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Parafrasi del Paradiso della "Divina Commedia" di Dante, 31 - 33

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view post Posted on 9/5/2010, 21:22     +1   -1




Paradiso: XXXI Canto

I beati che Cristo unì a Sé con la sua morte in croce mi apparivano dunque nella forma di una candida rosa; ma gli angeli (l’altra: riferito a milizia), che volando contemplano e cantano la gloria di Dio che li avviva d’amore e la sua bontà, che li creò tanto perfetti, allo stesso modo in cui uno sciame d’api ora si immerge nei fiori ed ora ritorna all’alveare (là) dove la sua fatica si trasforma in dolce sapore di miele, scendevano nel grande fiore che si adorna di foglie così numerose (ogni beato, infatti, costituisce un petalo della candida rosa), e da lì risalivano là dove Dio, oggetto del loro amore, soggiorna per l’eternità. Il loro volto aveva il colore della fiamma viva, e le loro ali quello dell’oro, e il resto della figura era così bianco, che nessuna neve può arrivare a quell’estremo (di candore). Quando scendevano nel fiore, passando da un gradino all’altro comunicavano ai beati la pace della beatitudine e l’ardore della carità che essi attingevano volando (fino a Dio). L’interporsi di un così grande numero di angeli fra il punto in cui si trovava Dio e la rosa non impediva alle anime di contemplare Dio, e allo splendore divino di giungere alle anime, poiché la luce divina penetra nell’universo secondo che ogni cosa sia più o meno degna (di riceverla), così che nulla può esserle di ostacolo. Questo regno privo di ogni turbamento e pieno di beatitudine, popolato di anime dell’Antico e del Nuovo Testamento, rivolgeva il suo sguardo e il suo amore verso una unica meta (Dio). Oh luce della Trinità, che risplendendo agli occhi dei beati nell’unica essenza della tua luce, li appaghi in modo così completo, guarda quaggiù sulla terra le nostre procelle! Se i barbari, scendendo da regioni così settentrionali che l’Orsa Maggiore (Elice) vi rimane sempre visibile, ruotando insieme con il figlio che tanto ama, vedendo Roma e i suoi grandiosi edifici, rimanevano attoniti per lo stupore, quando Roma superò (in grandezza e in potenza ) tutte le cose mortali, io, che ero venuto al mondo divino dal mondo umano, all’eterno dal tempo, e da Firenze ai beati del paradiso, di quale stupore dovevo essere colmo! Certamente stupore e gioia insieme mi rendevano gradito non udire e non parlare. E come il pellegrino che si riposa (dalle fatiche del viaggio) contemplando il tempio che aveva fatto voto di visitare, e già spera di poter raccontare ( al suo ritorno) come esso era fatto, così io facendo scorrere lentamente lo sguardo sulla viva luce (della candida rosa) osservavo gradino per gradino, volgendo lo sguardo ora in alto, ora in basso e ora all’intorno. Vedevo volti che ispiravano carità, risplendenti della luce di Dio e della propria gioia che si manifestava nel sorriso, e atteggiamenti ricchi di ogni decoro e nobiltà. Avevo già abbracciato col mio sguardo tutto l’aspetto del paradiso nel suo complesso, senza essermi ancora fissato su nessuna parte: e mi volgevo con il desiderio riacceso di sapere, per interrogare la mia donna su cose intorno alle quali la mia mente era ancora incerta. Di una cosa avevo intenzione (di interrogare Beatrice), ma altro rispose al mio intento: credevo di vedere Beatrice, e vidi un vecchio vestito (di una bianca stola) come tutte le anime beate. Nei suoi occhi e nel suo volto era diffusa una benevola letizia, nel suo atteggiamento si dimostrava affettuoso come un tenero padre. E subito chiesi: "Dov’è?" Per cui egli: "Per soddisfare il tuo desiderio (che è quello di vedere Dio) Beatrice mi ha fatto venire (qui) chiamandomi dal mio seggio; e se guardi nel terzo gradino a cominciare dall’alto, la rivedrai sul trono che il suo merito le ha destinato in sorte". Senza rispondere, alzai gli occhi, e vidi Beatrice che riflettendo la luce divina irradiava intorno a se un aureola di luce. Nessun occhio mortale, anche se guardasse dal più profondo del mare, disterebbe da quella regione dell’aria nella quale si formano i tuoni, più di quanto la mia vista lì distava da Beatrice; ma ciò non mi era di alcun ostacolo, perché la sua immagine non giungeva a me velata dall’atmosfera. "O donna in cui prende vigore la mia speranza, e che non disdegnasti di lasciare le tue orme nell’inferno per la mia salvezza (cfr. Inferno 11-52 e sgg. ) riconosco che dal tuo potere e dalla tua bontà (non dai miei meriti) ho ricevuto la grazia e la capacità di vedere tante cose quante ne ho vedute (durante il mio viaggio). Tu mi hai condotto dalla schiavitù (del peccato) alla libertà (della virtù) servendoti di tutte quelle vie, di tutti quei mezzi che avevi la possibilità di usare. Conserva in me il tuo mirabile dono, affinché la mia anima, che hai risanato dal peccato ( nel momento della morte), si sciolga dal corpo cara a te (come lo è ora)". Cosi pregai; e Beatrice, così lontana come appariva, sorrise e mi guardò; poi si volse verso Dio, eterna sorgente di luce e d’amore. E il santo vecchio disse: "Affinché tu concluda il tuo viaggio perfettamente, per il quale scopo mi ha mandato la preghiera di Beatrice dettata da santo amore; vola col tuo sguardo su questa rosa, perché la sua visione preparerà la tua vista a salire su per i raggi della luce divina (fino a contemplare direttamente Dio). E la Vergine, regina del cielo, per la quale io ardo tutto d’amore, ci concederà ogni grazia, perché io sono il suo fedele Bernardo". Come il pellegrino che forse dalla Croazia viene (a Roma) per vedere il sudario della Veronica, e che per il desiderio lungamente nutrito non si sazia mai di contemplarlo, ma dice dentro di sé, per tutto il tempo in cui (I’immagine) viene mostrata ai fedeli: "Signore mio Gesù Cristo, vero, così, dunque, fu il vostro aspetto?" nello stesso stato d’animo (di stupore e di smarrimento ) mi trovavo io guardando l’ardente amore di colui che (ancora) sulla terra, gustò la pace (del paradiso), con le sue mistiche contemplazioni. "Figliolo rigenerato dalla Grazia" incominciò a dire "la condizione beata del paradiso non ti sarà manifesta, finché tu continuerai a guardare solo nel fondo (della rosa); ma guarda i gradini circolari fino al più alto, sì che tu possa vedere la regina della quale questo regno è suddito e devoto. Io alzai lo sguardo; e come all’alba la parte orientale dell’orizzonte supera (in luminosità) quella occidentale, dove il sole tramonta, Così, salendo con gli occhi dal basso verso l’alto, vidi una zona nel gradino più alto che vinceva con la sua luce tutta la parte che le stava di fronte. E come il punto dell’orizzonte in cui si aspetta di vedere sorgere il carro del sole si infiamma di una luce più intensa, mentre da una parte e dall’altra (di quel punto) la luce si attenua (man mano che ci si allontana), così quella pacifica orifiamma si avvivava di splendore nella sua zona centrale, e la luce diminuiva in uguale misura da entrambe le parti. E intorno a quel punto centrale, con le ali spiegate, vidi innumerevoli angeli festanti, ciascuno distinto dagli altri per intensità di luce e per ardore di canti e di atteggiamento. Io vidi qui sorridere ai loro voli e ai loro canti il bel volto della Vergine, che era motivo di letizia per tutti i beati che lo contemplavano. E se anche avessi tanta ricchezza di parole quanta ne ho di fantasia, non oserei tentare di descrivere neppure la minima parte del gaudio che da lei derivava. Bernardo, non appena vide il mio sguardo fisso e attento in Maria, oggetto del suo ardente amore, rivolse i suoi occhi verso di lei con tanto amore, che rese i miei ancora più desiderosi di guardarla.

Paradiso: XXXII Canto

I miei occhi erano così fissi e attenti a saziare la decennale sete (che nasceva dal desiderio di rivedere Beatrice, ormai morta da dieci anni), che tutti gli altri miei sensi avevano cessato la loro attività. Ed essi venivano separati con un muro di noncuranza (avean parete di non valer) dalla realtà circostante (quinci e quindi: da una parte e dall'altra) - con tale forza il santo sorriso di Beatrice li attirava a sé con la rete dell'amore di un tempo (antica)! -, quando il mio sguardo fu costretto a volgersi verso la mia sinistra da un imperioso richiamo delle divine creature (quelle dee: le virtù teologali), perché io le udii esclamare "Troppo fissamente (guardi Beatrice)! "; e quella debole capacità visiva che rimane (èe: è) negli occhi appena abbagliati dal sole, mi fece restare per qualche momento senza poter vedere. Ma dopo che la vista diventò di nuovo capace di percepire la luce minore della processione (io dico "minore" in confronto al grande splendore [al molto sensibile] del volto di Beatrice dal quale mi distolsi forzatamente) , vidi che il trionfale corteo si era voltato verso destra, e tornava indietro avendo davanti a sé il sole e le luci (fiamme) dei sette candelabri. Come una schiera di soldati proteggendosi con gli scudi opera una conversione per salvarsi (dal nemico), e si volge indietro seguendo il vessillo, (formando un semicerchio) prima che tutta la schiera cambi direzione, allo stesso modo quella avanguardia (milizia... che procedeva) del regno celeste (formata dai ventiquattro seniori) ci passò davanti tutta quanta prima che il carro voltasse il timone (incominciando anch'esso, la sua conversione). Poi le virtù ritornarono accanto alle ruote, e il grifone mosse il carro (benedetto varco: benedetto carico, perché portava Beatrice), senza che, per questo, alcuna sua penna si agitasse, Matelda, la bella donna che mi aveva fatto varcare (il Letè) e Stazio e io seguivamo la ruota che (volgendosi il carro verso destra) segnò la sua curva con un arco minore (di quello compiuto dall'altra ruota). Così percorrendo la profonda foresta disabitata, per colpa di colei (Eva) che credette al serpente, un canto angelico regolava i nostri passi. Ci eravamo allontanati (dal punto di partenza) di uno spazio forse triplo di quello che percorre una saetta scoccata dall'arco, quando Beatrice scese dal carro. Io udii mormorare da tutti "Adamo"; poi si disposero in cerchio attorno ad una pianta priva di foglie e di ogni fronda in tutti i suoi rami. La sua chioma, che tanto più si allarga quanto più si innalza, per la sua altezza sarebbe ammirata anche dagli Indiani nei loro boschi. « Beato sei tu, o grifone, che con il becco non strappi da questa pianta il frutto dolce al gusto, poiché il veritre di chi ne mangia si contorce dal dolore a causa di esso. » Così attorno all'albero robusto gridarono i componenti della processione; e l'animale dalla duplice natura: « Così si conserva il principio di ogni giustizia». E voltosi al timone che egli aveva tirato, lo portò ai piedi della pianta spoglia, e lo lasciò legato a lei per mezzo di un ramoscello. Come le piante della terra (in primavera), quando scende la grande luce (del sole) congiunta a quella della costellazione dell'Ariete che splende seguendo la costellazione dei Pesci, diventano turgide di gemme, e poi ciascuna rinnova il colore dei propri fiori, prima che il sole passi (giunga li del tempo di Dante con il significato di "pesce"). Il rinnovamento della natura si completa nel breve giro di un mese, prima cioè che il sole, lasciata la costellazione dell'Ariete, entri in congiunzione con quella del Toro (che segue l'ariete). così la pianta che prima aveva i rami tanto spogli, si rinnivò, facendo sbocciare fiori di un colore meno vivo di quello delle rose e più acceso di quello delle viole. lo non ne compresi le parole, né sulla terra si canta l'inno che in quel momento cantò quella gente, né fui capace di ascoltare fino alla fine il dolce canto. Se io potessi descrivere come gli spietati occhi (di Argo) cedettero al sonno udendo cantare (da Mercurio) gli amori della ninfa Siringa, quegli occhi ai quali costò così caro il vegliare continuamente; riuscirei a rappresentare in che modo mi addormentai, come un pittore che dipinga tenendo davanti un modello; ma un altro, se vorrà, provi a ben descrivere l'addormentarsi. Perciò passo senz'altro al momento in cui mi svegliai, e dico che uno splendore mi squarciò il velo del sonno e che una voce (quella di Matelda) mi chiamò dicendo: « Alzati: che fai? » Come nel vedere il primo saggio di quell'albero (Cristo), il quale in cielo rende gli angeli bramosi della sua visione, e li fornisce di cibo come in una perpetua festa nuziale, Pietro e Giovanni e Giacomo quando furono condotti (sul Tabor) e furono tramortiti (dallo splendore della trasfigurazione di Gesù), ritornarono in sé al suono della voce di Cristo la quale ruppe sonni ben più profondi, e si accorsero che dal loro gruppo erano scomparsi tanto Mosè quanto Elia, e che il Maestro aveva cambiato la veste (con la quale era apparso durante la trasfigurazione), allo stesso modo ripresi io i sensi, e vidi china su di me Matelda che prima aveva guidato i miei passi lungo la riva del Letè. E tutto timoroso (di essere stato abbandonato da Beatrice) dissi: « Dov'è Beatrice?» Per questo Matelda rispose: « La puoi vedere sotto l'albero che ha rinnovato le fronde seduta sulla sua radice: vedi il gruppo che la circonda (le virtù cardinali e teologali) : gli altri personaggi della processione risalgono in cielo dietro al grifone intonando un canto più dolce (per la melodia) e più profondo (per il significato) (di quelli che tu hai potuto ascoltare sulla terra) ». E se Matelda disse altre cose, non lo so, poiché ero già tutto intento ad osservare Beatrice, la cui vista mi impediva di prestare attenzione ad altre cose. Sedeva sola sulla nuda terra, lasciata lì a guardia del carro che avevo visto legare (all'albero) dal grifone (biforme fera: la fiera dalle due nature). Le sette virtù la chiudevano come in un cerchio, tenendo in mano i candelabri che non possono essere spenti da nessun vento (d'Aquilone e d'Austro: sono qui indicati i due venti più impetuosi) . « Qui resterai nella selva per poco tempo: e poi sarai insieme con me per sempre cittadino di quella Roma celeste (cioè: del paradiso) della quale Cristo è cittadino. Perciò, ad ammaestramento dell'umanità traviata, osserva ora il carro, e fa in modo di descrivere quello che vedi, dopo sere ritornato nel mondo. » Così disse Beatrice; ed io, che ero del tutto disposto a seguire con umiltà i suoi comandi, rivolsi la mente e gli occhi dove ella voleva. Un fulmine non scende mai da una densa nube con un moto così veloce, quando precipita dalle più alte regioni dell'aria, come quello con il quale l'aquila calava verso l'albero, squarciandone la corteccia, oltre che i fiori e le nuove foglie; e colpì il carro con tutta la sua forza; per la qual cosa esso sbandò come una nave (sbanda) ora su un fianco (da poggia: la poggia è la fune che regge l'antenna sul fianco destro della nave), ora sull'altro (da orza: l'orza è la fune che regge l'antenna sul fianco sinistro della nave) durante la tempesta, quando è in balia delle onde. Poi vidi avventarsi sulla parte interna del carro trionfale una volpe che sembrava digiuna di ogni cibo che potesse ben nutrirla. Ma Beatrice, rimproverandola per le sue colpe vergognose, la costrinse ad una fuga tanto veloce quanto lo consentivano le sue smagrite membra. Poi per la stessa via dalla quale era venuta la prima volta, vidi l'aquila scendere nella parte interna del carro e lasciarla cosparsa delle sue penne; e con lo stesso tono di una voce accorata (esce di cuor che si rammarca), uscì dal cielo una voce e disse: « O navicella mia, di quale cattiva merce sei carica! » Poi mi sembrò che la terra fra l'una e l'altra ruota si aprisse, e vidi uscirne un drago che conficcò la coda nel carro; e come la vespa che ritira il pungiglione, ritraendo a sé la sua coda pericolosa, asportò una parte del fondo del carro, e se ne andò tutto soddisfatto. Quella parte del carro che rimase, come accade per la terra fertile che si ricopre di gramigna (se è lasciata incolta), dalle penne, offerte forse con intenzione retta e generosa, fu ricoperta, e ne furono ricoperte entrambe le ruote e il timone, in un tempo più breve di quello che impiega la bocca ad emettere un sospiro. Il carro sacro così trasformato mise fuori delle teste nelle singole parti, tre sopra il timone e una in ciascuno degli angoli: le prime erano fornite di due corna come quelle dei buoi, ma le altre quattro avevano un corno solo nella parte mediana della fronte: mai fu visto un mostro simile. Seduta sopra di esso, sicura, come una rocca sulla cima di un monte, mi apparve una sfrontata meretrice, che guardava intorno con occhi impudichi; e quasi (a vigilare) affinché nessuno gliela rapisse, vidi ritto di fianco a lei un gigante; e si baciavano l'un l'altra di tanto in tanto. Ma poiché volse verso di me i suoi occhi desiderosi e vaganti, quel crudele amante la flagellò dalla testa ai piedi; poi, pieno di sospetto e reso crudele dall'ira, slegò il mostro, e lo condusse nella selva, tanto che soltanto con gli alberi (sol di lei: riferito a selva) mi impedì (di vedere) la meretrice e la bestia mostruosa.

Paradiso: XXXIII Canto

"Vergine madre, figlia del tuo figlio, la più umile e la più alta di tutte le creature, termine immutabile del decreto divino (per la redenzione dell’umanità), tu sei colei che nobilitasti tanto la specie umana, che il suo Creatore non disdegnò di farsi umana creatura. Nel tuo ventre si accese l’amore ( di Dio per gli uomini) per il cui calore è germogliata nell’eterna pace del paradiso la rosa dei beati. In cielo sei, per noi beati, una fiaccola di carità ardente come sole meridiano, e in terra, fra i mortali, sei sorgente inesauribile di speranza. Signora (donna: dal latino domina, "padrona", "signora"), sei tanto grande e hai tanto potere (presso Dio), che chiunque voglia la grazia divina e non ricorra a te, nutre un desiderio vano, come di chi voglia volare senza ali. La tua bontà non solo viene in aiuto a chi l’invoca, ma molte volte previene spontaneamente la preghiera. In te si raccolgono misericordia, pietà, munificenza, tutto ciò che di buono può esserci in una creatura. Ora questi (Dante), che dal luogo più basso dell’universo (cioè: dall’inferno) fino all’Empireo ha visto, ad una ad una, le diverse condizioni delle anime separate dal corpo, ti supplica (il verbo è costruito, come in latino, con il dativo) affinché, per grazia divina, gli sia concessa tanta virtù, da poter contemplare la visione suprema di Dio. Ed io, che non arsi mai dal desiderio di vedere Dio più di quanto ardo ora perché sia concesso a lui (Dante) di vederLo, innalzo a te tutte le mie preghiere, e supplico che non siano insufficienti, affinché tu, con la tua intercessione, lo liberi da ogni impedimento terreno, così che possa apparirgli in tutta la sua grandezza Dio, la suprema beatitudine. Ancora ti prego, o regina, che puoi ciò che vuoi, di mantenere puri, dopo una simile visione, i suoi sentimenti. La tua tutela raffreni (in lui) le umane passioni: guarda Beatrice e quanti beati congiungono le mani in atto di preghiera per avvalorare la mia domanda!" Gli occhi da Dio amati e venerati, fissi sulla figura dell’orante, ci mostrarono quanto le fossero giunte gradite le devote preghiere; poi si rivolsero alla luce eterna di Dio, nella quale non si deve credere che alcun’altra creatura possa penetrare tanto a fondo con uno sguardo così limpido (come quello della Vergine) . Ed io che mi avvicinavo al fine di tutti i miei desideri, portai al grado massimo di intensità, così come era giusto, l’ardore del mio desiderio. Bernardo mi faceva cenno e sorrideva perché guardassi in alto; ma io mi ero già messo spontaneamente nella disposizione d’animo che egli voleva ( cioè: pronto a contemplare Dio ), perché il mio sguardo, diventando limpido, penetrava sempre di più nel raggio della luce divina che è vera per sua propria essenza (diversamente dalle altre che sono un suo riflesso). Da questo momento in poi la mia di vedere fu maggiore della nostra possibilità di esprimere con le parole ( ciò che vediamo), perché ogni linguaggio umano viene meno (di fronte a tale visione), e (anche) la memoria cede di fronte a ciò che va al di là delle nostre capacità. Come colui che vede in sogno qualcosa, e dopo il sogno gli rimane impressa (nell’animo) l’emozione provata, ma il contenuto della visione non ritorna alla sua memoria, in questa condizione mi trovo io, perché è scomparsa dal ricordo quasi tutta la mia visione, ma ancora sopravvive (distilla: fa piovere qualche stilla) nel mio cuore la dolcezza del sentimento che da essa si generò. (Come viene meno, a poco a poco la visione) così la neve si scioglie (si distilla: perde la sua forma) al sole; così si perdevano al vento i responsi della Sibilla scritti sulle foglie leggiere. O somma luce che tanto ti innalzi al di sopra della possibilità dell’umano intelletto, ridona alla mia memoria un’immagine, sia pur tenue, di quello che sei apparsa alla mia vista, e fa che le mie parole siano tanto capaci, da poter descrivere per le genti future almeno una piccola parte della tua gloria, perché ( coloro che leggeranno la mia opera) potranno avere un concetto più chiaro della tua trionfante grandezza se essa tornerà in parte alla mia memoria e potrò celebrarla in piccola misura in questi versi. Io credo che, a causa dell’intensità del fulgore divino che la mia vista sopportava, sarei rimasto abbagliato, se i miei occhi non si fossero distolti da quel fulgore. E mi ricordo che proprio per questo ( per il timore di rimanere abbagliato se avessi distolto subito lo sguardo ) mi feci ardito a sopportare ( l’intensità della luce divina ), tanto che congiunsi il mio sguardo con Dio. O abbondante Grazia, per la quale osai penetrare con lo sguardo nella luce eterna di Dio, tanto che esaurii in essa ogni capacità di vedere! Nel profondo della luce divina vidi che era contenuto, legato in un amoroso vincolo d’unità, ciò che nell’universo appare diviso e sparso; ciò che sussiste per sé e ciò che sussiste in dipendenza dalle sostanze e i loro rapporti, come fusi fra di loro, in modo così mirabile che le mie parole possono esserne una vaga illustrazione. Credo di aver visto il principio costitutivo dell’unione di tutte le cose perché, dicendo queste cose, sento maggiormente dilatarsi di gioia il mio cuore. Un solo attimo ( il momento della visione divina) è per me causa di maggior oblio che non i venticinque secoli passati dall’impresa ( degli Argonauti), quando l’ombra proiettata dalla nave Argo suscitò lo stupore di Nettuno. (Come l’ombra della nave fece stupire Nettuno) così la mia mente, tutta assorta, mirava fissa, immobile e attenta, e si accendeva continuamente di nuova gioia contemplativa. Alla luce divina si diventa tali, che è impossibile che qualcuno mai voglia distogliersi da essa per guardare un altro oggetto, perché il bene, che è l’oggetto verso il quale si muove ogni volontà, è raccolto tutto in quella luce; e fuori di essa non c’è che bene imperfetto (letteralmente: è difettivo ciò che lì è perfetto). D’ora in poi le mie parole, sia pure limitate a quel poco che ricordo, saranno più insufficienti del balbettio di un lattante. Non perché ci fosse più di un unico aspetto nella luce divina che io contemplavo, la quale luce è sempre quale era prima, immutabile, ma, per il fatto che, mentre guardavo, le facoltà visive si rafforzavano in me, uno stesso oggetto (in questo caso: Dio), con il mutare delle mie capacità visive, passava da un aspetto all’altro. Nella profonda e luminosa essenza della luce divina mi apparvero tre cerchi di tre colori diversi ma della stessa dimensione; e uno di essi appariva riflesso dall’altro come un arcobaleno da un altro arcobaleno, e il terzo appariva come un fuoco spirante in uguale misura dai primi due (quinci e quindi: da una parte e dall’altra). Oh come è insufficiente e debole la mia parola rispetto al concetto! e questo, in confronto a ciò che vidi, è così poca cosa, che la parola "poco" non basta ad indicarlo (perché bisognerebbe dire "nulla"). O luce eterna che sei una sola nella tua sussistenza (sola in te sidi: in te sola ti posi), che sola ti intendi, e nell’essere intesa e nell’intenderti ti ami e gioisci! Quel cerchio che appariva in te generato come luce riflessa (dal primo cerchio), dopo che l’ebbi guardato tutt’intorno per alquanto tempo, mi apparve dipinto, nel suo interno, con il suo stesso colore, dell’immagine umana; per la qual cosa il mio sguardo si fissava tutto in esso. Come il geometra che si concentra con tutte le sue facoltà mentali per trovare l’esatta misura del cerchio, e, per quanto pensi, non trova il principio di cui ha bisogno, in questa stessa situazione mi trovavo io di fronte a quella visione straordinaria: volevo comprendere come l’effigie umana si adattasse alla forma del cerchio e come potesse trovarvi luogo (cioè: volevo comprendere il mistero della coesistenza in Cristo della natura divina e di quella umana); ma le mie ali non potevano farmi volare tanto in alto: se non che la mia mente fu percossa da un’illuminazione per mezzo della quale avvenne ciò che essa desiderava. A questo punto alla fantasia, che si era innalzata a tanto , venne a mancare la forza (di seguire l’intelletto in questa intuizione): ma già ogni mio desiderio e ogni mia volontà, erano mossi come ruota che gira con moto uniforme, da Dio, l’amore che imprime movimento al sole e alle altre stelle.

 
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