianità, che Cristo, a prezzo del suo sacrificio, fornì dei mezzi adatti per combattere il peccato, seguiva la croce con poco zelo, piena di dubbi e diminuita di numero, quando Dio, che regna per l’eternità, venne in suo soccorso, mentre essa si trovava in pericolo, non perché ne fosse degna, ma soltanto per un atto della sua misericordia; e come è stato detto (da San Tommaso; cfr. canto XI, versi 31-36), portò aiuto alla Chiesa, sua sposa, con due difensori ( San Francesco e San Domenico), per la cui opera e la cui predicazione il popolo sviato poté ravvedersi. In quella parte (la Spagna) dove il dolce Zefiro sorge ad aprire le nuove fronde delle quali si vede rivestita l’Europa (in primavera), non molto lontano dalla spiaggia battuta dalle onde (dell’Atlantico), dietro le quali il sole, come stanco del suo lungo percorso, talvolta ( nel solstizio d’estate) tramonta nascondendosi ad ogni uomo, sorge la fortunata (perché patria di San Domenico) Calaruega sotto il governo del re di Castiglia, nel cui stemma (in una parte) il leone sta sotto e (nell’altra) si trova sopra. Li nacque il fedele amante della fede cristiana, il santo campione benevolo verso i cristiani e implacabile verso i nemici della fede. E non appena la sua anima fu creata, venne a tal punto colmata di efficaci virtù, che, stando ancora nel grembo materno, diede alla madre spirito profetico. Dopo che furono celebrate le nozze fra lui e la fede davanti al sacro fonte battesimale, dove entrambi si portarono in dote, reciprocamente, la salvezza, la madrina che diede in suo nome il consenso (ad entrare nella fede cristiana), vide in sogno il mirabile frutto che doveva derivare da lui e dai suoi seguaci. E affinché anche nel nome egli fosse quale era di fatto, dal cielo discese una divina ispirazione (ai genitori) perché fosse chiamato con il possessivo di colui al quale egli tutto apparteneva. Fu chiamato Domenico; ed io lo presento come l’agricoltore che Cristo scelse per far fruttificare il suo orto, la Chiesa. A buon diritto apparve nunzio e servitore di Cristo, poiché il primo amore che si manifestò in lui, fu per la povertà, il primo precetto che diede Cristo. Spesso fu sorpreso dalla sua nutrice mentre, tacito e desto, stava coricato sulla terra, come se volesse dire: “ Io sono venuto per questo (per vivere in umiltà e povertà)”. O padre suo veramente Felice! o madre sua veramente Giovanna, se questo nome, inteso nel suo significato etimologico, ha il valore che si dice! Non per conseguire beni e onori terreni, per i quali ora ci si affanna negli studi di diritto canonico o di medicina (a Taddeo), ma per amore della vera sapienza divenne in breve tempo un dottissimo teologo, così che (con il suo sapere) cominciò a girare intorno, per difenderla e coltivarla, alla vigna ( la Chiesa ) che subito inaridisce, se il vignaiuolo (il pontefice) non adempie al suo ufficio. E al soglio papale, il quale un tempo fu molto più generoso (di quanto lo sia ora) verso i poveri onesti, non per colpa dell’istituzione pontificia come tale, ma per colpa del papa, che devia dal giusto cammino, non di distribuire ( ai poveri ) la metà o il terzo (del denaro ad essi destinato, trattenendo per se il rimanente), né di ottenere le rendite del primo beneficio che rimanesse vacante, né di godere le decime, che sono destinate ai bisogni dei poveri di Dio. chiese, bensì chiese il permesso di combattere contro gli errori del mondo cristiano in difesa di quella fede che è il seme dal quale sono germogliate le ventiquattro piante che ti circondano Poi sostenuto dalla dottrina e dalla forza di volontà e dall’autorità conferitagli dal mandato del pontefice si mosse con la forza di un torrente che sgorga da una sorgente profonda; e il suo impeto si abbatté sulle male piante dell’eresia, più vigorosamente là (in Provenza) dove le resistenze erano più forti. Da lui ( paragonato prima a un torrente) si formarono poi numerosi ruscelli le cui acque irrigarono fecondandolo l’orto della Chiesa, così che i fedeli sono (ora) più vigorosi nella fede. Se tale fu una delle due ruote sulle quali si resse il carro della Santa Chiesa che vinse combattendo apertamente la sua guerra civile (perché la lotta fra eretici e fedeli avviene in seno alla Chiesa stessa), ben ti dovrebbe essere sufficientemente chiara l’eccellenza dell’altra ruota (San Francesco), riguardo alla quale Tommaso fu cosi cortese (facendone l’elogio) prima che io venissi ( con la seconda corona di beati) . Ma il solco segnato dalla parte esterna della circonferenza di questa ruota, è abbandonato, così che dove c’era virtù e unione c’è (ora) corruzione e disunione. Il suo ordine, che aveva seguito le orme del proprio fondatore, si è tanto volto in direzione opposta, che cammina a ritroso. E ben presto dal raccolto si vedrà la cattiva coltivazione, quando il loglio con suo dolore si vedrà escluso dall’arca. Io dico che chi esaminasse ad uno ad uno i frati del nostro ordine, ne troverebbe ancora qualcuno fedele alle virtù francescane, nel quale potrebbe leggere “Io sono quel che un buon francescano soleva essere”; ma quello non verrà né da Casale né da Acquasparta, da dove provengono tali interpreti della regola francescana, che uno la fugge, e l’altro cerca di renderla più rigida. lo sono l’anima di Bonaventura da Bagnorea, che nei grandi incarichi ( da me ricoperti) posposi sempre la cura delle cose mondane (a quella delle cose spirituali). Si trovano in questa corona Illuminato (da Rieti) e Agostino (d’Assisi ), che furono fra i primi seguaci di San Francesco, i quali, cingendosi del capestro ( accettando, cioè, la regola francescana), si resero cari a Dio. Sono qui con loro Ugo da San Vittore, e Pietro Mangiadore e Pietro Ispano, la cui fama splende in terra grazie ai suoi dodici libri; (si trovano qui) il profeta Natan e il metropolita Crisostomo e Anselmo e quel Donato che si occupo della scienza grammaticale. È qui Rabano, e mi risplende di fianco l’abate calabrese Gioacchino, dotato di spirito profetico. Ad emulare (celebrando le lodi di San Domenico) un così valido paladino (San Tommaso, paladino di San Francesco) mi indusse l’ardente cortesia di frate Tommaso e le sue assennate parole; e mosse insieme con me gli altri spiriti: (a manifestare il loro consenso con la danza e il canto).

Paradiso: XIII Canto

Il lettore che desidera capire bene quello che a questo punto vidi, immagini (e, mentre io parlo, conservi l’immagine salda come una roccia) le quindici stelle che nelle diverse regioni del cielo lo illuminano di tanto splendore, da vincere ogni nebulosità dell’atmosfera; immagini quel carro ( l’Orsa Maggiore) al quale è sufficiente lo spazio del nostro emisfero celeste per il suo moto diurno e notturno, cosicché nella sua rotazione non scompare mai (alla nostra vista); immagini le due stelle poste alla estremità di quel corno (l’Orsa Minore) che comincia nel punto più alto dell’asse celeste, intorno al quale gira ( va dintorno ) il primo cielo mobile, (immagini dunque) che queste ventiquattro stelle abbiano formato in cielo due costellazioni, simili a quella in cui fu mutata la figlia di Minosse, quando mori; e (immagini) che le due costellazioni siano concentriche, e che entrambe ruotino in modo che l’una si muova in un senso e l’altra nel senso opposto; e (il lettore) avrà un’immagine imperfetta della costellazione (di spiriti) che io vidi veramente e della doppia danza che girava intorno al punto in cui mi trovavo, poiché ( lo spettacolo ) era tanto al di sopra della nostra comune esperienza, di quanto il Primo Mobile, che è il cielo più veloce di tutti gli altri, supera in velocità il lento corso del nume Chiana. Li non si celebrarono le lodi di Bacco, né di Apollo, ma si cantarono le lodi delle tre persone in una sola natura divina, e di questa e di quella umana nell’unica persona di Cristo. Il canto e la danza giunsero simultaneamente al loro termine; e quei santi spiriti volsero a noi la loro attenzione, rallegrandosi nel passare da una cura (la danza e il canto) ad un’altra (il chiarimento del dubbio di Dante). Ruppe poi il silenzio tra i beati concordi (nel loro canto e nella loro danza) quella luce (San Tommaso) che mi aveva narrata la vita mirabile del poverello di Dio (San Francerco), e disse: “ Poiché il tuo primo dubbio è stato discusso, e poiché il seme (di verità che ne è scaturito) è già stato riposto (nella tua mente), lo spirito di carità mi invita a sciogliere l’altro dubbio. Tu credi che nel petto di Adamo, dal quale fu tratta la costola per formare il bel volto di Eva, il cui peccato di gola (nel provare il frutto proibito) fu causa di tanto male a tutto il mondo, e che nel petto di Cristo, il quale, trafitto dalla lancia, - offrì (a Dio) soddisfazione e per i peccati futuri e per quelli passati, tanto che sulla bilancia della giustizia divina esso vince (con i suoi meriti ) il peso di ogni colpa, sia stata infusa dall’onnipotenza divina che aveva creato l’uno e l’altro, tutta quanta la sapienza che è lecito alla natura umana possedere; e perciò ti meravigli riguardo a quello che ti ho detto più sopra, quando affermai che l’anima beata di Salomone racchiusa nella quinta luce ( della prima corona) non ebbe chi l’uguagliasse (in sapienza). Ora rifletti bene a quello che ti rispondo, e vedrai che la tua convinzione (riguardo alla sapienza di Adamo e di Cristo) e la mia affermazione coincidono nella verità come il centro è nel mezzo del cerchio. Le creature incorruttibili e quelle corruttibili non sono che una luce riflessa di quell’idea (il Verbo) che Dio, nostro re, genera con un atto d’amore: perché la viva luce del Verbo che emana da Dio in modo tale, che non si separa né da Lui né dallo Spirito Santo, per sua bontà dirige e concentra i suoi raggi, come riflettendosi in tanti specchi, nelle nove essenze dei cori angelici, pur conservando in eterno la sua unità. Dai nove cori angelici questa luce scende giù di cielo in cielo fino agli elementi del mondo terrestre, e si attenua a tal punto, che non produce più che creature contingenti e corruttibili; e per queste realtà contingenti intendo le cose generate, che i cieli producono con il loro moto sia per mezzo di semi sia senza di essi. La materia di queste creature inferiori e i cieli che la plasmano con i loro influssi non sono sempre nel medesimo rapporto; e perciò questa materia poi resta più o meno illuminata dalla luce dell’idea divina. Non sta d'un modo: infatti può variare la disposizione in cui si trova la materia rispetto all'azione dei cieli e può cambiare l'influsso dei cieli sulla terra con il variare delle loro posizioni e delle loro congiunzioni. Perciò avviene che due alberi della medesima specie producano frutti migliori o peggiori e che gli uomini (pur appartenendo alla stessa specie) nascano con indoli e attitudini differenti Se la materia ( nel momento in cui subisce l’azione dei cieli) fosse nelle condizioni migliori per essere plasmata e se il cielo si trovasse al massimo della sua potenza formatrice, la luce dell’impronta divina apparirebbe (nelle creature) in tutto il SUO splendore; ma la natura ( cioè la causa seconda, che genera gli esseri inferiori) presenta sempre questa luce in modo imperfetto, perché essa opera come l’artista, che conosce la sua arte ma è incapace di realizzare perfettamente ciò che ha in mente. Tuttavia se lo Spirito Santo dispone e imprime (sulla creatura) la luce del Verbo che procede dal Padre, allora in questa creatura si ottiene tutta la perfezione possibile. Così la terra (allorché Dio se ne servi per formare il corpo di Adamo) fu un tempo resa degna di accogliere tutta la perfezione possibile in un essere animato; così (per opera dello Spirito Santo) fu generato Cristo nel grembo della Vergine: perciò io approvo la tua opinione, che la natura umana non fu né sarà mai cosi perfetta come fu in quelle due persone ( Adamo e Cristo ) . Ora se io non aggiungessi altro, tu mi faresti subito questa domanda: “Dunque, come mai costui (Salomone) non ebbe chi l’uguagliò (in sapienza) ?’’ Ma affinché appaia chiaro ciò che ancora non lo è, pensa quale era la condizione di Salomone, e quale motivo lo spinse a domandare ( la sapienza ), quando gli fu detto (da Dio) “Chiedi ( ciò che vuoi ) “. Non ho parlato in modo cosi oscuro, che tu non possa capire che egli fu il re che chiese (a Dio) la saggezza per poter essere un sovrano capace di adempiere il suo ufficio, non per sapere quante sono le intelligenze motrici dei cieli, o per conoscere se una premessa necessaria e una contingente portano ad una conclusione necessaria; né per sapere se è possibile (est) ammettere che esista (nell’universo) un moto primo dal quale dipendono tutti gli altri, o per conoscere se in un semicerchio si possa iscrivere un triangolo che non sia rettangolo. Perciò, se esamini quello che ho detto prima (cfr. canto X, verso 114) e ciò che ho aggiunto ora, ( puoi capire che) quella sapienza che non ebbe uguali, alla quale intendevo alludere, è la sapienza che si addice a un re: e se mediti con mente non offuscata da preconcetti sul valore della parola “sorse”, vedrai che essa si riferiva solo ai re, che sono molti, pur essendo rari quelli che sanno ben esercitare il loro ufficio. Interpreta le mie parole con questa distinzione (fra uomini e re: Salomone fu il più sapiente come re non come uomo); e così esse potranno accordarsi con quello che tu credi intorno alla sapienza di Adamo e di Cristo. E questo (il dubbio che è sorto in te per aver tratto frettolose conclusioni dalle mie parole) ti insegni a procedere sempre con i piedi di piombo, per andare cauto e lento come uomo affaticato e nel negare ciò che non puoi distinguere chiaramente: perché bene in basso nella scala della stoltezza è colui che afferma e nega senza fare le necessarie distinzioni sia nel caso che si debba dire di si sia nel caso che si debba dire di no, poiché accade che spesso un giudizio affrettato inclini all’errore, e che poi l’attaccamento (alla nostra opinione) non lasci più libero l’intelletto (di ricredersi). Colui che cerca nel mare della verità e non conosce l’arte di farlo, si allontana dalla riva più che inutilmente, perché non ritorna nella condizione in cui era partito ( cioè: era partito in uno stato di ignoranza, ritorna carico di errori, perché crede cose false). E offrono al mondo chiara testimanianza di questo fatto Parmenide, Melisso, e Bryson e molti altri, i quali procedevano nella loro ricerca senza rendersi conto delle conseguenze: così fecero Sabellio e Ario e tutti quegli eretici che falsano il significato delle Scritture come colpi di spada sfigurano un bel volto. Gli uomini non si mostrino, inoltre troppo sicuri nel dare giudizi. come colui che calcola il valore della messe quando è ancora sul campo, prima che sia giunta a maturazione: perché io ho visto durante tutto l’inverno il pruno apparire secco e spinoso, e poi (in primavera) l’ho visto far sbocciare la rosa sulla sua cima; e vidi già una nave percorrere sicura e veloce il mare per tutto il viaggio che doveva compiere, e naufragare infine proprio all’ingresso del porto. Non credano donna Berta e ser Martino (due nomi usati genericamente), per il fatto di vedere uno rubare, un altro fare elemosine, di poterli considerare come già giudicati da Dio, perché quello può riscattarsi dal peccato, e l’altro può perdersi ”.

Paradiso: XIV Canto

In un recipiente rotondo la superficie dell’acqua si increspa (in cerchi concentrici che vanno) dall’orlo verso il centro, e dal centro verso l’orlo, a seconda che l’acqua sia percossa da un colpo dato sulla parete esterna del recipiente o all’interno. Questo fenomeno dell’acqua di cui parlo, mi venne improvvisamente in mente, non appena tacque l’anima santa di Tommaso, per la somiglianza che nacque fra le sue parole ( che dalla parte esterna della corona dei beati si muovevano verso il centro dove si trovavano Dante e Beatrice ) e quelle di Beatrice ( che dal centro si volgevano verso la circonferenza della corona), alla quale piacque cominciare, dopo di lui, in questo modo: “ A costui (Dante) è necessario andare a fondo di un’altra verità, ma non osa dirvelo né con le parole né ancora col pensiero. Ditegli se la luce di cui si adorna la vostra anima rimarrà con voi eternamente cosi com’è ora: e se rimarrà inalterata, spiegategli come, dopo che ( avendo ripreso il corpo ) sarete ridiventati visibili, potrà accadere che (questa luce) non riesca molesta ai vostri occhi. ” Come talvolta coloro che danzano in circolo, sospinti e trascinati da una crescente allegria, alzano (cantando) la voce e si muovono con più vivacità, cosi, alla pronta e riverente preghiera (di Beatrice), le due corone di spiriti beati mostrarono la loro accresciuta letizia col girare intorno più velocemente e con la meravigliosa armonia del loro canto. Chi si lamenta che qui in terra l’uomo debba morire per passare alla vita del cielo, non ha certo visto lassù il ristoro che reca la pioggia della grazia La Trinità che sempre vive e sempre regna unita in ciascuna delle tre persone, non limitata da nulla, e che tutto abbraccia e contiene, tre volte era glorificata dal canto di ciascuno di quegli spiriti con così soave melodia, che (I’udirla) sarebbe giusta ricompensa anche al merito più grande. Ed io udii nella luce più fulgida della prima corona (attorno ad esso si era formato il secondo, più ampio) una voce soave, simile forse a quella con cui l’arcangelo Gabriele si rivolse a Maria (nell’Annunciazione), rispondere: “Finché durerà il gaudio della celeste beatitudine, il nostro amore irradierà intorno questa veste (luminosa che ci fascia). Lo splendore (di questa veste) è proporzionato all’ardore di carità ( di cui siamo infiammati); il nostro ardore è proporzionato alla visione (più o meno profonda, che abbiamo di Dio), e la visione è proporzionata alla grazia divina aggiunta al merito di ciascuno. Quando (nel giorno del Giudizio Universale ) rivestiremo il nostro corpo reso glorioso e santo (dall’anima beata), il nostro essere sarà più caro ( a Dio ) perché sarà diventato più completo; Ritorna ancora una volta il principio aristotelico-tomista da Dante già enunciato nel canto VI dell'Inferno ( versi 106-108): la perfezione dell'essere umano è nell'unione di anima e di corpo, la quale si ricostituirà per l'eternità nel giorno del Giudizio Universale. per questa perfezione si accrescerà il dono della Grazia illuminante che Dio, sommo Bene, ci offre, e che ci mette in condizione di poterLo vedere; per tale motivo deve crescere la visione di Dio, deve crescere l’ ardore di carità che essa accende, deve crescere la luce che da questo ardore deriva. Ma come il carbone che produce la fiamma, e la supera (in splendore) per la sua viva incandescenza, così che la sua forma non si lascia nascondere ( dalla luce della fiamma), così questo fulgore che fin d’ora ci circonda sarà vinto in efficacia visiva dal fulgore del nostro corpo che per ora è ricoperto dalla terra; tuttavia tanta luce non potrà abbagliarci, perché i nostri sensi avranno potenza sufficiente a percepire e sostenere tutto ciò che potrà essere motivo di beatitudine. Gli spiriti delle due corone mi apparvero tanto pronti e veloci a dire “ Cosi sia ! ”, che mostrarono chiaramente il desiderio di ricongiungersi ai loro corpi; forse non tanto per se stessi, ma per la madre, il padre e per tutti coloro che ebbero cari (in terra) : prima di diventare eterni fulgori (in cielo). Ed ecco apparire intorno (alle due corone) una luce, di splendore pari (a quella dei due cerchi di beati), superiore alla luminosità del sole, simile al chiarore che si diffonde all’orizzonte quando il sole sorge. E come sul far della sera cominciano ad apparire nel cielo le prime stelle, così (tenui) che l’aspetto di esse appare e non appare reale, così mi sembrò di vedere lì nuove anime, e mi sembrò che esse si disponessero in cerchio intorno alle : altre due corone. Oh verace splendore dello Spirito Santo! come esso divenne improvvisamente incandescente alla mia vista che, sopraffatta, non poté sopportarlo! Ma Beatrice mi apparve così bella e splendente, che (la sua immagine) si deve lasciare tra quelle visioni paradisiache che la memoria non è stata capace di fissare dentro di se. Da Beatrice i miei occhi ripresero forza per risollevarsi, e mi vidi trasferito solo con la mia donna in un più alto grado di beatitudine. Mi accorsi chiaramente che ero salito in un cielo superiore, per lo sfavillio incandescente della stella, che mi appariva più rosseggiante del solito. Con tutto il mio cuore e con il linguaggio dell’anima che è unico per tutti gli uomini, feci a Dio l’offerta di tutto me stesso, come era giusto fare in risposta alla nuova grazia ricevuta (quella di essere stato assunto in un cielo più alto). E non si era ancora esaurito nel mio petto l’ardore di quella offerta, che mi accorsi che quel mio sacrificio (litare: è termine latino, che significa “ celebrare un sacrificiò ” ) era stato gradito (a Dio) ed efficace, perché disposte su due liste luminose mi apparvero anime splendenti, così luminose e così affocate, che dissi: “ O Dio che rivesti queste anime di tanta luce! ” Come la Galassia si distende con la sua striscia luminosa costellata da stelle di minore o maggiore grandezza dall’uno all’altro polo del cielo, in modo che fa restare incerti anche i più sapienti, così disposte a modo di costellazione con stelle di diversa grandezza dentro il cielo di Marte quelle due liste luminose formavano il venerando segno (della croce), che è costituito dati intersecarsi delle linee che congiungono le quattro parti in cui è diviso il cerchio. A questo punto la mia memoria supera le possibilità del mio ingegno (incapace di esprimere a parole una simile visione), perché in quella croce sfolgorava la figura di Cristo, in modo che io non so trovare un’immagine adeguata per rappresentarla; ma chi (nel mondo) prende la sua croce e segue Cristo, quando un giorno Lo vedrà sfolgorare in questa luce biancheggiante, mi scuserà allora di quanto io tralascio. Da un braccio all’altro della lista orizzontale e tra una estremità e l’altra della linea verticale si muovevano gli spiriti luminosi, risplendendo più intensamente nell’atto di incontrarsi e di oltrepassarsi: allo stesso modo sulla terra si vedono i corpuscoli del pulviscolo atmosferico in direzione diritta o obliqua, con moto rapido o lento, mutando aspetto, in forma allungata o corta, muoversi nel raggio di luce da cui è tagliata talvolta l’oscurità (di una stanza), oscurità che l’uomo si procura per difendersi dalla luce del sole con espedienti escogitati dall’ingegno e realizzati praticamente. E come la giga (strumento musicale simile al violino) e l’arpa, con l’ armonico temperarsi di molte corde diverse, creano un suono dolce anche all’orecchio di chi non intende l’insieme della melodia, così da quelle luci che lì mi apparvero si diffondeva lungo la croce una melodia che mi estasiava con la sua dolcezza, senza che io riuscissi a capire le parole del canto. (Pur senza intendere il suo significato) mi accorsi facilmente che esso era un canto di solenne glorificazione, perché mi giungevano le parole “ Resurgi ” e “ Vinci ”, come a colui che ode qualche parola ma non intende tutto il senso di un discorso. Dalla dolcezza di questo canto io traevo un così profondo amore (verso queste cose), che fino a quel momento non vi fu niente che mi avesse avvinto con così soavi legami. Forse la mia parola può sembrare troppo ardita, poiché pospongo ( al piacere provato in questo momento) la gioia che ricevo dai begli occhi (di Beatrice ), contemplando i quali si appaga ogni mio desiderio: ma chi considera che gli occhi di Beatrice, viva rappresentazione di ogni bellezza, operano più efficacemente quanto più si sale attraverso i cieli, e che io nella sfera di Marte non mi ero ancora rivolto verso di essi, mi può scusare di quello di cui io mi accuso (cioè di aver osato troppo con le mie parole) per giustificarmi (di aver posposto al piacere del canto il piacer delli occhi belli), e può costatare che dico la verità, poiché la divina bellezza (di Beatrice) non è stata qui dimenticata dalle mie parole, dal momento che anch’ essa, man mano che si ascende, diventa sempre più perfetta.

Paradiso: XV Canto

La volontà di fare il bene nella quale si risolve sempre l’amore che deriva direttamente da Dio, come la cupidigia si risolve nella volontà di fare il male, fece cessare quel dolce coro e fece fermare il moto dei beati, i quali sono come le corde di una lira che la mano di Dio allenta o tende. Come potranno essere sorde alle preghiere dei giusti quelle anime beate che, per invogliarmi a interrogarle, furono concordi a cessare il loro canto? E’ giusto che soffra eternamente colui che, per amore delle cose terrene che sono caduche, si priva per sempre dell’amore di Dio. Come attraverso gli spazi sereni del cielo tranquillo e limpido di tanto in tanto sfreccia improvvisa una stella cadente attirando lo sguardo di chi se ne stava ozioso, e sembra una stella che muti posto in cielo, se non che dalla parte dove si è accesa non scompare nessun astro, e quella presto si spegne, così dal braccio della croce che si protendeva verso destra fino ai piedi di essa corse una delle luci della costellazione (di spiriti) che risplende nell’interno della croce: né quella gemma si distaccò dal nastro luminoso (della croce), ma corse via lungo la lista formata dai due raggi, sì che sembrò una fiamma che risplende dietro ad un alabastro (trasparente): Con la stessa manifestazione d’affetto corse incontro (ad Enea, per abbracciarlo) l’ombra di Anchise, quando nell’oltretomba riconobbe il figlio, se merita fede il racconto di Virgilio, il nostro maggior poeta. “ O sangue mio, o grazia di Dio (in te) infusa in maniera singolare, a chi mai fu dischiusa due volte la porta del cielo come a te ? ”. Cosi parlò quello spirito: perciò io mi rivolsi con attenzione verso di lui; poi guardai la mia donna, e restai stupito da una parte e dall’altra, perché nei suoi occhi risplendeva un un sorriso tale, che io credetti di toccare con i miei il limite estremo della grazia concessami da Dio e della mia beatitudine. Poi quello spirito, che ispirava gioia a udirlo e vederlo, aggiunse alle sue prime parole cose che io non compresi, tanto era profondo il loro significato; né si sottrasse alla mia comprensione di proposito, ma per necessità, perché il suo pensiero andò oltre il limite a cui arriva l’intelligenza di un mortale. E allorché la tensione dell’ardente carità fu sfogata, tanto che il suo linguaggio si rese comprensibile alla nostra mente, la prima cosa intesa da me fu: “ Sii benedetto, o Dio trino e uno, che sei tanto munifico verso la mia discendenza del mio seme)! ” E continuò: “ Un caro e antico desiderio, sorto in me dall’aver letto (la tua futura venuta) nel grande libro della mente di Dio dove non si aggiunge e non si toglie mai nulla a ciò che è scritto, hai saziato, o figlio, in me che ti parlo avvolto in questa luce, grazie a Beatrice, colei che ti diede le ali per il grande volo. Tu sei convinto che il tuo pensiero discenda in me direttamente da Dio, che è l’Ente primo, così come dall’unità, quando è conosciuta, derivano il cinque e il sei (e gli altri numeri ): e perciò non mi domandi chi sono e perché mi mostro a te più festoso di qualunque altro spirito di questa moltitudine beata. Quello che credi è vero, perché in questa vita tutti gli spiriti, siano essi dotati di un grado minore o maggiore di beatitudine, vedono in Dio come in uno specchio nel quale manifesti il tuo pensiero, prima ancora che tu lo abbia concepito: ma affinché l’amore divino nella contemplazione del quale io veglio godendone perpetuamente la visione e che fa nascere in me la sete del dolce desiderio (di appagarti), s’adempia meglio, la tua voce esprima senza timore, franca e lieta la tua volontà, esprima il tuo desideri, per il quale è già pronta la mia risposta!” Io mi rivolsi a Beatrice, ed ella comprese prima che parlassi, e sorridendo mi fece un cenno che accrebbe il mio desiderio. Poi incominciai così: “ Non appena aveste la visione di Dio, che è perfetta uguaglianza (perché tutti i suoi infiniti attributi sono mente uguali e commisurati fra di loro), in ciascuno di voi sentimento e intelligenza si corrisposero perfettamente , poiché Dio, il sole che vi illumina con la luce (della sua sapienza) e vi infiamma con il fuoco (del suo amore), è così uguale (nei suoi attributi), che ogni somiglianza risulta inadeguata ad esprimerLo. Invece nei mortali la volontà e lo strumento per esprimerla adeguatamente, per il motivo che voi conoscete ( la limitatezza e l’imperfezione umana), sono provveduti di ali di diversa potenza (cioè: la parola non sempre può realizzare ciò che la volontà desidera); per cui io, che sono ancora mortale, sento di essere in questa disuguaglianza (tra volontà e parola), e perciò non ringrazio che col cuore per l’accoglienza festosa e paterna. Io ti supplico però, o spirito splendente come vivo topazio che adorni questo prezioso gioiello della croce, di appagare il mio desiderio di conoscere il tuo nome ”. Allorché mi rispose, questo fu l’inizio del suo discorso: “ O figlio mio, nel quale mi compiacqui anche solo aspettandoti, io fui tuo capostipite”. Poi mi disse: “Alighiero, colui dal quale prende nome il tuo casato e che gira da più di cento anni nella prima cornice del monte del purgatorio, fu mio figlio e fu tuo bisavolo: è proprio opportuno che tu gli abbrevi la lunga pena con i tuoi suffragi. Firenze chiusa dentro la cerchia delle antiche mura, donde la città sente ancora il suono delle ore di terza e di nona, se ne stava in pace, sobria e onesta. Le donne non usavano braccialetti, nè corone preziose, né gonne ricamate, né cinture tanto ricche da essere più vistose della persona che le portava). La figlia, nascendo, non faceva ancora paura al padre, perché l’età e la dote non uscivano da una parte e dall’ altra dalla giusta misura. Non vi erano case vuote di prole; non era ancora giunto Sardanapalo a insegnare quali vizi e lussi si possono avere nel segreto della camera. Monte Mario non era ancora vinto dal vostro Uccellatoio, il quale Monte Mario, come fu superato in magnificenza, così sarà superato nella decadenza. lo vidi Bellincione Berti portare una cintura di cuoio con fibbie d’osso, e vidi sua moglie tornare dallo specchio senza il viso dipinto; e quelli della famiglia dei Vecchietti accontentarsi di indossare una semplice pelle non ricoperta di panno, e le loro donne intente agli umili lavori del fuso e della rocca. Oh donne fortunate! ciascuna sapeva con certezza il luogo dove sarebbe stata sepolta, e ancora nessuna era lasciata sola nel letto nuziale dal marito andato in Francia (per mercanteggiare ) . Una vegliava amorosamente il bimbo in culla e, per consolarlo (quando piangeva), si serviva di quel linguaggio infantile che per primi i genitori stessi si divertono ad usare; un’altra, filando, raccontava, stando seduta in mezzo alla sua servitù, le antiche storie dei Troiani, di Fiesole e di Roma. In quel tempo una donna dissoluta come Cianghella della Tosa, un barattiere come Lapo Saltarello sarebbero stati considerati una cosa straordinaria come, ora, un uomo probo come Cincinnato o una donna virtuosa come Cornelia. A una vita cittadina cosiì tranquilla e bella, tra una cittadinanza cosi affiatata, in una così dolce dimora, mi fece nascere la Vergine Maria, che era stata invocata con alte grida da mia madre durante il parto (cfr. Purgatorio XX, 19-21); e nel vostro antico Battistero divenni cristiano e insieme ricevetti il nome di Cacciaguida. Miei fratelli furono Moronto ed Eliseo: la mia sposa fu originaria della valle del Po; e da lei ebbe origine il tuo cognome. Poi seguii l’imperatore Corrado; ed egli mi fece suo cavaliere, tanto ero entrato nelle sue grazie per il mio valore. Lo seguii andando a combattere contro l’iniquità di quella religione il cui popolo, per colpa dei papi (che si disinteressano di questo problema ), usurpa i diritti della cristianità (sulla Terrasanta). Qui ad opera di quella gente turpe fui sciolto dai legami del mondo fallace, l’amore del quale abbrutisce molte anime; e dal martirio ( della morte per la fede) venni alla pace del paradiso ”.

Paradiso: XVI Canto

O nostra nobiltà di sangue, che sei cosa di si poco conto, se induci gli uomini a gloriarsi di te quaggiù sulla terra, dove il nostro amore (verso Dio) ha scarsa forza (poiché si lascia attrarre dai beni mondani), per me ormai non sarai più causa di meraviglia, perché lassù , voglio dire in cielo, dove il nostro desiderio non può mai essere deviato dalla retta via, io pure mi gloriai di te. Certo tu sei come un mantello che presto diventa corto, così che, se non si aggiunge ogni giorno qualcosa ad esso (cioè alla virtù degli antenati), il tempo accorcia questo mantello girandovi intorno con le forbici . Io ripresi il mio discorso (con Cacciaguida) usando il “voi” che Roma per prima permise, uso nel quale (ora) la sua popolazione persevera meno delle altre; perciò Beatrice, che stava un poco discosta da me, sorridendo, parve fare come la dama di Malehaut, quella che tossì in occasione del primo colloquio d’amore di Giinevra raccontato nei romanzi francesi. Io cominciai: “Voi siete il padre mio; voi mi date un confidente ardire nel parlarvi; voi mi elevate così in alto, che io mi sento più di quello che sono in realtà. (Ascoltandovi) il mio animo si riempie di gioia per così tante vie, che si rallegra con se stesso perché può sostenerla senza esserne sopraffatto. Ditemi, dunque, amato capostipite della mia famiglia, chi furono i vostri antenati, e in quali anni si svolse la vostra fanciullezza (letteralmente: quali furono gli anni che si segnarono nei calendari durante la vostra fanciullezza: ditemi quanti erano allora gli abitanti di Firenze ( ovil di San Giovanni, in quanto San Giovanni Battista è il patrono della città), e quali in essa le famiglie degne di salire alle più alte dignità”. Come per lo spirare del vento si ravviva un carbone acceso, così vidi la luce di Cacciaguida risplendere più intensamente alle mie parole affettuose ; e come essa si fece più bella ai miei occhi, così con voce più dolce e soave ( di prima ), ma non nella lingua che usiamo ora, mi disse: “ Dal giorno in cui l’arcangelo disse “Ave” alla Vergine Maria fino al momento del parto con il quale mia madre, che ora è beata in cielo, si sgravò di me di cui era incinta, il rosso pianeta Marte venne 580 volte ad attingere nuovo calore sotto il piede del Leone, la costellazione che ha la sua stessa natura. I miei avi ed io nascemmo in quel puntodi Firenze dove per chi corre il vostro palio annuale incomincia l’ultimo sestiere. Dei miei antenati ti basti sapere questo: chi essi fossero e da dove siano venuti qui a Firenze, è più opportuno tacere che dire. Tutti coloro che in quel tempo erano atti alle armi a Firenze nella zona compresa tra la statua di Marte (sul Ponte Vecchio) e il Battistero, erano la quinta parte di quelli che ora sono nella città. Ma la popolazione, che ora è mescolata con famiglie del contado venute da Campi, da Certaldo e da Figline, appariva di puro sangue fiorentino fino al più umile artigiano. Oh quanto sarebbe meglio che quelle genti di cui ho parlato fossero solo vostre confinanti, e che voi aveste il confine della vostra città a Galluzzo e a Trespiano, anziché averle dentro le mura e sostenere il tanfo contadinesco di Baldo d’Aguglione, di Fazio da Signa, che certo ha l’occhio pronto a cogliere ogni occasione di baratteria! Se la gente di Chiesa, che oggi nel mondo è quella che più devia dal retto cammino, non fosse stata avversa all’imperatore (a Cesare) come una matrigna, ma si fosse comportata (nei suoi confronti) come una madre piena d’amore verso il figlio, taluni che sono diventati fiorentini ed esercitano l’arte del cambio e della mercatura, avrebbero invece continuato a vivere nel contado di Semifonte, là dove i loro antenati facevano la ronda di notte (attorno alle mura): il castello di Montemurlo sarebbe ancora dei conti Guidi; i Cerchi sarebbero ancora nella pieve di Acone, e forse i Buondelmonti ancora in Val di Greve. La mescolanza di stirpi diverse fu sempre causa di rovina per lo stato, come (è causa di malattia) per il vostro corpo il cibo che si sovrappone (nello stomaco ad un altro non ancora digerito); e un toro cieco cade più presto di un agnello cieco; e spesso una spada sola ferisce più e meglio che non cinque spade. Se tu consideri come sono andate in rovina Luni e Urbisaglia, e come si stanno spegnendo sulle loro orme Chiusi e Sinigaglia, non ti sembrerà cosa strana né difficile a capirsi che si spengono (anche) le famiglie, dal momento che la vita delle città è soggetta alla rovina. Le cose terrene, così come ( avviene per) voi uomini, sono tutte soggette alla morte, ma essa sembra non manifestarsi in alcune cose che durano a lungo ( come le città o le schiatte); d’altra parte la vita umana è cosi breve (che non permette di vedere la loro fine ) . E come il girare del cielo della Luna (generando i flussi e i riflussi della marea) copre e lascia scoperte alternativamente le spiagge del mare, così la Fortuna ora innalza, ora abbassa le sorti di Firenze: per questo motivo non deve stupire ciò che io dirò dei Fiorentini di antica nobiltà, la fama dei quali è coperta dall’oblio del tempo. Io vidi gli Ughi, e vidi i Catellini, i Filippi, i Greci, gli Ormanni e gli Alberichi, già in decadenza e in via di estinzione, sebbene ancora illustri cittadini; e vidi famiglie la cui potenza era pari all’antichità, con gli appartenenti alla famiglia dei della Sannella, dei dell’Arce, e i Soldanieri e gli Ardinghi e i Bostichi. Presso porta San Piero, che ora è piena di felloneria portata da gente appena arrivata, felloneria così grave che presto causerà la rovina della città che l’accoglie, abitavano i Ravignani, dai quali sono discesi il conte Guido e tutti coloro che hanno poi preso il nome dal nobile Bellincione. Gli appartenenti alla famiglia della Pressa avevano già esperienza di governo, e i Galigai erano già stati insigniti della dignità di cavalieri. Erano già grandi la famiglia dei Pigli, quella dei Sacchetti. dei Giuochi. dei Fifanti e dei Barucci e dei Galli e dei Chiaramontesi, coloro che arrossiscono di vergogna per la frode dello staio di sale. La schiatta da cui discese la famiglia dei Calfucci era già grande, e già erano stati chiamati alle più alte cariche pubbliche i Sizii e gli Arrigucci. Oh quanto potenti io vidi gli Uberti, che (ora) sono caduti in rovina per la loro superbia! e l’insegna dei Lamberti dava lustro a Firenze in tutte le sue grandi imprese. Allo stesso modo (dei Lamberti) onoravano Firenze gli antenati dei Visdomini e dei Tosinghi, i quali, quando la vostra sede vescovile è vacante, ne approfittano per arricchirsi allorché si riuniscono insieme per amministrarla. La prepotente schiatta (degli Adimari) che infierisce (s’indraca: si fa feroce come drago) su chi fugge, e diventa umile come un agnello davanti a chi le mostra i denti o le offre la borsa, già iniziava l’ascesa, ma modesta era la sua origine tanto che a Ubertino Donati non piacque che il suocero ( Bellincione Berti ) lo facesse poi diventare loro parente. I Caponsacchi erano già scesi da Fiesole ed abitavano nei pressi del Mercato Vecchio, ed eran già diventati cittadini ragguardevoli i Giudi e gli Infangati. Dirò una cosa incredibile eppure vera nella cerchia antica si entrava per una porta che prendeva nome dalla famiglia dei della Pera. Tutte le famiglie che portano (nel loro stemma ) la bella insegna di Ugo il Grande, la cui fama e le cui opere sono commemorate nel giorno festivo di San Tommaso, ricevettero da lui la dignità cavalleresca e il privilegio (di portare il suo stemma), sebbene oggi uno che adorna quell’insegna col fregio (di una fascia d’oro) si sia schierato dalla parte del popolo. Fiorivano già le famiglie dei Gualterotti e degli Importuni; e il quartiere di Borgo Santi Apostoli sarebbe ancor oggi più tranquillo, se esse non avessero avuto i nuovi vicini. La casa (degli Amidei) da cui nacque il pianto di Firenze, a causa del loro legittimo sdegno che (però) vi ha portati alla rovina, e ha posto fine alla vostra vita serena e pacifica, era tenuta in onore, essa e la sua consorteria (i Gherardini e gli Uccellini): o Buondelmonte, quanto facesti male a venir meno alla promessa di nozze con una donna di quella famiglia per istigazione altrui! Molti, che ora sono tristi (per i lutti causati dalla divisione della città), sarebbero invece lieti, se Dio ti avesse fatto annegare nel fiume Ema la prima volta che venisti a Firenze. Ma era necessario che Firenze, giunta alla fine del suo periodo di pace interna, immolasse una vittima alla statua mutila di Marte che è in capo al Ponte Vecchio. Con queste famiglie e con altre insieme a loro, vidi Firenze in una pace cosiì profonda, che non c’era nulla da cui ricevesse motivo di sofferenza: con queste famiglie io vidi il suo popolo così glorioso e concorde, che l’insegna del giglio non era mai stata capovolta in cima all’asta, né il giglio bianco era mai stato sostituito con quello rosso per le lotte di partito”.

Paradiso: XVII Canto

Come Fetonte, l’esempio del quale rende ancor oggi i padri restii a indulgere alle richieste dei figli, andò dalla madre Climene, desideroso di accertarsi se era vero ciò che aveva udito contro di se; così ero io ansioso di sapere, e questo stato d’animo era avvertito e da Beatrice e dall’anima santa di Cacciaguida, che prima per parlare con me aveva cambiato posto (scendendo ai piedi della croce luminosa ). Perciò la mia donna mi disse: “ Esprimi il tuo ardente desiderio, in modo che l’intensità interiore appaia bene evidente esternamente, non già perché la nostra conoscenza aumenti per le tue parole, ma perché ti abitui ad esprimere la sete del tuo desiderio, Così che gli altri ti possano appagare ”. “O cara radice della mia famiglia, che t’innalzi così in alto, che, come la mente dei mortali vede che due angoli ottusi non possono essere contenuti in un triangolo, con la stessa chiarezza discerni le cose che possono essere o non essere prima che esistano in atto contemplando la divina essenza, il punto in cui tutti i tempi sono presenti, mentre seguivo Virgilio su per il monte del purgatorio che purifica le anime e mentre discendevo nel mondo dei dannati, mi furono dette parole preoccupanti riguardo alla mia vita futura, sebbene io mi senta incrollabile ( tetragono: il termine indica ogni figura geometrica dotata di quattro angoli e, in particolare, il cubo), di fronte ai colpi della fortuna (di ventura). Perciò l’animo mio è ansioso di conoscere quale sorte mi viene incontro, perché il colpo previsto sembra avanzare più lentamente”. Cosi io dissi a quella luce che prima mi aveva parlato; e manifestai il mio desiderio come aveva voluto Beatrice. Non con oracoli oscuri, nei quali un tempo si invischia, vano le genti pagane prima che fosse ucciso Gesù, l’ Agnello di Dio che riscatto i peccati del mondo, ma con parole chiare e con preciso linguaggio mi rispose quel padre amoroso, avvolto nella sua luce e visibile a causa della sua letizia: “Ciò che può essere o non essere, che non oltrepassa la sfera del vostro mondo materiale ( perché nel mondo divino esiste solo l’eterno e il necessario), è tutto presente nel pensiero di Dio: Tuttavia non per questo ciò che è contingente diventa necessario, così come una nave che discende lungo la corrente (può essere osservata, ma) non deriva il suo moto dall’occhio nel quale si specchia. Dalla visione del pensiero eterno di Dio così come dall’organo giunge all’orecchio una dolce armonia, mi viene davanti agli occhi il futuro che ti si prepara. Come Ippolito se ne andò da Atene per le calunnie della spietata e perfida matrigna, così tu dovrai andartene da Firenze. Questo si desidera e questo già si cerca di attuare, e presto sarà fatto da parte di chi ordisce tali macchinazioni là (nella curia pontificia) dove ogni giorno si fa mercato della religione. La colpa, come al solito, sarà attribuita dall’ opinione pubblica alla parte vinta, ma la punizione darà testimonianza della verità, la quale assegna giustamente i suoi castighi. Tu dovrai lasciare ogni cosa più cara; e questo è il colpo doloroso che prima di tutto ti infliggerà l’ esilio. Tu proverai quanto sia amaro il pane chiesto agli altri, e quanto sia duro cammino scendere e salire le scale delle case; altrui. E quello che ti riuscirà più gravoso, sarà la compagnia cattiva e sciocca con la quale ti troverai precipitando in questa miseria essa si volgerà contro di te piena di ingratitudine, dissennata e piena di odi, ma poco dopo, essa, non tu, ne avrà le tempie rosse di sangue. Il suo modo di agire costituirà la prova della sua folle sconsideratezza, così che sarà motivo di onore per te l’aver fatto partito per te stesso. Il tuo primo rifugio, la tua prima dimora ospitale ti sarà offerta dalla liberalità del grande lombardo che ha per suo stemma una scala sormontata dall’aquila imperiale; così benevola sarà la considerazione che nutrirà nei tuoi riguardi, che, nei rapporti tra voi due, rispetto all’esaudire un desiderio e all’esprimerlo, sarà primo (non colui che chiede ma) colui che esaudisce, il quale, normalmente, agisce dopo che il primo ha espresso il desiderio. Con Bartolomeo vedrai Cangrande, colui che, al momento della nascita, ricevette un così forte influsso da questo cielo, che le sue azioni diventeranno memorabili. a lui solo da nove anni (Cangrande, infatti, nacque nel 1291 e Dante immagina di compiere il suo viaggio nell’oltretomba nel 1300); ma prima che il papa guascone Clemente V inganni l’imperatore Arrigo VII, appariranno i primi segni della sua virtù nel disprezzo del denaro e della fatica. Le sue splendide imprese saranno allora così conosciute, che i suoi stessi nemici non le potranno tacere. Affidati a lui e ai suoi benefici; per opera sua cambierà condizione molta gente, poiché i ricchi diventeranno poveri e i poveri diventeranno ricchi. Porterai scolpite nella tua memoria queste cose che lo riguardano, ma non le dirai ”; e rivelò fatti incredibili persino per coloro che li vedranno accadere. Poi aggiunse: “ Figlio, queste sono le spiegazioni di quello che ti fu detto (nell’inferno e nel purgatorio riguardo al tuo esilio ); ecco le insidie che si preparano (per te) nello spazio di pochi anni ( dietro a pochi giri: dietro a pochi giri di sole). Non voglio però che tu porti odio ai tuoi concittadini, poiché la tua vita (per mezzo della fama) si prolungherà nel tempo ben oltre il momento nel quale essi riceveranno la punizione della loro perfidia ”. Dopo che, tacendo, l’anima santa di Cacciaguida si mostrò libera dal compito di rispondermi (letteralmente: di mettere la trama in quella tela di Cui le avevo presentato l’ordito con le mie domande), io cominciai, come colui che, nel dubbio, desidera il consiglio della persona che è capace di distinguere la verità e che agisce rettamente e ha una caritatevole disposizione: “ Ben vedo, padre mio, come il tempo incalza contro di me, per infliggermi un colpo di tale gravità, che riuscirà più pesante a chi vi si abbandonerà senza reagire; per questo motivo è bene che io sia previdente, in modo che, se mi è tolta la patria, io non debba perdere a causa dei miei versi la possibilità di rifugiarmi in altri luoghi. Scendendo nell’inferno, il mondo del dolore eterno, e salendo sul monte del purgatorio, dalla cui bella cima gli occhi di Beatrice mi hanno sollevato (alle sfere celesti ) , e poi attraverso il paradiso di cielo in cielo, ho appreso cose che, se le riferisco avranno per molti un sapore fortemente aspro; e se ( tacendo per paura ) mi mostro timido amico della verità, temo di perdere fama tra i posteri (coloro che questo tempo chiameranno antico). ” La luce nella quale splendeva Cacciaguida, la gemma che avevo trovato in quel cielo, dapprima divenne più fulgida, simile a una lamina d’oro investita dal raggio del sole, poi rispose: “Colui che ha la coscienza macchiata o dalle proprie colpe o da quelle di parenti e amici sentirà certamente la durezza delle tue parole. Ma nondimeno, messa da parte ogni menzogna, rivela tutto ciò che hai visto; e si dolga pure delle tue parole chi è in colpa ( lascia pur grattar dov’è la rogna: lascia pure che si gratti chi è affetto da rogna), Perché se le tue parole riusciranno sgradite ad un primo assaggio, lasceranno poi un nutrimento vitale, non appena saranno state digerite . Queste tue affermazioni faranno come il vento, che percuote più violentemente le cime più alte, e questo ( la proclamazione della verità fatta senza paura ) non costituisce piccolo motivo d’onore; Per tale ragione in questi cieli, nel purgatorio e nell’inferno, ti sono stati mostrati solo spiriti di persone famose, perché l’animo di chi ascolta non si appaga né presta fede ad esempi che si fondano su cose o persone sconosciute e non sufficientemente evidenti, né su altre dimostrazioni di scarsa apparenza ”.

Paradiso: XVIII Canto

Cacciaguida, specchiando in se divina luce beatificante, già godeva silenzioso del proprio pensiero, ed io assaporavo il mio, cercando di contemperare quello che mi era stato detto di doloroso con quello che mi era stato detto di gradevole. E Beatrice, che mi guidava a Dio, mi disse. “ Lascia il pensiero dell’esilio: considera che io sono vicino a Dio (colui) che allevia ogni torto”. Io mi volsi alle amorose parole della mia consolatrice; e qui rinuncio a descrivere la luce di carità che io allora vidi nei suoi santi occhi; non solo perché diffido della capacità espressiva delle mie parole, ma anche perché la mia memoria non può ritornare tanto sopra se stessa (e ricordare), se Dio non la guida (con la sua Grazia). Di quel momento posso ricordare solo che, fissandola, il mio cuore fu libero da ogni altro desiderio, mentre l’ eterna bellezza di Dio, che raggiava direttamente in Beatrice, mi appagava col raggio riflesso dai begli occhi di lei. Abbagliandomi con la luce di un suo; sorriso, ella mi disse: “ Volgiti (a Cacciaguida) e ascolta, perché non solo nei miei occhi (ma anche in quelli degli altri beati ) risplende la gioia del paradiso”. Come talvolta quaggiù sulla terra il sentimento interiore si manifesta negli occhi, allorché è tanto grande da prendere tutta l’anima, cosi nel ravvivato splendore della luce santa di Cacciaguida, al quale mi volsi, riconobbi il suo desiderio di parlarmi ancora un poco. Egli cominciò: “In questo quinto cielo del paradiso, che è come un albero che trae la vita da Dio, sua cima, e produce continuamente frutti senza mai perdere nessuna foglia, si trovano spiriti beati, i quali sulla terra, prima di venire in cielo, furono circondati da grande fama, così che qualsiasi poeta potrebbe trovare ricca materia di canto (nelle loro imprese). Perciò fissa lo sguardo sui quattro bracci della croce: ogni spirito che io chiamerò per nome, trascorrerà da un braccio all’altro con la velocità con la quale il lampo solca la nube che lo ha generato ”. Al nome di Giosuè, nel momento stesso in cui veniva pronunciato, io vidi una luce muoversi lungo la croce; né il suono del nome fu percepito da me (mi fu noto) prima del muoversi della luce. E al nome del glorioso Giuda Maccabeo vidi un altro spirito muoversi girando su se stesso, e la gioia era come la frusta che (colpendola) fa girare la trottola. Allo stesso modo al nome di Carlo Magno e di Orlando il mio sguardo attento seguì il movimento di altre due luci, come l’occhio del falconiere segue il falcone in volo. Poi Guglielmo d’Orange, e Renoardo, il duca Goffredo di Buglione, e Roberto il Guiscardo attrassero il mio sguardo lungo quella croce. Quindi, l’ anima di Cacciaguida che mi aveva parlato, muovendosi e mescolandosi agli altri spiriti, mi fece sentire quale artista fosse tra i cantori del cielo ( di Marte). Io mi volsi verso destra per farmi indicare da Beatrice o con parole o con cenni quello che dovevo fare; e vidi i suoi occhi tanto luminosi, tanto gioiosi, che il suo aspetto superava in bellezza tutti gli altri precedenti, perfino l’ultimo. E come l’uomo si accorge che la sua virtù cresce di giorno in giorno, perché prova una gioia sempre più profonda nel fare il bene, così io, vedendo più bello il miracoloso aspetto di Beatrice, m’accorsi che l’arco del mio giro intorno alla terra insieme al cielo, aveva una circonferenza più ampia (essendo salito in un cielo superiore e quindi più ampio). E come muta rapidamente il colore in un bianco volto di donna, quando questo si libera dal rossore della vergogna ( ritornando al colore naturale ), altrettanto rapido fu il mutamento di colore che apparve ai miei occhi, quando mi distolsi (dal guardare Beatrice), a causa del candore temperato del sesto cielo (di contro al colore rosso del cielo di Marte ), che m’aveva accolto dentro di se. Nella luminosa stella di Giove io vidi lo sfavillio degli spiriti, che lì risplendevano d’amore, disegnare davanti ai miei occhi le lettere dell’alfabeto. E come gli uccelli levatisi in volo dalle rive di un fiume come se si rallegrassero tra loro per il cibo trovato , si dispongono in schiera ora circolare ora d’altra forma, così avvolti nella loro luce, i santi spiriti, volando qua e là, cantavano, e assumevano la figura ora di una D, ora di una I, ora di una L. Dapprima, cantando, si muovevano sul ritmo del loro canto; poi, assumendo la forma di una di queste lettere, si arrestavano un poco e tacevano. O celeste musa che fai gloriosi e rendi immortali i poeti, ed essi col tuo aiuto rendono immortale la fama delle città e dei regni, illuminami con la tua luce, in modo che io possa rappresentare efficacemente le figure disegnate da questi spiriti, così come si sono impresse nella mia mente: appaia il tuo potere in questi miei versi inadeguati (alla materia trattata)! Apparvero dunque trentacinque vocali e consonanti; ed io fissai nella memoria le lettere componenti ciascuna parola, nell’ordine in cui mi si mostrarono espresse in figura. “Amate la giustizia” furono il primo verbo e il primo nome della frase dipinta nel cielo: “voi che siete giudici in terra ” furono le ultime parole. Poi le anime rimasero ferme e disposte nella figura della emme, ultima lettera dell’ultima parola, così che in quel punto il pianeta Giove appariva come argento ornato di rilievi d’oro. E vidi altre anime scendere (dall ‘Empireo) sul punto più alto della emme, e li fermarsi cantando un inno, credo a Dio, il Bene che le attrae a se. Poi come dai ceppi arsi dal fuoco, quando vengono percossi, si sprigionano innumerevoli faville, dalle quali gli stolti sogliono trarre favorevoli auspici per se, così si videro alzarsi dal colmo dell’emme moltissime luci, e salire (verso l’alto) qual più e qual meno, a seconda del grado di beatitudine che Dio, il sole che le accende (d’amore), ha dato loro in sorte; e allorché ognuna si fu fermata al suo posto, vidi che esse avevano formato la figura della testa e del collo di una aquila in quell’oro che prendeva rilievo sullo sfondo argenteo del cielo di Giove, Dio, che così dipinge nel cielo di Giove, non ha maestri, ma Egli stesso è il maestro, e da lui deriva la virtù generativa che dà vita agli esseri nelle loro dimore terrene. Le altre anime beate, che prima apparivano paghe di assumere la forma del giglio nella lettera emme, con piccoli spostamenti completarono la figura . O dolce pianeta Giove, quali e quante anime luminose mi mostrarono ( prima col loro canto e poi con la figura dell’aquila, simbolo dell’Impero e della giustizia che esso solo può realizzare ) che la giustizia umana deriva dall’influsso del cielo che tu adorni con il tuo splendore! Perciò prego Dio, dal quale prende inizio il tuo movimento e il tuo potere di influsso, affinché rivolga la sua attenzione al luogo da cui esce il fumo che offusca la tua luce, in modo che Egli si adiri una seconda volta per i commerci che si fanno nel la Chiesa che fu edificata con i miracoli e il martirio (di Cristo e dei suoi santi). O anime beate del cielo di Giove, che io contemplo (nella mia memoria), pregate per i mortali, che hanno deviato dalla giusta via per il cattivo esempio ( degli uomini di chiesa) ! Un tempo si era soliti fare la guerra con le armi, ma ora si fa sottraendo ai fedeli, or qua or 1à, il pane spirituale che il misericordioso Padre celeste non nega a nessuno. Ma tu che scrivi ( i decreti di scomunica ) solo per annullarli poi ( per denaro ), pensa che Pietro e Paolo, che morirono per la Chiesa che tu ora vai distruggendo, sono ancora vivi (in cielo e pronti a chiedere vendetta a Dio). È probabile che l'apostrofe sia rivolta a Giovanni XXII, pontefice dal 1316 al 1334, il quale con ogni mezzo "raunò infinito tesoro" (Villani Cronaca XI, 20 ) . Alcuni interpreti hanno proposto il nome di Bonifacio VIII e di Clemente V, per altro già morti al tempo in cui Dante scrive questi versi. A buon diritto puoi dire: “ Il mio desiderio è volto con tanta forza a San Giovanni Battista, colui che volle vivere solitario nel deserto e che fu martirizzato per premiare una danza, che io non mi curo né di San Pietro né di San Paolo”.

Paradiso: XIX Canto

Davanti a me si mostrava con le ali aperte la bella figura dell’aquila che era formata dalle anime riunite insieme, liete nel godimento della loro beatitudine: ogni anima sembrava un piccolo rubino nel quale risplendesse un raggio di sole così vivo, da riflettere nei miei occhi il sole stesso. E quello che ora devo raccontare, non fu mai detto, né scritto, né concepito da alcuna fantasia, perché io vidi e anche udii il becco dell’ aquila parlare, e dire con la sua voce “ io ” e “ mio ”, mentre logicamente avrebbe dovuto dire “ noi ” e “ nostro ”. E l’ aquila cominciò: “ Per aver esercitato (sulla terra) giustizia e pietà io sono qui innalzata alla gloria celeste che supera (non si lascia vincere) ogni umano desiderio; e sulla terra lasciai una tale memoria di me, che perfino le genti malvage del mondo sono costrette a lodarla, anche se non imitano le opere da me compiute (la storia)”. Come da molti carboni accesi proviene un unico calore, così ora da parte di molti spiriti ardenti di carità usciva un’unica voce dalla figura dell’ aquila. Perciò io subito dopo dissi: “ O fiori immortali della gioia eterna, che mi fate sembrare una sola tutte le vostre voci, allo stesso modo in cui da molti fiori emana un unico profumo, scioglietemi, parlando, il grave dubbio che da lungo tempo mi tormenta, non trovando per esso sulla terra alcuna soluzione soddisfacente. Io so bene che se la giustizia divina in cielo si specchia direttamente in un altro ordine di intelligenze, tuttavia anche (nella vostra sfera) si manifesta senza essere offuscata da alcun velo. Voi sapete come mi preparo ad ascoltarvi con attenzione; voi sapete qual è il dubbio che costituisce per me un tormento così antico ”. Come il falcone che viene liberato dal cappuccio, alza il capo e muove festoso le ali, dimostrando il desiderio (di alzarsi in volo) e aggiustandosi le penne col becco, così vidi atteggiarsi l’aquila , che era formata di anime che lodavano la grazia divina, con canti che conosce solo chi è beato lassù. Poi comincio: “ Dio, colui che creando girò il compasso a tracciare gli estremi confini del mondo, e in questo dispose ordinatamente tante cose occulte e visibili, non poté imprimere la sua infinita perfezione in tutto l’universo in modo tale, che l’idea della sua mente non restasse infinitamente superiore rispetto alle cose create. E ciò è confermato dal fatto che Lucifero, il quale fu la più alta creatura, per non aver atteso la luce della Grazia, precipitò imperfetto dal cielo: e di qui appare chiaro che ogni creatura inferiore (a Lucifero) è un vaso troppo piccolo per contenere Dio, il Bene infinito, il quale non può essere misurato se non con se stesso. Dunque la nostra intelligenza, che deve essere un raggio riflesso della mente divina di cui sono piene tutte le cose, non può, sua natura, essere tanto potente da non dovere riconoscere che la mente di Dio, suo principio, va molto al di là di quello che essa può vedere. Perciò l’intelletto che voi mortali ricevete (dal Creatore), si può addentrare nella giustizia divina, come l’occhio può vedere nelle profondità del mare; il quale occhio, benché dalla riva riesca a scorgere il fondo, non lo vede più quando si trova in alto mare; e tuttavia il fondo c’è, ma lo nasconde la sua profondità. Non c’è (per l’intelletto umano) luce di verità, se non viene dalla luce eternamente serena (della mente divina); quella che non viene di là è ignoranza , o nozione offuscata dai sensi (della carne), o velenoso errore provocato da essi. Adesso ti è possibile guardare nella segreta profondità che ti celava la giustizia del Dio vivente, per cui ti ponevi una domanda così frequentemente ripetuta; poiché tu dicevi: “Un uomo nasce sulle rive del fiume Indo, e qui non c’è né chi parli né chi insegni né chi scriva di Cristo; e tutti i suoi sentimenti e i suoi atti sono buoni, per quanto può giudicare la ragione umana, senza peccato nelle opere o nelle parole. Costui muore senza battesimo e senza la fede: che giustizia è questa che lo condanna? dove sta la sua colpa, se egli non crede?” Ora chi sei tu che vuoi salire sul seggio del giudice, per dare un giudizio su cose lontane da te mille miglia con la tua vista che non vede al di là di un palmo? Certamente avrebbe motivo di dubitare colui che fa sottili ragionamenti riguardo al mistero della giustizia ( meco: l’aquila è simbolo della giustizia), se a guidarvi non ci fosse la Sacra Scrittura. Oh uomini che vivete come bruti! oh ottuse menti umane! La volontà divina, che è buona per sua natura, non si allontana mai dal principio con il quale si identifica, il sommo Bene. E’ giusto tutto quello che si conforma a lei: nessun bene creato può‘ attrarre a se la volontà divina, anzi proprio essa, irradiandosi, genera il bene creato ”. Come la cicogna dopo aver nutrito i figli gira volando sopra il nido, e come il cicognino che si è pasciuto volge gli occhi verso di lei, così fece la benedetta figura dell’aquila, che agitava le ali mosse dalle molteplici volontà concordi (degli spiriti da cui era formata), io (come il cicognino) alzai gli occhi a guardarla. Girando intorno cantava, e diceva: “ Come riescono incomprensibili le parole del mio canto a te, che non sei capace d’ intenderle, così è incomprensibile il giudizio divino a voi mortali ”. Dopo che quelle luci, che erano fiamme di carità accese dallo Spiríto Santo, si fermarono sempre disposte nella figura dell’aquila che rese i Romani degni di riverenza davanti al mondo, l’aquila riprese: “ In paradiso non salì mai nessuno che non avesse creduto in Cristo, sia prima sia dopo che egli fosse inchiodato sulla croce. Ma considera questo: molti che gridano “Cristo, Cristo!”, nel giorno del giudizio finale saranno assai meno vicino a Lui del pagano che non lo ha conosciuto; e (anche) un infedele etiope potrà condannare siffatti cristiani, quando (nel giorno del giudizio) si divideranno le due schiere (collegi, l’una destinata all’eterna ricchezza (del paradiso), e l’altra destinata all’eterna miseria (dell’inferno) . Che cosa non potranno dire gli infedeli persiani ai vostri principi, quando vedranno aperto il libro nel quale sono registrate tutte le loro azioni spregevoli ? In quel libro si vedrà scritta, tra le imprese dell’imperatore Alberto I, quella che presto indurrà la penna divina a registrarla, e a causa della quale sarà devastato il regno di Boemia con Praga, la sua capitale. In quel libro si vedrà il doloroso danno che, falsificando la moneta arrecherà alla Francia Filippo il Bello che morirà per il colpo di un cinghiale. In quel libro si vedrà la superbia sitibonda di dominio, che acceca il re di Scozia e quello d’lnghilterra, in modo che nessuno dei due può sopportare di rimanere entro i propri confini. Si vedranno la lussuria e la vita effeminata del re di Spagna e del re di Boemia, che mai seppe né mai volle sapere che cos’è la virtù. Si vedranno segnate le opere dello Zoppo di Gerusalemme, le opere buone con una I, mentre quelle malvage con una M. Si vedranno l’avarizia e la viltà di colui che regna sulla Sicilia, l’isola del fuoco etneo, dove Anchise terminò la sua lunga vita; e per far capire che uomo dappoco egli sia, la scrittura che lo riguarda sarà in parole abbreviate, che noteranno in poco spazio molte opere malvage. E saranno visibili a ognuno le opere vergognose dello zio e del fratello di Federico, che hanno disonorato la così nobile stirpe degli Aragonesi e le due corone d’Aragona e di Sicilia. E lì si saprà chi furono il re di Portogallo e quello di Norvegia, e il re di Rascia, che per proprio danno conobbe la moneta veneziana. Oh felice l’Ungheria se non si lascia più malmenare dai suoi re ( come nel passato)! e felice il regno di Navarra se si fa scudo dei Pirenei che lo circondano! E ognuno sappia che ora, come saggio (di quello che accadrà all’Ungheria e alla Navarra), Nicosia e Famagosta si lamentano e gridano per la tirannia del loro re bestiale, il quale non si scosta dall’esempio degli altri re, simili a bestie come lui.

Paradiso: XX Canto

Quando il sole che illumina tutto il mondo tramonta dal nostro emisfero tanto, che il giorno da ogni parte viene meno, il cielo, che prima era illuminato soltanto dalla sua luce, ridiventa improvvisamente visibile grazie ai molti astri, nei quali si riflette l’unica luce del sole: e questo fenomeno celeste mi venne in mente, non appena l’aquila, l’insegna dell’impero romano che unificò il mondo, e dei suoi imperatori, tacque col suo becco, poiché tutti quegli spiriti luminosi, risplendendo sempre di più, intonarono canti, caduti e dileguati dalla mia memoria. O dolce carità che ti avvolgi nel manto luminoso del tuo sorriso, quanto ti mostravi ardente in quegli spiriti che come flauti spiravano i loro canti mossi solo da santi pensieri! Dopo che le anime simili a lucenti gemme preziose, di cui avevo visto adornato Giove, il sesto pianeta, interruppero gli angelici canti, mi parve di udire il mormorio di un torrente che scende limpido giù di sasso in sasso, mostrando la ricchezza d’acqua della sua sorgente sulla vetta, E come il suono si modula nella parte più alta della cetra ( dove il suonatore fa scorrere le dita), e come il fiato che penetra nella zampogna acquista forma di suono ai fori di essa, Così, rimosso ogni indugio, il mormorio dell’aquila salì su per il collo come se questo fosse vuoto. Nel collo il mormorio divenne voce, e di qui attraverso il becco uscì in forma di parole, proprio come le desiderava il mio cuore, dentro il quale le impressi. L’aquila cominciò: “ Ora devi guardare attentamente il mio occhio, la parte: che nelle aquile terrene vede e sopporta la luce del sole, perché fra gli spiriti coi quali formo la mia figura, quelli onde l’occhio risplende nella mia testa, hanno il più alto grado di beatitudine fra tutti quelli del sesto cielo. Colui che risplende nel mezzo dell’occhio come pupilla, fu Davide, il cantore ispirato dallo Spirito Santo, che trasportò l’arca santa di luogo in luogo (fino a Gerusalemme); ora conosce quale fu il merito acquistato con i suoi Salmi, in quanto (I’accettazione dell’ispirazione divina) fu frutto della sua libera volontà, per il premio avuto che corrisponde al merito. Dei cinque spiriti che mi formano l’arco del ciglio, quello che è più vicino al mio becco, fu Traiano, colui che consolò la vedovella dell’uccisione del figlio: ora conosce quanto costi caro non aver la fede in Cristo, per l’esperienza che fa di questa vita beata e per quella fatta dell’ opposta vita nell’inferno. E lo spirito che viene dopo Traiano nel cerchio di cui sto parlando, nella parte superiore del mio arco ciliare, è Ezechia, colui che con la vera penitenza ritardò la morte: ora conosce che il giudizio eterno di Dio non cambia, anche se una preghiera meritoria ottiene di rimandare a domani ciò che sulla terra dovrebbe accadere oggi. L’altro spirito che segue è Costantino. colui che, con buona intenzione che diede (però) cattivi risultati, per cedere Roma al papa, fece greco se stesso (trasferendo la capitale a Bisanzio) con le leggi dell’Impero e con la sua insegna: ora conosce che il male causato dall’opera da lui compiuta con retta intenzione non gli è imputato a colpa, sebbene da ciò sia derivata la rovina del mondo. E lo spirito che vedi nella curva discendente dell’arco ciliare, fu Guglielmo, che è rimpianto dalla terra (di Puglia e di Sicilia ) la quale ora soffre per il malgoverno di Carlo II e Federico II, suoi attuali sovrani: ora conosce come Dio ami i re giusti, e dimostra anche con il fulgore del suo aspetto questa sua consapevolezza. Chi potrebbe credere laggiù in terra fra gli uomini soggetti ad errore, che il troiano Rifeo fosse il quinto spirito beato nell’arco del mio ciglio? Ora, anche se il suo sguardo non ne può distinguere il fondo, conosce abbastanza di quel mistero della grazia divina che il mondo non può conoscere ”. Come un’allodola che prima spazia nell’aria cantando, e poi tace sopraffatta dalla dolcezza finale del suo canto che la rende contenta, cosi la figura dell’aquila mi sembrò tacere soddisfatta del piacere ( provato parlando ), il quale è un’impronta del piacere divino, secondo la cui volontà ogni cosa diventa quella che è. E sebbene io davanti all’aquila fossi trasparente rispetto al dubbio che mi agitava come il vetro rispetto al colore che esso ricopre, il mio dubbio non tollerò di attendere in silenzio, ma dalla bocca mi spinse fuori con tutta la forza del suo peso la domanda: “ Che cosa sono queste cose (cioè: come può un pagano salvarsi)?”; per cui ( pronunciate quelle parole ) vidi un grande sfavillio di luci (da parte delle anime ). Immediatamente dopo, per non tenermi sospeso nello stupore, con l’occhio ancor più splendente, il benedetto segno dell’aquila mi rispose: “ Io vedo che tu credi a queste cose perché te le ho dette io, ma non comprendi come (i due pagani siano salvi), cosicché, anche se tu le credi, queste cose restano oscure ( al tuo intelletto). Fai come colui che impara sì il nome di una cosa, ma non può conoscerne l’essenza se altri non gliela manifesta. Il regno dei cieli sopporta violenza solo da parte dell’amore ardente e della speranza da esso vivificata, che vincono la divina volontà; non la vincono con la violenza come un uomo che sopraffà un altro, ma perché essa vuole essere vinta, e, nel momento stesso in cui è vinta, vince con la sua bontà. La prima anima fra quelle che formano il mio ciglio e la quinta ti fanno stupire, perché vedi il paradiso, la regione degli angeli, adorno della loro presenza. Questi due spiriti non uscirono pagani dai loro corpi, come ritieni, ma cristiani, credendo fermamente Rifeo nella futura redenzione e Traiano nella redenzione già operata da Cristo crocifisso. Perché l’anima di Traiano dall’inferno, da dove non si può ritornare mai alla volontà di operare il bene, tornò a riprendere il corpo; e ciò fu premio dell’ardente speranza (di San Gregorio Magno); di quell’ardente speranza, che nelle preghiere fatte a Dio per risuscitare l’anima di Traiano infuse una forza tale che la volontà del risorto potesse essere mossa ( alla fede e al pentimento). L’anima gloriosa di Traiano di cui si sta parlando, tornata nel corpo, nel quale restò poco tempo, credette in Cristo che poteva salvarla: e credendo si accese di tale fuoco di amore di Dio, che, giunta alla morte per la seconda volta, fu degna di salire alla gioia del paradiso. L’anima di Rifeo, in virtù della grazia divina che deriva da una sorgente cosi profonda, che mai nessuna creatura poté spingere l’ occhio fino al punto da cui sgorgano le sue acque, vivendo sulla terra indirizzò tutto il suo amore alla giustizia; per questo Dio, aggiungendo grazia a grazia, gli rivelò la nostra futura redenzione: per cui egli credette in essa, e da allora in poi non tollerò più il nauseante paganesimo: e ne rimproverava le genti sviate in quell’errore. Più di mille anni prima dell’istituzione del battesimo a lui valsero come battesimo quelle tre donne (Fede, Speranza e Carità) che tu vedesti (nel paradiso terrestre) alla destra del carro della Chiesa ( cfr. Purgatorio XXIX, 121-129). O predestinazione, quanto è distante la tua profonda ragione dagli intelletti umani che non possono vede intera l’essenza divina, causa prima di tutte le cose! E voi, mortali, siate cauti nel giudicare, perché nemmeno noi, che pure vediamo Dio direttamente, conosciamo ancora tutti gli eletti futuri; e ci è dolce tale limite imposto alla nostra conoscenza, perché la nostra felicità si perfeziona appunto in questo piacere, per cui tutto quello che Dio vuole, anche noi vogliamo ”. In questo modo da quella divina figura dell’aquila, per rischiarare la mia limitata intelligenza, mi fu data questa spiegazione, fonte di dolcezza. E come labile suonatore di cetra accorda il suono delle vibranti corde alla voce del buon cantore, per cui il canto diventa più piacevole, così, durante il discorso dell’aquila, ricordo che vidi le due anime luminose (di Traiano e di Rifeo), proprio con la stessa simultaneità con la quale battono le palpebre degli occhi, muovere le loro fiammelle in accordo con le parole dell’aquila.
 
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